Indice
Non tutte le irregolarità del manto stradale sono da considerarsi un pericolo occulto ed insidia stradale. Quest’ultima esiste solo laddove vi siano delle situazioni di pericolo che il soggetto, usando la normale diligenza richiesta dalla particolare situazione in cui si trova, non può obiettivamente prevedere ed evitare.
Difatti è legittimo che l’utente stradale faccia affidamento sull’apparente stato di transitabilità della strada pubblica che l’amministrazione ha l’obbligo i manutenere.
Tribunale Terni Sez. Unica, 26/01/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di TERNI
SEZIONE UNICA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alberto Caprioli
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2037/2013 promossa da:
T.D. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. SCATAGLINI GIUSEPPE e dell’avv. VALLASCIANI MAURIZIO ((…)) VIA SABOTINO N. 23 62012 CIVITANOVA MARCHE; , elettivamente domiciliato in CORSO UMBERTO I N. 20 62012 CIVITANOVA MARCHEpresso il difensore avv. SCATAGLINI GIUSEPPE
J.V. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. SCATAGLINI GIUSEPPE e dell’avv. VALLASCIANI MAURIZIO ((…)) VIA SABOTINO N. 23 62012 CIVITANOVA MARCHE; , elettivamente domiciliato in CORSO UMBERTO I N. 20 62012 CIVITANOVA MARCHE presso il difensore avv. SCATAGLINI GIUSEPPE
ATTORI
contro
A. SPA (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. APOLLONI DAVID GIUSEPPE e dell’avv. , elettivamente domiciliato in VIA XIV SETTEMBRE 71 PERUGIA presso il difensore avv. APOLLONI DAVID GIUSEPPE
CONVENUTO
G.M. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. MINUCCI STEFANO e dell’avv. , elettivamente domiciliato in GALLERIA DEL CORSO 7 05100 TERNI presso il difensore avv. MINUCCI STEFANO
TERZO CHIAMATO
A.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv.to Chiaranti Piero giusta procura in atti, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Terni, Via G. Bruno n. 24;
TERZO CHIAMATO
OGGETTO: Risarcimento danni da sinistro stradale.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato D.T. e V.J. convenivano in giudizio dinanzi a questo Tribunale l’A. S.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da esse istante subiti e rispettivamente quantificati in Euro 270.000,00 ed Euro 130.000,00, il tutto con vittoria di spese e competenze del giudizio.
A sostegno della domanda assumevano; che in data 7 Agosto 2000 alle ore 03,00 V.M., figlio e fratello delle istanti, viaggiava come trasportato insieme a V.M. e ad altri sull’autovettura Audi A3 tg. (…) condotta da M.S. che percorreva il viadotto del raccordo autostradale Terni-Orte, sopraelevato sul piano di campagna di oltre mt. 20, al Km. 35+700 suddiviso in due corsie con un unico senso di marcia che inizia all’uscita da una galleria; che nell’affrontare la curva in discesa esistente in quel tratto, il M. perdeva il controllo del proprio automezzo che prima colpiva il guard-rail di sinistra poi quello di destra e dopo alcuni testacoda si arrestava posizionandosi fermo ed in panne contromano sulla carreggiata; che tutti gli occupanti compreso il V.M. scendevano dall’autoveicolo fermo in mezzo alla strada, nell’intenzione di porsi al riparo dalle auto che sopraggiungevano sulla superstrada; che infatti nella immediatezza sopraggiungeva, nella medesima direzione Terni-Orte, una Fiat Bravo condotta da C.A. che riusciva a schivare l’Audi A3 ferma al centro della carreggiata, passando nello spazio esistente a destra, tra la macchina stessa ed il guard-rail; che immediatamente dopo sopraggiungeva una Fiat 500 tg. (…) condotta da P.S., che, vista la manovra del C. e la presenza di persone a destra nei pressi della macchina, cercava a sua volta di schivare la vettura ferma, passando a sinistra ma, mentre transitava, urtava contro lo sportello anteriore aperto dell’Audi A3 ed anche contro il guard-rail e in tale manovra della Fiat 500 rimaneva colpita e ferita L.C., pure trasportata e scesa in quel momento dall’Audi A3 del M.; che il P. fermava la propria autovettura e tornava indietro verso l’auto ferma per fare rimostranze, contestualmente avvertendo delle grida di fare attenzione perché stava sopraggiungendo un’altra autovettura; che quest’ultimo notava che c’erano dei giovani che, per cercare scampo da detto ulteriore pericolo, correvano verso di lui tanto che iniziava a correre allontanandosi e voltandosi indietro per vedere se il veicolo in arrivo urtasse la macchina già ferma o la sua auto e notava uno dei giovani, che correvano dietro di lui, scavalcare il guard-rail di sinistra per evitare di essere investito dalle auto sopraggiungenti; che intanto la macchina che era arrivata sul posto riusciva a passare schivando tutti gli ostacoli; che il predetto P. tornava nuovamente indietro e si avvedeva allora di due ragazze che, appoggiate al guard-rail, chiamavano M.; che si accorgeva affacciandosi che dietro il guard-rail c’era il vuoto; che in quel vuoto sottostante erano precipitati due dei giovani trasportati sull’Audi ,V.M. e V.M.; che questi ultimi avevano cercato una via di fuga scavalcando il guard-rail in quell’ora notturna e senza illuminazione della strada, che il procedimento penale nei confronti di alcuni dipendenti dell’A. S.p.a. si concludeva con sentenza di condanna emessa dall’intestato Tribunale, confermata in Appello nonché in Cassazione, che in detto giudizio esse istanti si costituivano parti civili.
Si costituiva in giudizio la convenuta che preliminarmente eccepiva l’inopponibilità nei propri confronti delle statuizione del giudizio penale svoltosi nei confronti solo di alcuni propri dipendenti, sig.ri G. e P., eccepiva altresì l’avvenuta prescrizione della pretesa avversa e chiedeva altresì l’autorizzazione alla chiamata del terzo G.M.; nel merito, instava per il rigetto della domanda siccome infondata in fatto e diritto sia in ordine all’an che al quantum, con vittoria di spese e competenze del giudizio.
Si costituiva in giudizio M. che preliminarmente chiedeva di essere autorizzato alla chiamata in giudizio della A.A. S.p.a. per essere dallo stessa garantito; eccepiva la prescrizione dell’avversa pretesa e nel merito instava comunque per il rigetto della domanda esplicata nei propri confronti siccome infondata in fatto e diritto, non sussistendo nella fattispecie il nesso causale tra la condotta tenuta da esso deducente e il verificarsi dell’evento per cui è causa, il tutto con vittoria di spese e competenze del giudizio.
Si costituiva altresì la A.A. che eccepiva il difetto di legittimazione attiva dell’A. a chiamare in giudizio il sig. M., l’intervenuta prescrizione dell’avversa pretesa e nel merito l’infondatezza in fatto e diritto della domanda esplicata dalla convenuta nei confronti del terzo chiamato non essendo quest’ultimo responsabile dell’evento per cui è causa, con vittoria di spese e competenze del giudizio.
Quindi la causa, espletata la trattazione nel corso della quale veniva acquisita idonea documentazione, sulle conclusioni precisate all’udienza del era riservata per la decisione previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..
Preliminarmente occorre rilevare che il fatto storico nel suo concreto verificarsi non risulta contestato, di talchè occorre valutare nella fattispecie per cui è causa se lo stato dei luoghi che ha determinato il verificarsi dell’evento sia imputabile ex art. 2051 c.c. o in via subordinata ex art. 2043 c.c. all’odierna convenuta per come assunto dalle istanti.
Sempre in via preliminare deve ravvisarsi l’infondatezza della sollevata eccezione di prescrizione formulata nell’interesse di parte convenuta alla luce delle evidenze documentali versate in atti (cfr. raccomandate depositate da parte attrice con la memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c.) poiché risulta l’esistenza di eventi interruttivi ripetuti negli anni.
Riguardo alla medesima eccezione pure formulate dai terzi chiamati la medesima risulta assorbita dalle seguenti considerazioni di merito.
Ritenuta altresì l’utilizzabilità delle emergenze istruttorie del procedimento penale già versate in atti atteso che sebbene nel processo civile non esista una norma che consente di acquisire prove oltre a quelle elencate dal codice stesso, con la conseguenza che la prova della causa civile è “tipica”, ossia è solo quella indicata dalla legge, tuttavia secondo l’indirizzo della giurisprudenza sia di merito che di legittimità ( Trib. Reggio Emilia 3.12.2014; Cass. 5440/2010), questo principio non va preso alla lettera atteso che l’elenco non è esaustivo, e quindi c’è sempre spazio per prove atipiche come, appunto, quelle già acquisite in un processo penale, poiché l’elencazione delle prove nel processo civile non è tassativa, ma sono sempre possibili le prove atipiche attraverso lo strumento della produzione documentale.
Passando al merito, ad avviso del giudicante, la domanda avanzata dalla convenuta nei confronti del terzo chiamato Sig. M., e la conseguente chiamata in garanzia dallo stesso avanzata nei confronti della A.A. S.p.a., risulta infondata in quanto, come dallo stesso eccepito, tra l’evento derivato dalla condotta dal medesimo tenuta, velocità eccessiva e non consona allo stato dei luoghi tale da aver determinato lo sbandamento e la collisione con il guard rail posto lungo il tratto stradale Terni Orte all’altezza del Km 35+700, non è derivato alcunchè agli occupanti l’autovettura Audi A3dallo stesso condotta in quanto sono tutti rimasti incolumi tanto che sono autonomamente usciti dall’autoveicolo.
Ciò che all’esito di detto evento ha determinato V.M. a scavalcare il guard rail con il successivo verificarsi dell’evento per cui è causa non è infatti eziologicamente collegato con la condotta tenuta dal M.; invero ciò che ha determinato V.M. ha scavalcare il guard rail è stato il sopraggiungere dell’autovettura Fiat 500 condotta dal sig. P.S. che percorreva il medesimo senso di marcia.
Invero occorre accertare se, appunto in dette circostanze, lo stato dei luoghi sia stato causa autonoma dell’evento per cui è causa; al riguardo, ad avviso del giudicante, non rileva la conformità o meno dei guard rail alla normativa illo tempore vigente, piuttosto occorre esaminare se alla luce delle concrete modalità detto guard rail per come posizionato nel particolare tratto di strada curvilinea all’uscita di una galleria possa aver costituito un’insidia o trabocchetto per gli utenti ed in particolare per V.M..
Al riguardo parte attrice, come detto, ha invocato la mancata custodia ex art. 2051 c.c. ed in via subordinata l’insidia ex art. 2043 c.c..
Si deve, quindi, procedere a verificare se nei fatti possa ritenersi integrata la fattispecie prevista dall’art. 2051 c.c. e se parte convenuta abbia fornito la prova liberatoria consistente nella verificazione di un fatto eccezionale o in alternativa il fatto dell’attore.
Sotto questo aspetto occorre osservare che la norma di cui all’art. 2051 c.c. trova applicazione con esclusivo riguardo ai danni che derivino dall’intrinseco determinismo delle cose medesime, per la loro consistenza obiettiva, o per effetto di agenti che ne abbiano alterato la natura ed il comportamento. Detta norma, pertanto, non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura, cioè per il suo intrinseco potere, in quanto anche in relazione alle cose prive di un proprio determinismo, sussiste il dovere di controllo e custodia, allorquando il fortuito o il fatto dell’uomo possano prevedibilmente intervenire come causa esclusiva o come concausa, nel processo obiettivo di produzione dell’evento dannoso, eccitando lo sviluppo di un agente, di un elemento fattuale che conferiscano alla cosa l’idoneità al nocumento.
La norma di cui all’art. 2051 c.c., però, pur postulando una presunzione di responsabilità in capo al custode, presunzione da intendere sussistente, tuttavia, senza ulteriori accertamenti di fatto sulla effettiva possibilità di vigilanza; afferma al riguardo la più recente giurisprudenza di legittimità che agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale applicabile l’art. 2051 c.c., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa tuttavia essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (Cass. n. 13550/2009; n. 7763/2007; n. 2308/2007).
Per quanto riguarda l’insidia ex articolo 2043 c.c., va invece osservato che – in forza del principio generale del neminem laedere – incombe sull’amministrazione il dovere di mantenere le strade pubbliche in condizioni tali che non derivino agli utenti, che fanno ragionevole affidamento sullo stato di apparente transitabilità di esse, situazioni diverse dall’apparenza, costituenti veri e propri pericoli occulti (insidie appunto o trabocchetti). Sotto tale profilo vengono, pertanto, in considerazione sia il requisito obiettivo della non visibilità del pericolo, sia quella soggettivo, rappresentato dalla non prevedibilità dell’evento dannoso, occorso proprio in conseguenza dello stato di manutenzione della strada pubblica; tuttavia, deve precisarsi che – vertendosi in ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. – l’onere di provare l’esistenza dell’insidia non visibile e non prevedibile e del nesso causale con i danni che ne siano conseguiti, incombe sul danneggiato (Cass. civ. sez. III, 4 giugno 2004, n. 10654; Cass. civ. sez. III, 28 novembre 2003, n. 16240; Cass. civ. sez. III, 30 luglio 2002, n. 11250; Cass. civ. sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2067; v. pure, al riguardo, C. Cost. 99/156).
A tal riguardo è, invero, evidente che non ogni irregolarità del manto stradale può costituire un pericolo occulto per l’utente, dovendo l’insidia essere ravvisata solo in quelle situazioni di pericolo che l’utente stradale, usando la normale diligenza richiesta dalla particolare situazione in cui si trova, non possa obiettivamente prevedere ed evitare. Ciò in quanto sia legittimo nella situazione concreta – proprio per i menzionati caratteri della non visibilità e non prevedibilità del pericolo – fare affidamento sull’apparente stato di transitabilità della strada pubblica (cfr., fra le tante, Cass. 1996, n. 191; Cass. 1996, n. 340).
Proprio riguardo a tale ultimo profilo, deve rilevarsi che atteso l’orario notturno verosimilmente non risultava visibile la separazione tra le due carreggiate con direzione opposta in quel tratto di strada – raccordo autostradale Terno Orte Km 35+700 – ed ancor meno risultava visibile la notevole profondità – oltre mt. 20 – esistente tra il tratto stradale ed il piano di campagna; sul punto, come affermato dal Giudice penale, sarebbe bastata un semplice illuminazione a garantire la visibilità/profondità del livello stradale nonché la mancanza di continuità tra le opposte carreggiate.
Sul punto oltre alle emergenze del procedimento penale può ritenersi ad avviso del giudicante l’effettiva sussistenza di un’insidia tale da concretizzare una situazione di pericolo non prevedibile né evitabile con l’utilizzo dell’ordinaria diligenza.
Infatti unitamente al V.M. anche V.M. nelle medesime circostanze di determinava ad intraprendere la medesima azione, ovvero atteso il sopraggiungere di un’autovettura nel medesimo senso di marcia in considerazione dell’avvenuto sbandamento dell’autovettura Audi sulla quale entrambi erano trasportati, ciò a dimostrazione dell’effettiva non percepibilità della separazione tra le carreggiate e dell’effettiva altezza rispetto al piano di campagna.
Del resto, ciò a dimostrazione ulteriore dell’autonomia causale del verificarsi dell’evento rispetto alla precedente azione costituita dallo sbandamento dell’autovettura Audi sulla quale come detto il V. era trasportato, è verosimile ritenere che in detto tratto un’autovettura per una semplice foratura di un pneumatico si trovi costretta ad arrestare la marcia ed il possibile sopraggiungere di un autoveicolo marciante nel medesimo senso di marcia generi una situazione di pericolo tale da determinare nel primo conducente, fermatosi per riparare l’autovettura, una naturale reazione di evitare lo stesso.
Pertanto, ritenuto per quanto detto che lo stato dei luoghi rendeva non percepibile il vuoto e la separazione tra le carreggiate tale da generare la convinzione dell’utente medio – utente che per molteplici situazione derivanti dalla circolazione stradale può trovarsi in una situazione di pericolo – dell’esistenza di un’area percorribile, ne deriva che l’altezza del gard rail seppur conforme alla normativa ilio tempore vigente ha costituito insidia siccome facilmente scavalcabile oltre ad essere del tutto priva di illuminazione alcuna; invero se la stessa fosse stata presente avrebbe verosimilmente consentito una reale percezione della separazione tra le carreggiate nonché del vuoto sottostante; pertanto deve ritenersi un’insidia non prevedibile né evitabile con l’ordinaria diligenza.
Sussunta così la fattispecie nell’ambito del 2043 c.c. sussiste altresì oggettivamente il nesso causale tra detta insidia ed il verificarsi dell’evento per cui è causa, ovvero il decesso di V.M..
Né ad avviso del giudicante può ravvisarsi l’esistenza di un concorso di colpa del predetto alla luce delle concrete modalità del verificarsi dell’evento atteso che lo stesso evidentemente compiva l’azione di scavalcare il guard rail alto cm. 113 al solo fine di trovare una via di fuga in un’area percorribile e non si gettava volontariamente nel vuoto; in ogni caso l’eventuale concorso del fatto colposo del danneggiato si sarebbe riflettuto non già sulla esistenza della causalità giuridica – e, quindi, sulla configurabilità dell’insidia – bensì solo sull’entità del risarcimento (Cass. 05/26997).
Passando alla determinazione del quantum le odierne istanti agiscono D.T., in qualità di madre convìvente di V.M., per Euro 255.000,00 per il danno morale oltre Euro 30.000,00 a titolo di danno morale iure proprio ed Euro 5.000,00 per spese funerarie previa detrazione dell’importo di Euro 20.000,00 liquidatole a titolo di provvisionale, mentre V.J. in qualità di sorella convivente e contitolare con il V.M. dell’azienda di famiglia per Euro 110.000,00 a titolo di danno morale, Euro 15.000,00 a titolo di danno morale iure proprio, Euro 20.000,00 per danno patrimoniale ed Euro 5.000,00 per spese funerarie, previa detrazione dell’importo di Euro 20.000,00 riconosciutole a titolo di provvisionale.
Ciò posto in tema di danno non patrimoniale nel caso di specie dovuto ai parenti della vittima non è necessaria la prova specifica della sussistenza di tale danno, ove sia esistito tra di essi un legame affettivo di particolare intensità, potendo a tal fine farsi ricorso anche a presunzione.
In tali casi (morte di un prossimo congiunto) ciò che rileva ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale è, fondamentalmente, il legame affettivo tra i congiunti, perfettamente idoneo a fondare, già di per sé (salvo prova contraria), la legittimazione attiva a pretendere il danno da morte del congiunto.
Con la conseguenza che il peculiare rapporto di ciascun familiare con la vittima, l’intensità del vincolo familiare, le abitudini di vita, le effettive sofferenze individualmente patite, la sussistenza di una situazione di convivenza tra i soggetti in questione ed ogni altro elemento della fattispecie, possono incidere esclusivamente sul quantum, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto.
In altri termini, la morte di un congiunto, ponendo fine al rapporto parentale e quindi alla possibilità di essere genitore/fratello della vittima, lede i superstiti nell’interesse alla intangibilità degli affetti reciproci e alla scambievole solidarietà che connota la vita familiare: questa preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, conseguenza della lesione di diritti inviolabili che la Costituzione appresta nel quadro delle relazioni familiari, è inevitabilmente connessa al fatto storico della perdita, trovando fondamento la risarcibilità di danno ex art. 2059 c.c. proprio nella titolarità di una situazione qualificata dal contatto con la vittima (Cass., sez. un., n. 9556/02), contatto cui ha posto fine il decesso. Può allora ritenersi che il danno da perdita del rapporto parentale, conseguenza della lesione dei diritti costituzionali afferenti alla famiglia trovi sufficiente supporto probatorio nella mera allegazione del fatto storico dell’uccisione del congiunto: provato il fatto-base della sussistenza del rapporto parentale con la vittima dell’illecito, può ritenersi provato presuntivamente non solo il dolore, ma anche che la privazione di quel rapporto determini negative ripercussioni interne ed esterne al nucleo familiare, ossia per l’appunto il danno da perdita del rapporto parentale, sicché il risarcimento di tale profilo di danno non pone ulteriori oneri probatori a carico dei superstiti danneggiati.
La prova del danno “morale” è, infatti, correttamente desunta dalle indubbie sofferenze patite dai parenti, sulla base dello stretto vincolo familiare, di coabitazione e di frequentazione, che essi avevano avuto, quando ancora V.M. era in vita (Cass., 7 luglio 2010, n. 16018; Cass. 11 maggio 2007 n. 10823).
Pertanto, i parenti della vittima possono far valere iure proprio il danno ingiusto, patrimoniale e non patrimoniale, e possono domandarlo come danno conseguenza, valorizzando le prove indiziarie ed i fatti di comune esperienza in relazione ad un rapporto parentale costituzionalmente tutelato.
Compete infatti al familiare sopravvissuto il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, subito sia nel momento in cui la perdita stessa è percepita (danno da lutto) sia con riguardo al tempo di sofferenza che accompagna la vittima secondaria (elaborazione del lutto) posto che tali sofferenze sono componenti del complesso pregiudizio integralmente ed unitariamente considerato (Cass., 12 febbraio 2010, n. 3357).
Orbene, nella fattispecie tali elementi presuntivi sussistono e sono da ravvisarsi nello stretto rapporto di parentela, genitore/figlio e sorella, ed, ovviamente, nel fatto della estrema gravità per il nucleo familiare dell’evento morte.
La misura di tale danno non può essere irrisoria e simbolica e dovrà tener conto della notevole gravità della perdita e della rilevante serietà del pregiudizio.
Il danno da perdita del rapporto parentale deve si essere risarcito mediante il ricorso a criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice di merito, ma esplicitando le regole di equità applicate (artt. 1226 e 2056 cod. civ.) e, nello specifico, tenendo conto dell’irreparabilità della perdita della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia subita dai prossimi congiunti della vittima, di talché la relativa quantificazione esige un’attenta considerazione di tutte le circostanze idonee a lumeggiare la pregnanza, in concreto, dell’entità della lesione subita dai superstiti (Cass., 7 giugno 2011, n. 10107).
Dunque tale danno deve essere liquidato in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c. adottando le tabelle del Tribunale di Milano che prevedono una forbice che consente di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto (tipizzabili in particolare nella sopravvivenza o meno di altri congiunti, nella convivenza o meno di questi ultimi, nella qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua, nella qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona deceduta).
In altri termini, i criteri tabellari milanesi recependo pienamente il nuovo metodo di liquidazione del danno non patrimoniale subito dai prossimi congiunti introdotto dalle Sezioni Unite, per un verso, hanno individuato, sulla base della media dei precedenti giurisprudenziali di quell’ufficio, dei valori massimi e dei valori minimi entro i quali determinare l’importo monetario da riconoscere a ciascun congiunto e, per l’altro, consentono al giudice di individualizzare tale importo in ragione del grado di parentale di ciascun congiunto, della età della vittima e della gravità del sinistro.
In merito all’impiego delle Tabelle di Milano si osserva come la Corte di Cassazione ha ritenuto che le stesse esprimano il valore da ritenersi “equo”, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l’entità (Cass., 7 giugno 2011, n. 12408, Cass. 30 giugno 2011, n. 14402 che hanno aderito al principio di recente affermato: le Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psicofisica del Tribunale di Milano costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione).
Procedendo alla quantificazione del danno non patrimoniale, spetta dunque in applicazione delle tabelle di Milano per l’anno 2014 alla Sig.ra D.T. quale madre di V.M. l’importo di Euro 300.000,00 quale valore medio tra il minimo ed il massimo ivi stabilito mentre a V.J. in applicazione die medesimi parametri l’importo di Euro 120.000,00; a tali somme occorre inoltre aggiungere rispettivamente al somma di Euro 5.000,00 per le spese funerarie.
Invero dette somme, ad avviso del giudicante, costituiscono la necessaria personalizzazione in considerazione della circostanza rappresentata dalla giovane età del V.M. nonché del fatto che il nucleo famigliare aveva già perso il padre di talchè verosimilmente il predetto rappresentava un punto di riferimento e di unità nell’ambito di enucleo medesimo.
Per quanto riguarda, poi, il danno patrimoniale chiesto dalla V.J. occorre rilevare che detta voce di danno risulta oggettivamente di difficile quantificazione sotto il profilo economico e monetario, dovendosi necessariamente procedere ad una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.. Del resto appare comunque innegabile che una tale voce di danno si sia comunque determinata nella sfera giuridica dell’sitante atteso che l’unico fratello contitolare dell’azienda necessariamente contribuiva all’esplicazione della relativa attività tale che il venir meno di detto necessariamente ha generato conseguenza negative.
Ciò posto, appare equo liquidare detta voce di danno in complessive Euro 15.000,00; pertanto complessivamente alla D. compete l’importo di Euro 285.000,00 – così ottenuto dalla liquidazione del danno non patrimoniale e delle spese funerarie previa detrazione della provvisionale per come dalla medesima dedotto – mentre alla V. compete l’importo di Euro 130.000,00 – così ottenuto dalla liquidazione del danno non patrimoniale, patrimoniale e delle spese funerarie previa detrazione della provvisionale per come dalla stessa dedotto.
Sulle somme così liquidate andrà calcolato anche il lucro cessante per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento, somma che – ove posseduta ex tunc – sarebbe stata presumibilmente investita per ricavarne un lucro finanziario.
Tale importo va determinato equitativamente ex art. 2056 cod. civ. secondo l’orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. Sez. Un. 17.2.1995 n.1712) con il metodo seguente: a base di calcolo va posta non la somma sopra liquidata per ciascuno anno (cioè rivalutata ad oggi) ma l’originario importo rivalutato anno per anno; su tale importo va applicato un saggio di rendimento equitativamente prescelto, tenuto conto di quello inferiore tra la media ponderata di rendimento dei titoli di Stato e la media ponderata degli interessi legali; tale saggio va computato sul predetto importo dalla data dell’evento dannoso ad oggi.
Sulla somma così liquidata spetteranno anche gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza fino ad effettivo soddisfo.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, dando atto che quelle liquidate nei confronti delle terze chiamate devono essere poste integralmente a carico della convenuta per essere la chiamata dalla stessa avanzata infondata.
P.Q.M.
Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, nella persona del dr. Alberto Caprioli in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando sulla domanda in epigrafe, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così provvede:
1) ACCOGLIE la domanda avanzata nell’interesse di parte attrice e, per l’effetto, dichiara che l’evento per cui è causa è da ascriversi a responsabilità di A. S.p.a.;
2) CONDANNA A. S.p.a. al pagamento in favore di D.T. della somma di Euro 285.000,00 e di V.J. di Euro 130.000,00 oltre interessi e rivalutazione come in motivazione;
3) RIGETTA la domanda avanzata da A. S.p.a. nei confronti di M.G.;
4) CONDANNA A. S.p.a. al pagamento nei confronti di parte attrice delle spese del giudizio che liquida in Euro 1.592,00 per spese ed Euro 12.678,00 per compenso, oltre spese generali ed accessori come per legge;
5) CONDANNA A. S.p.a. al pagamento nei confronti dei terzi chiamati M.G. e A.A. S.p.a. delle spese del giudizio che liquida in Euro 9.876,00 per compenso, oltre spese generali ed accessori come per legge, con distrazione in favore di entrambi i procuratori per dichiarato anticipo.
Così deciso in Terni, il 19 gennaio 2017.
Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2017.