La finalità pedagogica giustifica la diffamazione e l’ingiuria
[massima]
Molto discutibile la sentenza in esame.
Il giudice ritiene debba escludersi l’ipotesi di condotta diffamatoria laddove l’offesa all’altrui onore, insita nella condotta ingiuriosa, e dell’offesa all’altrui reputazione si collochino nell’alveo del legittimo esercizio del diritto ed adempimento del relativo dovere, da parte dell’insegnante, di educare lo studente, correggendone il comportamento deviante.
Sostanzialmente la scriminante sussiste laddove la condotta sia conforme con la finalità pedagogica del suddetto diritto dovere, e compatibile con la funzione di colloquio e di stimolo.
[fattoediritto]
Tribunale Prato del 19 luglio 2011
L. C. ed il figlio L. P., già studente del quarto anno scolastico 1999/2000 presso l’Istituto Tecnico Commerciale P. Dagomari in Prato, citavano in giudizio G. S., insegnante di lingua inglese, chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento dei danni non patrimoniali, derivati dalla pronuncia di frasi ingiuriose nei confronti di L. P. e diffamatorie nei confronti del padre L. C..
Gli attori, in particolare, affermavano che l’insegnante, al primo giorno di ritorno dello studente in classe dopo un notevole periodo di assenza per motivi di salute, senza giustificazione ed in presenza di tutta la classe, avrebbe ingiuriato P., additandolo quale parassita, e diffamato il padre C., qualificandolo come persona non in grado di mantenere la parola.
La convenuta si costituiva, contestando l’avversa ricostruzione dei fatti ed eccependo l’esclusione dell’antigiuridicità del fatto, in quanto commesso nell’esercizio del diritto – dovere di correzione ed educazione, correlato alla finalità pedagogica dell’insegnamento; concludeva, pertanto, per il rigetto delle domande degli attori.
L’istruzione della causa, in via documentale e per testi, consente la ricostruzione del fatto come segue.
A partire dalla metà del mese di ottobre, superato il precedente periodo di malattia, L. P. frequentava regolarmente le lezioni scolastiche (registro di classe sub doc. 2 fasc. conv. e teste F.).
In un incontro svoltosi nel corso del primo quadrimestre, L. C. si impegnava, nei confronti dell’insegnante, ad ottenere un maggiore impegno del figlio nello studio (circostanza dedotta dalla convenuta in comparsa di risposta e non contestata dall’attore in sede di atti difensivi deputati alla formazione del thema decidendum).
In data 30 marzo, l’insegnante procedeva alla spiegazione di un nuovo argomento (registro delle attività sub doc. 3 fasc. conv.).
Lo stesso giorno, l’insegnante sorprendeva lo studente intento a copiare i compiti svolti da un compagno di classe (circostanza dedotta dalla convenuta in comparsa di risposta e non contestata dagli attori in sede di atti difensivi deputati alla formazione del thema decidendum).
L’insegnante, dunque, nell’immediatezza, rivolgeva allo studente le seguenti parole: “sei come un parassita, che vive sulle spalle degli altri” e “tu dici un sacco di cose e anche tuo padre non è in grado di mantenere la parola” (testi C., C. e S.).
La collocazione delle suddette frasi nel contesto in cui venivano proferite rende evidente che l’insegnante additava lo studente come parassita che viveva sulle spalle degli altri, con riferimento al comportamento del medesimo di copiatura dei compiti del compagno, mentre definiva il padre dello studente come persona non in grado di mantenere la parola, con riguardo al pregresso impegno di L. C. ad ottenere un maggiore impegno del figlio nello studio.
In diritto, si rileva quanto segue.
L’antigiuridicità dell’offesa all’altrui onore, insita nella condotta ingiuriosa, e dell’offesa all’altrui reputazione, propria della condotta diffamatoria, deve ritenersi esclusa, qualora le predette condotte si collochino nell’alveo del legittimo esercizio del diritto ed adempimento del relativo dovere, da parte dell’insegnante, di educare lo studente, correggendone il comportamento deviante, e purché le stesse, rimanendo conformi alla finalità pedagogica del suddetto diritto – dovere, non travalichino qualsiasi funzione di colloquio e di stimolo.
Nel caso di specie, l’insegnante, in presenza di un rendimento scolastico stabilmente insufficiente in una pluralità di materie e dunque tale da compromettere con elevata probabilità ogni possibilità di promozione e di fronte al compimento di un atto, il copiare dal compagno di classe, sintomatico dell’avversione dello studente al rispetto delle regole più basilari, calibrava adeguatamente il proprio intervento educativo rispetto all’intensità delle esigenze correttive in concreto manifestatesi.
In particolare, l’insegnante, indicando lo studente come parassita che viveva sulle spalle degli altri, evidenziava correttamente la matrice fraudolenta del comportamento tenuto dallo studente e, qualificando il padre come persona non in grado di mantenere la parola, richiamava l’attenzione dello studente al mancato rispetto della pregressa promessa del padre di un maggiore impegno del figlio nello studio, nello strenuo tentativo di spronare con forza lo studente alla profusione di ogni energia necessaria per il superamento dell’anno scolastico.
Esclusa dunque l’antigiuridicità del fatto, viene meno il diritto degli attori al risarcimento dei danni.
Deve, pertanto, disporsi il rigetto delle domande proposte da L. C. e L. P. nei confronti di G. S..
Visti gli artt. 91 e 97 c.p.c. e ritenuto l’interesse comune, gli attori soccombenti sono tenuti in solido alla rifusione, in favore della convenuta, delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo sulla base della notula depositata, del valore e della natura della controversia e delle attività di difesa effettivamente espletate.
PQM
Il Tribunale, definitivamente pronunziando nella causa in epigrafe, così provvede:
Rigetta le domande proposte da L. C. e L. P. nei confronti di G. S.;
Condanna L. C. e L. P. in solido alla rifusione, in favore di G. S., delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.726,32 per diritti, Euro 6.350,00 per onorari ed Euro 5,05 per spese, oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Prato, il 19 luglio 2011.
Il Giudice Giulio Fanales