Illegittimità costituzionale della Legge regionale Sardegna in merito all’IRAP
[massima]
L’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione attribuisce allo Stato la piena potestà legislativa sul sistema tributario statale.
Nel caso di specie la Corte esamina l’art. 18, comma 20, della legge regionale Sardegna n. 12 del 2011, il quale introduce l’obbligo per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), le quali sono esentate dall’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), di dover trasmettere alla direzione generale dell’Assessorato regionale della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio, negli stessi termini previsti per la presentazione della dichiarazione dei redditi, una comunicazione con la quale attestano di avere diritto all’esenzione.
La norma prevede che in caso di omessa comunicazione, l’Onlus perde il beneficio all’esenzione medesima.
La Corte ritiene che tale norma deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima: introducendo un onere burocratico che grava sulle Onlus (al fine dell’esenzione dall’IRAP), la norma eccede alle competenze regionali a cui non spetta di individuare le modalità con le quali i soggetti beneficiari possono avvalersi delle esenzioni di un tributo erariale.
[fattoediritto]
Corte Costituzionale del 20 aprile 2012 n. 99
1.- Con ricorso notificato il 29 agosto 2011 e depositato il successivo 31 agosto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 3, comma 1, 17, comma 9, 18, commi 20 e 23, lettera c), 20, commi 1 e 2, e 21 della legge della Regione autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori d’intervento).
2.- L’art. 3, comma 1, della legge impugnata dispone che, «Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 8 dello Statuto speciale, così come sostituito dal comma 834 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007), ancorché in assenza dell’adeguamento delle relative norme di attuazione, a decorrere dall’anno 2010, gli accertamenti delle compartecipazioni regionali ai tributi erariali sono effettuati anche sulla base degli indicatori disponibili relativi ai gettiti tributari». Secondo il ricorrente, tale disciplina regolerebbe unilateralmente dei profili che, al contrario, l’art. 8 dello statuto demanda a norme di attuazione dello statuto medesimo. Per questa ragione, la normativa regionale eccederebbe le competenze attribuite alla Regione dagli articoli 4 e 5 dello statuto, ponendosi inoltre in contrasto con il successivo art. 56 dello stesso, che demanda a una Commissione paritetica l’elaborazione delle norme per la sua attuazione. In base alla giurisprudenza costituzionale le norme di attuazione sarebbero, infatti, espressione di una competenza separata e riservata, prevalente rispetto alle leggi ordinarie, e pertanto non fungibile con leggi unilateralmente introdotte dalla Regione.
3.- L’art. 17, comma 9, della legge impugnata, dispone che, ai sensi dell’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), l’installazione e l’esercizio di impianti di generazione elettrica alimentati da biogas e biometano, siano soggetti alla procedura abilitativa semplificata, stabilita dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 28 del 2011, qualora siano richiesti da: a) imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti da almeno tre anni alla Camera di commercio; b) giovani imprenditori agricoli come individuati dall’articolo 3 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 (Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), e e), della L. 7 marzo 2003, n. 38); c) società agricole, come individuate dal decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 101 (Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dei settori dell’agricoltura e delle foreste, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38). Inoltre, l’esperimento della procedura semplificata esige che tali impianti abbiano una capacità di generazione massima inferiore a 1 MW ed operino in assetto di filiera corta.
L’individuazione dei soggetti che possono ricorrere a tale procedura semplificata – introdotta dall’art. 12, commi 3 e 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) – contrasterebbe con l’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2011 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. Infatti, tale disposizione statale, mentre consente alle Regioni e alle Province autonome di estendere la soglia di applicazione della procedura semplificata agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico e di definire i casi in cui, essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto e delle opere connesse sono assoggettate all’autorizzazione unica, non permette esplicitamente alle Regioni di circoscrivere i soggetti che possono usufruire della stessa procedura. Per tale ragione, la disposizione impugnata invaderebbe tanto la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., cui afferirebbe la competenza in materia di promozione e sviluppo di fonti energetiche alternative, quanto l’art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto, che attribuisce alla Regione autonoma Sardegna soltanto una competenza concorrente in materia di produzione e distribuzione dell’energia elettrica.
4.- L’art. 18, comma 20, prevede che «I soggetti di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 (Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale), che intendono accedere all’esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive ai sensi dell’articolo 17, comma 5, della legge regionale 29 aprile 2003, n. 3 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2003), trasmettono alla direzione generale dell’Assessorato regionale della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio, entro i termini previsti per la presentazione della dichiarazione dei redditi, una comunicazione con la quale attestano di avere diritto all’esenzione. La mancata trasmissione della comunicazione entro i termini previsti comporta la decadenza dall’esenzione. La Giunta regionale, su proposta dell’Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio, disciplina le modalità per la presentazione delle comunicazioni di cui al presente comma e delle comunicazioni previste dall’articolo 2, commi 11 e 12, della legge regionale n. 1 del 2009». Tale disciplina, secondo il ricorrente, imporrebbe delle condizioni particolarmente restrittive nei confronti delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus) che operano nella Regione autonoma Sardegna: per godere dell’esenzione disposta dalla medesima legislazione regionale, esse sarebbero costrette, a pena di decadenza, a presentare una comunicazione ulteriore rispetto a quella già prevista dall’ordinamento, in base all’art 11, comma 2, del d.lgs. n. 460 del 1997, necessaria per l’iscrizione all’anagrafe delle Onlus e che dev’essere presentata presso l’Agenzia delle entrate. La normativa regionale, imponendo un onere ulteriore, eccederebbe le competenze statutarie, ponendosi in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in quanto l’art. 21 del d.lgs. n. 460 del 1997 riconosce agli enti territoriali il potere di ridurre o esentare dal pagamento dei tributi di loro pertinenza, ma non quello di introdurre obblighi ulteriori a carico dei contribuenti. Inoltre, la normativa regionale censurata si porrebbe in contrasto con il principio generale dell’ordinamento tributario di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), art. 6, comma 4, secondo cui al contribuente non possono essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche.
5.- L’art. 18, comma 23, lettera c), della legge impugnata, sostituendo l’art. 6, comma 3, della legge della Regione autonoma Sardegna 23 maggio 2008, n. 6 (Legge-quadro in materia di consorzi di bonifica), prevede che «I consorzi di bonifica possono realizzare e gestire tali impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili anche in deroga al limite dell’autoconsumo». Questa disposizione contrasterebbe con la normativa statale di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), laddove prevede che l’autoproduttore è colui il quale produce energia elettrica e la utilizza in misura almeno del 70 per cento l’anno per uso proprio o «delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica». La disposizione indubbiata consentirebbe una deroga al limite dell’autoconsumo, in contrasto con la disciplina statale e pertanto violerebbe l’art. 4 dello statuto regionale in materia di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, che impone alla Regione di rispettare i limiti dei principi posti dalle leggi dello Stato. La norma invaderebbe inoltre la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» prevista all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto, come sarebbe stato riconosciuto ampiamente dalla Corte costituzionale, la promozione e lo sviluppo delle fonti energetiche alternative rientrerebbero nella materia predetta.
6.- Il ricorrente affronta poi le censure nei confronti degli articoli 20 e 21 della legge regionale impugnata.
6.1.- L’articolo 20, comma 1, effettuando un’interpretazione autentica dell’art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna del 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), prevede che l’Amministrazione regionale sia autorizzata a finanziare programmi pluriennali di stabilizzazione dei lavoratori precari delle amministrazioni locali. Tali programmi pluriennali devono prevedere l’assunzione a tempo pieno e indeterminato, previo superamento di una selezione concorsuale, finalizzata alla verifica dell’idoneità ad espletare le mansioni di servizio della qualifica nella quale i lavoratori verranno inquadrati. Questi programmi contemplano l’assorbimento degli idonei entro un triennio e sono attuati dagli enti locali interessati con riferimento al personale precario che, entro la data di entrata in vigore della disposizione interpretativa, abbia maturato almeno trenta mesi di servizio nelle pubbliche amministrazioni locali, anche non continuativi.
La disposizione impugnata, anche a seguito dell’interpretazione autentica, a detta del ricorrente manterrebbe i profili d’illegittimità delle leggi della Regione autonoma Sardegna precedentemente impugnate. In particolare, il programma pluriennale di stabilizzazione del personale precario contrasterebbe con l’art. 17, commi 10 e 12, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, che non consentirebbe una generica stabilizzazione del personale. Tali disposizioni statali, infatti, prevedono che nel triennio 2010-2012 le amministrazioni pubbliche, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno e dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in materia di assunzioni e di contenimento della spesa per il personale, possano bandire concorsi per assunzioni a tempo indeterminato con una riserva dei posti non superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso. Il legislatore regionale, prevedendo, all’art. 20 impugnato, disposizioni in contrasto con l’art. 17, commi 10 e 12, del decreto-legge sopra menzionato, eccederebbe la propria competenza in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale» stabilita all’art. 3, lettera a), dello statuto, e invaderebbe quelle statali in materia di ordinamento civile e coordinamento della finanza pubblica, contemplate rispettivamente all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione. Inoltre, la disposizione regionale, consentendo lo stabile inserimento dei lavoratori nei ruoli delle amministrazioni regionali previo il superamento di una generica procedura selettiva, violerebbe l’articolo 97 della Costituzione, che esige il concorso quale modalità di reclutamento.
6.2.- L’art. 20, comma 2, modifica il comma 1-quater dell’art. 7 della legge regionale del 19 gennaio 2011, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione), disponendo che al personale di cui al comma 1-ter che svolga o abbia svolto il proprio servizio come ultima sede nell’ente locale proponente il programma, sono attribuiti, in via prevalente, l’esercizio di funzioni e compiti relativi a materie delegate o trasferite dalla Regione al sistema delle autonomie locali. Tale norma configurerebbe una deroga ai limiti di spesa e di organico per le assunzioni negli enti locali e pertanto si porrebbe in contrasto con l’art. 17, commi 10 e 12, del d.l. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102 del 2009, sopracitato. Inoltre, i commi novellati si porrebbero in contrasto con l’art. 14, comma 9, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge 30 luglio 2012, n. 122, che fissa, a decorrere dall’inizio del 2011, un limite percentuale di assunzioni rispetto alle cessazioni dal servizio verificatesi nel 2010. A detta del ricorrente, la giurisprudenza costituzionale avrebbe stabilito che il finanziamento da parte della Regione di programmi di stabilizzazione che prescindano dall’espletamento di concorsi si pongono in contrasto con l’art. 97 Cost., quanto all’obbligo di concorso ai fini del reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni: obbligo cui sarebbe consentito derogare solo a fronte di esigenze particolari e con la garanzia della professionalità dei prescelti. Inoltre, la Corte avrebbe già affermato che la prestazione di attività a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione regionale non possa essere considerata un valido presupposto per una riserva di posti, e che il superamento di una qualsiasi selezione, presso qualsiasi ente, sia requisito troppo generico per consentire una successiva stabilizzazione.
6.3.- L’art. 21, che si occupa del superamento del precariato, prevede che l’Amministrazione regionale, attraverso l’Assessorato competente, predisponga, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, un programma con le misure da adottare per promuovere le opportunità di lavoro stabile per i lavoratori socialmente utili ai sensi del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’art. 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144). Tale programma tiene conto della collocazione dei lavoratori, dando priorità agli attuali enti utilizzatori che possono continuare ad avvalersi degli stabilizzati senza costi aggiuntivi a carico del loro bilancio. Questa disposizione, che secondo il ricorrente riserva la totalità dei posti al personale interno, sarebbe in contrasto con l’art. 12, comma 4, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196), il quale prevede che ai lavoratori socialmente utili gli enti pubblici possano riservare una quota del 30 per cento dei posti da ricoprire attraverso una procedura selettiva. Del resto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 274 del 2003, avrebbe già dichiarato illegittimo l’art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 8 agosto 2002, n. 11 (Norme varie in materia di personale regionale e modifiche alla legge regionale 13 novembre 1998, n. 31), nella parte in cui prevedeva l’immissione nei ruoli organici dei soggetti addetti ai lavori socialmente utili destinando loro il 50 per cento dei posti vacanti. Queste disposizioni, ponendosi in contrasto con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, violerebbero gli artt. 3 e 97 della Costituzione ed in particolare la regola del pubblico concorso, che è principio dell’ordinamento giuridico cui Stato e Regioni devono parimenti sottostare.
7.- Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, con atto depositato il 4 ottobre 2011, deducendo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.
8.- In riferimento alla prima doglianza, relativa all’art. 3, comma 1, della legge impugnata, la resistente ne deduce in primo luogo l’inammissibilità. Il ricorrente non darebbe infatti conto, nel ricorso, del precetto di rango costituzionale che imporrebbe alla Regione di legiferare in materia tributaria e patrimoniale soltanto in base a norme di attuazione statutaria; sul punto l’impugnazione sarebbe dunque apodittica.
8.1.- Inoltre, la resistente deduce l’infondatezza del ricorso sul punto. Infatti, lo statuto sardo avrebbe una immediata efficacia precettiva rispetto al caso in esame. L’art. 8 dello statuto, individuando esattamente di quali entrate tributarie disponga la Regione, già contemplerebbe il potere di accertamento con riferimento alle compartecipazioni regionali ai tributi erariali. Nell’elencare le voci di entrata, non prospetterebbe la necessità di alcun trasferimento di funzioni o del loro esercizio coordinato, poiché già individua precisamente l’ammontare delle entrate regionali. Residuerebbe invece alla Regione il solo potere di adottare i provvedimenti normativi che nell’art. 8 trovano fondamento, e rispetto ai quali l’attività legislativa regionale si pone come condizione affinché lo statuto produca i suoi effetti. In questo senso deporrebbe la giurisprudenza costituzionale, la quale avrebbe statuito che, nei casi in cui la sfera di attribuzioni regionali sia già individuata dallo statuto, ciò conferisca già alle autonomie i poteri legislativi e amministrativi in materia.
9.- A detta della resistente, la seconda doglianza, relativa all’art. 17, comma 9, sarebbe ugualmente infondata. Infatti, come si ricaverebbe dal medesimo testo censurato, la Regione autonoma Sardegna avrebbe legiferato nell’esercizio di attribuzioni conferitele dall’art. 9, comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2001, ai sensi del quale le Regioni possono estendere la procedura semplificata agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico, definendo inoltre i casi in cui, a causa della necessità di autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse da quella comunale, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto e delle opere connesse sono assoggettate all’autorizzazione unica, prevista dal medesimo decreto legislativo all’art. 5. A detta della resistente, dall’articolo 9, comma 9, del decreto sopracitato non si evincerebbe che l’unico potere d’intervento regionale riguarderebbe la determinazione della potenza massima dell’impianto che si può assoggettare alla procedura semplificata. Al contrario, poiché la normativa statale legittima le Regioni, oltre ad individuare la potenza massima nel limite superiore di 1 MW, anche a stabilire i «casi» da sottoporre alla procedura semplificata, il legislatore regionale avrebbe semplicemente utilizzato uno spazio normativo pienamente contemplato dal legislatore statale individuando i casi in cui, pertanto, questa procedura semplificata non si applica.
In secondo luogo, la Regione autonoma Sardegna, ai sensi dell’art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto, ha competenza concorrente in materia di «produzione e distribuzione dell’energia elettrica»: e la disposizione impugnata ricadrebbe nell’ambito riservato alla competenza regionale.
10.- Quanto alla terza doglianza, riguardante l’art. 18, comma 20, della legge impugnata, relativa all’onere per i soggetti Onlus che intendano beneficiare dell’esenzione stabilita ai sensi dell’articolo 17, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 29 aprile 2003, n. 3 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2003), la resistente ne sostiene l’infondatezza. La difesa regionale evidenzia che la disposizione non imporrebbe un ulteriore onere burocratico, ma introdurrebbe uno strumento, quello dell’autocertificazione, ispirato all’orientamento attuale di snellimento delle procedure, a favore innanzitutto del medesimo contribuente. In tal modo, eviterebbe alla Regione di interrogare il Ministero delle finanze, che gestisce l’anagrafe unica delle Onlus, in riferimento al regime applicabile a tali enti. La soluzione normativa della legislazione sarda gioverebbe al contribuente, «che ha tutto l’interesse a potersi qualificare autonomamente attraverso un’autocertificazione».
Inoltre, per la parte resistente, l’autocertificazione sarebbe necessaria in base al medesimo art. 21 del d.lgs. n. 460 del 1997 che consente di introdurre agevolazioni a favore dei soggetti non lucrativi. Infatti, l’agevolazione non sarebbe automatica, ma esigerebbe che il contribuente faccia richiesta di applicazione dell’agevolazione. Pertanto, in caso di mancata trasmissione della qualifica, ai sensi della legislazione statale il soggetto non profit decadrebbe dall’agevolazione: effetto esattamente ribadito dal legislatore regionale.
Infine, l’autocertificazione prevista dalla normativa impugnata non costituirebbe un onere ulteriore, giacché la comunicazione di avvalersi dell’esenzione da parte del beneficiario può essere effettuata fino al momento della dichiarazione dei redditi e insieme alla stessa. Pertanto, il contribuente non viene onerato di una ulteriore scadenza.
11.- Con riferimento alla quarta doglianza, la resistente ne sostiene l’inammissibilità. Nella lettura del ricorso offerta dalla parte resistente, il ricorrente lamenterebbe la violazione, quale parametro interposto di costituzionalità, dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999, che qualifica l’autoproduttore di energia elettrica. L’articolo 2, rubricato «definizioni», non prescriverebbe nulla, ma semplicemente individuerebbe la figura dell’autoproduttore. La questione potrebbe invece essere scrutinata nel merito solo sulla base di una norma regionale applicativa della qualificazione, oppure individuando una norma statale che concretamente impedisca ai consorzi di bonifica di realizzare e gestire impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili in deroga al limite dell’autoconsumo.
12.- Quanto alle doglianze relative all’art. 20, commi 1, 2 e 3, la resistente nota innanzitutto che il comma 3 non è affrontato dal ricorrente se non nell’epigrafe del ricorso. Pertanto, non sarebbe coinvolto in alcuna censura.
12.1.- Quanto all’art. 20, comma 1, la censura sarebbe infondata con riferimento a tutti i parametri invocati dal ricorrente.
12.2.- In primo luogo, il comma in esame non violerebbe l’obbligo di concorso sancito all’art. 97 Cost. per il reclutamento del personale degli enti pubblici. Infatti, la norma impugnata esige che i candidati superino una specifica selezione concorsuale, funzionale alla verifica dell’idoneità all’espletamento delle mansioni, e pertanto non configurerebbe una stabilizzazione automatica del personale; al contrario, prevedrebbe una selezione concorsuale in aderenza al parametro di costituzionalità evocato.
12.3.- In secondo luogo, il comma non si porrebbe in contrasto con l’art. 17, commi 10 e 12, del d.l. n. 78 del 2009, in materia di riserve di posti, in quanto non si esprimerebbe sulla quota massima, individuata dal legislatore statale nel 40% dei posti messi a concorso.
12.4.- In terzo luogo, il comma non violerebbe nemmeno l’art. 117, terzo comma, Cost.: il parametro sarebbe innanzitutto enunciato, senza che il ricorrente motivi sul punto. Inoltre, non sarebbe violata la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, dal momento che la normativa regionale censurata non presenta alcun profilo finanziario, nemmeno per quanto concerne il rapporto tra cessazioni e nuove assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, programmato dal legislatore statale.
12.5.- La normativa non violerebbe nemmeno l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in materia di ordinamento civile, in quanto la disposizione non configurerebbe una nuova tipologia di rapporto di lavoro al servizio della pubblica amministrazione, ma si limiterebbe a dare avvio ad un procedimento amministrativo, che non rientra nell’area dell’ordinamento civile, materia, quest’ultima, che non può essere intesa come capace di assorbire tutte le competenze della Regione sul personale regionale. Diversamente, una lettura che assorbisse all’ordinamento civile tali legislazioni annichilirebbe la potestà legislativa regionale.
13.- Quanto all’art. 20, comma 2, della legge impugnata, riguardante le assunzioni di personale, in relazione alla menzione che tali assunzioni avverrebbero anche in deroga ai limiti di spesa e di organici stabiliti nei confronti degli enti locali, la resistente precisa che tali deroghe farebbero riferimento alla disciplina regionale, non a quella dettata dal legislatore statale.
14.- Quanto alla doglianza relativa all’art. 21 della normativa oggetto d’impugnazione, la resistente ne sostiene innanzitutto l’inammissibilità, poiché il ricorrente si limiterebbe ad evocare, senza argomentare, l’applicabilità del parametro interposto di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 468 del 1997, riguardante i lavoratori socialmente utili.
14.1.- Inoltre, la resistente motiva per l’infondatezza, sostenendo che la disposizione censurata si limiterebbe ad attribuire all’Assessorato competente in materia di lavoro la competenza a predisporre un programma di misure da adottare nei confronti dei cd. “lavoratori socialmente utili”, non disponendo alcuna quota di riserva a loro favore. Dunque non vi sarebbe alcun superamento delle quote di riserva stabilite dal legislatore statale.
15.- Con ulteriore memoria depositata nella cancelleria il 2 marzo 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ulteriormente dedotto in merito alle eccezioni d’inammissibilità e d’infondatezza prospettate dalla resistente.
16.- Quanto alla prima doglianza, il ricorrente evidenzia di aver chiaramente indicato nell’art. 56 dello statuto della Regione autonoma Sardegna il parametro di rango costituzionale violato: la legislazione regionale avrebbe introdotto un precetto finalizzato a dare esecuzione all’art. 8, che disciplina la compartecipazione regionale al gettito tributario, eludendo la procedura di cui all’art. 56 predetto. Il ricorrente fa leva sulla versione previgente dell’art. 8 evidenziando che allora la disposizione aveva un contenuto precettivo di compiutezza e determinazione di grado analogo a quello attualmente vigente, ma ciò aveva comunque imposto di adottare il d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna) per attuare l’art. 8 dello statuto, con riferimento agli articoli da 32 a 38. Ciò, sostiene il ricorrente, comproverebbe che il grado di definizione dei precetti non vale, in sé, a escludere la necessità di un’attuazione dello statuto, che deve necessariamente svolgersi nelle forme previste da quest’ultimo.
La giurisprudenza richiamata dalla resistente a sostegno dell’autoapplicatività dello statuto sarebbe inconferente, poiché nei casi pregressi la Corte costituzionale aveva ritenuto non necessario adottare il procedimento di attuazione statutaria in quanto questo riguardava ambiti di competenza esclusiva degli enti territoriali, mentre in questo caso la disciplina regionale inciderebbe sul sistema tributario e contabile dello Stato, riservato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla legislazione esclusiva statale. In quest’ambito, dovrebbe dunque seguirsi la procedura prevista dallo statuto.
Inoltre, la violazione degli articoli da 32 a 38 del d.P.R. n. 250 del 1949 dedotta nell’atto introduttivo sarebbe relativa ad alcuni tributi che ancora vigono e che quindi devono ancora orientare il legislatore regionale nella sua attività normativa.
Infine, venendo al contenuto dell’articolo impugnato, il ricorrente nota che la previsione che gli accertamenti delle compartecipazioni regionali ai tributi erariali siano effettuati anche giovandosi degli indicatori relativi ai gettiti tributari sarebbe un precetto estremamente generico, di incerta applicazione, che conferirebbe all’amministrazione regionale un’ampia discrezionalità.
17.- Con riferimento alla seconda doglianza, il ricorrente evidenzia che la legge nazionale prevede la possibilità di applicare una procedura abilitativa semplificata, consentendo alle Regioni di individuare i casi in cui la realizzazione degli impianti di generazione di energia elettrica di biogas e biometano segua tale procedura. Al contrario, la disposizione censurata introdurrebbe una ulteriore specificazione riferita ai soggetti che possono utilizzare tale procedura, limitandone l’ambito di operatività a categorie specifiche di operatori economici. Questa opzione rischierebbe «di determinare ingiustificate disparità di trattamento a livello nazionale» e non troverebbe fondamento nell’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2011.
18.- Con riferimento alla terza doglianza, relativa all’introduzione dell’onere per le Onlus di comunicare all’amministrazione regionale la volontà di valersi dell’esenzione con riferimento all’IRAP, il ricorrente rileva come questa previsione costituisca un aggravamento procedurale per i soggetti interessati dall’esenzione.
19.- Con riferimento alla quarta doglianza, il ricorrente evidenzia come l’intervento normativo regionale consenta al consorzio idrico di divenire, grazie alla deroga rispetto ai limiti dell’autoproduzione, un produttore di energia elettrica a tutti gli effetti, anziché di soddisfare esigenze energetiche accessorie al servizio idrico rispetto al quale opera, e che aveva condotto il legislatore statale ad inserirlo tra gli autoproduttori in ragione della sua funzione mutualistica.
20.- Quanto alle doglianze relative alle norme regionali in materia di stabilizzazione del precariato e assorbimento dei lavoratori socialmente utili, il ricorrente ribadisce che la disciplina darebbe luogo ad una violazione dell’art. 97 Cost. e all’esigenza cui tale articolo risponde, ossia predisporre per il reclutamento nella pubblica amministrazione di strumenti di selezione trasparente, comparativa e aperta. La giurisprudenza costituzionale avrebbe, insiste il ricorrente, ritenuto ingiustificato riservare posti ai soggetti che già avessero prestato servizio a tempo determinato nell’amministrazione interessata, in assenza di ragioni di natura eccezionale.
La formulazione dell’articolo contrasterebbe inoltre con l’art. 117, terzo comma, in materia di coordinamento della finanza pubblica, derogando alle prescrizioni in materia di assunzioni e riserve di posti fissate a livello nazionale dagli articoli 14, comma 9, e art. 17, commi 10 e 12, del decreto legge n. 78 del 2009, che troverebbero ovvia giustificazione nella necessità di coordinare il sistema di finanza pubblica.
21.- Quanto alla doglianza specifica relativa all’art. 21 della legge della Regione autonoma Sardegna, relativa all’assorbimento nei ruoli delle amministrazioni locali dei lavoratori socialmente utili, il ricorrente evidenzia che, sebbene la resistente affermi che la disciplina impugnata non intende intaccare il limite individuato dalla norma statale, l’evoluzione normativa cui ha dato corso la Regione deporrebbe per la conclusione opposta. Infatti, il ricorrente sottolinea che la Corte costituzionale si era già espressa su un’analoga normativa della Regione, contenuta nell’art. 3 della legge regionale n. 11 del 2002, concludendo per l’infondatezza delle censure in ragione della situazione temporale delimitata che rendeva non irragionevole quella disciplina.
22.- La parte resistente ha presentato ulteriori deduzioni, depositando una memoria nella cancelleria della Corte il 13 marzo 2012.
23.- Quanto alla doglianza relativa al potere di accertamento di cui all’art. 3, comma 1, della legge impugnata, la resistente continua ad opinare per l’inammissibilità e l’infondatezza, per ulteriori ragioni rispetto a quelle già avanzate in sede di costituzione. Infatti, il ricorrente innanzitutto non evocherebbe gli articoli 3 e 7 dello statuto, che, al contrario, enumerano le materie di competenza regionale esclusiva attribuendo alla Regione la relativa autonomia finanziaria. Autonomia che costituisce la base sulla quale si costruirebbe la disposizione impugnata.
Inoltre, l’art. 3, comma 1, non esigerebbe alcun genere di adempimento da parte dell’Amministrazione statale, inserendosi nell’attività amministrativa di redazione del bilancio regionale, di piena competenza dell’amministrazione dell’ente.
Infine, con la sua impugnazione sul punto il ricorrente sovrapporrebbe le nozioni di «attuazione» ed «esecuzione» dello statuto, visto che l’art. 8 di quest’ultimo non avrebbe bisogno di attuazione, essendo il suo contenuto immediatamente precettivo.
24.- Quanto alla censura dell’art. 17, comma 9, che individua i soggetti abilitati ad accedere al procedimento autorizzatorio semplificato per realizzare e gestire impianti utilizzanti biogas e biometano, la Regione ribadisce le ragioni dell’infondatezza.
25.- Quanto alla lamentata illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 20, che impone che le Onlus operanti sul territorio regionale debbano comunicare all’amministrazione regionale la volontà di avvalersi dell’esenzione dall’IRAP, il ricorrente pretenderebbe di eliminare la discrezionalità della Regione rispetto ai medesimi procedimenti amministrativi di sua competenza, in contrasto con quanto sancito dalla giurisprudenza costituzionale. Le scelte legislative regionali sul punto, del resto, non determinerebbero alcun significativo aggravio procedimentale per le organizzazioni non lucrative, ma anzi consentirebbero di avvalersi dell’autocertificazione da parte dei richiedenti, in linea con la tendenza al ricorso a questo istituto, ai fini di snellimento delle procedure. Del resto, i principi generali dell’ordinamento giuridico non solo consentirebbero, ma persino imporrebbero di stabilire termini perentori per la presentazione della richiesta di accedere ad un beneficio.
26.- Rispetto alla lamentata illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 23, lettera c), della legge censurata, la resistente ne ribadisce l’inammissibilità per il fatto che il parametro interposto invocato, che definisce l’autoproduttore, ne offrirebbe semplicemente la nozione e mancherebbe dunque l’indicazione di una norma statale che vieti alla regione di adottare la legislazione censurata.
27.- Quanto agli artt. 20, commi 1 e 2, e 21 della medesima legge, la Regione prende atto della sentenza di questa Corte n. 30 del 2012, nel frattempo intervenuta e, per quanto riguarda la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, evidenzia che le censure muovono da un’interpretazione delle norme che risulterebbe indimostrata. Infatti, il ricorrente ritiene che la normativa preveda una copertura di posti di ruolo e una riserva in favore di specifiche categorie di personale, senza offrire un’argomentazione a supporto di tale interpretazione. Sul punto, dunque, il ricorso sarebbe inammissibile.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli articoli 3, comma 1, 17, comma 9, 18, commi 20 e 23, lettera c), 20, commi 1 e 2, e 21 della legge della Regione autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori d’intervento).
2.- La prima doglianza si riferisce all’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2011. Tale disposizione prevede che, ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia della Regione Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), modificato dall’art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007), «in assenza dell’adeguamento delle relative norme di attuazione […], gli accertamenti delle compartecipazioni regionali ai tributi erariali sono effettuati anche sulla base degli indicatori disponibili, relativi ai gettiti tributari». Tale previsione, sostiene il ricorrente, configurerebbe un’attuazione unilaterale dello statuto in materia tributaria, che inciderebbe sulle attuali disposizioni di attuazione contenute in particolare negli articoli da 32 a 38 del d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna), senza rispettare le modalità previste dal medesimo statuto all’art. 56, ove si prevede l’intervento di una commissione paritetica.
2.1.- La parte resistente, al contrario, sostiene che tale doglianza sarebbe inammissibile, poiché il ricorrente non dimostrerebbe la necessità che il nuovo articolo 8 dello statuto riceva attuazione attraverso il procedimento previsto all’art. 56.
2.2.- L’eccezione d’inammissibilità deve essere accolta, per l’inadeguatezza e la genericità dei motivi di ricorso relativi all’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2011.
Il ricorrente, infatti, pur evocando gli articoli 4, 5 e 56 dello statuto, omette di argomentare le ragioni per le quali alla Regione non dovrebbe spettare il potere di quantificare l’ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali, al fine di redigere il bilancio di previsione. Né si fa menzione dell’articolo 7 dello statuto che, secondo la difesa regionale, garantisce l’autonomia finanziaria e contabile, nell’esercizio della quale, sempre secondo la difesa, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo art. 8 dello statuto, è stata emanata la norma impugnata, per consentire che fosse predisposto il bilancio regionale. Neppure il ricorrente spiega quali norme di attuazione si renderebbero necessarie per dare applicazione al nuovo art. 8 dello statuto, che determina la quota di tributi da trasferire alla Regione in riferimento a ciascuna compartecipazione. Del resto, tra le sentenze evocate dalla parte ricorrente (sentenze n. 213 del 1998, n. 160 del 1985, n. 180 del 1980 e n. 151 del 1972) sono inclusi casi che trattano di situazioni non assimilabili a quella qui in esame, in cui la legislazione statale, e non quella regionale, interveniva unilateralmente in ambiti riservati alle norme di attuazione.
Manca, dunque, da parte del ricorrente una sufficiente motivazione a sostegno dell’asserita necessità che il nuovo art. 8 dello statuto richieda di essere attuato con la procedura di cui all’art. 56.
3.- L’art. 17, comma 9, della legge regionale impugnata limita a soggetti individuati (imprenditori agricoli professionali iscritti da almeno tre anni alla Camera di commercio; giovani imprenditori agricoli; società agricole), la possibilità di esperire una procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti di generazione dell’energia elettrica da biometano e biogas.
Secondo il ricorrente, la delimitazione su base soggettiva della possibilità di ricorrere a tale procedura semplificata contrasterebbe con l’art. 6, comma 9, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), di talché la Regione, operando tale restrizione, avrebbe invaso tanto la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in cui rientrerebbero la promozione e lo sviluppo di fonti energetiche alternative, quanto l’art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto, che conferisce alla Regione autonoma Sardegna una competenza concorrente in materia di produzione e distribuzione dell’energia elettrica.
3.1.- La censura è fondata.
Il legislatore statale, infatti, attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e, con specifico riferimento alla Regione autonoma Sardegna, di cui all’art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto.
Questa Corte ha ripetutamente affrontato tale problematica con riferimento al decreto legislativo 29 dicembre del 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) (ex multis, sentenze nn. 310, 308 e 107 del 2011; nn. 194, 168, 124, 120 e 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del 2006), e al decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) (sentenze n. 308 del 2011 e n. 344 del 2010).
Nel caso oggi in esame, va riaffermato il medesimo principio con riferimento al decreto legislativo n. 28 del 2011, rispetto al quale la normativa regionale è in questa sede censurata. Il decreto legislativo n. 28 del 2011 reca norme di attuazione della direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009, che in materia di procedure di autorizzazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili invita gli Stati membri a preferire procedure semplificate e accelerate, prevedendo tra l’altro forme procedurali meno gravose per i progetti di piccole dimensioni (art. 13). L’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, in attuazione della direttiva europea sopra menzionata, disciplina una procedura abilitativa semplificata per la costruzione e l’esercizio di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, riconoscendo inoltre alle Regioni e alle Province autonome la facoltà di estendere «la soglia di applicazione della procedura semplificata […] agli impianti di potenza nominale fino a 1 MW elettrico, definendo altresì i casi in cui essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto e delle opere connesse sono soggette altresì all’autorizzazione unica», disciplinata al successivo art. 5 del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011. La disposizione statale, dunque, – recependo tanto il generale orientamento di favore della direttiva europea verso la produzione di energia da fonti rinnovabili (sentenza n. 124 del 2010), quanto, più specificamente, per gli aspetti procedimentali rilevanti ai fini della presente decisione, l’obiettivo di estendere al massimo il ricorso a procedure leggere, che incentivino l’insorgere di impianti anche di piccole dimensioni – ha introdotto una procedura semplificata, dando altresì facoltà alle Regioni di estenderne l’ambito di applicazione fino ad una soglia massima di potenza di energia elettrica pari a 1 MW. A fronte di tale disciplina, europea e nazionale, la legge regionale interviene con una disposizione restrittiva, che limita sul piano soggettivo il ricorso alla procedura semplificata, individuando nominativamente i tipi di operatori economici ammessi al beneficio procedurale. In tal modo la legge regionale si pone in contrasto con la disposizione statale contenuta nell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, considerata tanto nel suo tenore testuale, quanto nel principio fondamentale che essa esprime, di favore per la semplificazione delle procedure necessarie all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
In conclusione, la legislazione regionale censurata non può dirsi rientrare nei margini di scelta consentiti alle Regioni, poiché nella legislazione statale nulla permette di giustificare una restrizione all’accesso alla procedura semplificata su base soggettiva, sia per ragioni testuali, sia considerando lo spirito dell’intera normativa, vòlto a promuovere la diffusione delle energie rinnovabili.
4.- Anche la censura relativa all’art. 18, comma 20, della legge impugnata è fondata.
La disposizione prevede che le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), esentate dall’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) ai sensi dell’articolo 17, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 29 aprile 2003, n. 3 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2003), al fine di godere dell’esenzione debbano trasmettere alla direzione generale dell’Assessorato regionale della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio, negli stessi termini previsti per la presentazione della dichiarazione dei redditi, una comunicazione con la quale attestano di avere diritto all’esenzione; ciò a pena di decadenza dall’esenzione medesima. La norma rimette alla Giunta regionale la disciplina delle modalità di presentazione di tali comunicazioni.
4.1.- La normativa regionale è in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la piena potestà legislativa sul sistema tributario statale.
In primo luogo, la norma censurata introduce un onere burocratico che grava sulle Onlus al fine di poter beneficiare di una esenzione dall’IRAP. Una tale determinazione, tuttavia, non rientra nelle competenze regionali. Infatti, come da costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis sentenze n. 323 del 2011, n. 241 del 2004 e n. 296 del 2003), l’IRAP, sebbene sia percepita dalle Regioni e dalle Province autonome, è un tributo statale per sua natura, ed è disciplinato dalla legislazione statale. Alle Regioni e alle Province autonome residuano soltanto gli spazi normativi espressamente stabiliti dalla legislazione statale – fra tutti, e per quel che qui più interessa, il potere di disporre l’esenzione dal tributo per le Onlus. Al di fuori di quegli spazi, alle Regioni è precluso qualsiasi intervento normativo: non rientra dunque tra le competenze della Regione individuare le modalità con le quali i soggetti beneficiari possono avvalersi delle esenzioni di un tributo erariale.
Pertanto, nel disporre che le Onlus devono comunicare all’Assessorato regionale competente la volontà di avvalersi dell’esenzione, il legislatore regionale ha violato la competenza esclusiva statale in materia di tributi statali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
4.2.- Anche seguendo l’assunto della Regione circa la possibilità di intervenire sul tributo IRAP al di fuori degli spazi concessi espressamente dal legislatore statale, sarebbe comunque privo di fondamento l’argomento della resistente, secondo cui l’onere della comunicazione in realtà rappresenterebbe uno snellimento burocratico, in linea con gli orientamenti più recenti dell’ordinamento, che tendono a preferire il ricorso all’autocertificazione. Secondo la resistente, l’autocertificazione dell’organizzazione interessata eviterebbe alla Regione di doversi attivare per ottenere informazioni in possesso dell’amministrazione statale relative alle Onlus presenti sul territorio regionale per poi poter applicare l’esenzione, a tutto vantaggio del soggetto che intende avvalersi dell’esenzione tributaria.
Queste affermazioni non sono condivisibili. Infatti, l’onere di comunicazione si aggiunge a quelli già gravanti sulle Onlus, e dunque non rappresenta uno snellimento, nella prospettiva di tali enti. Si deve, tra l’altro, notare che l’IRAP dev’essere versata in ogni Regione nella quale venga svolta l’attività produttiva – il che significa che una Onlus presente in più territori, seguendo il ragionamento svolto dalla resistente, potrebbe incontrare non solo diversi regimi di IRAP, ma persino diversi oneri apposti alle agevolazioni. La normativa impugnata ha dunque un contenuto che complica, piuttosto che semplificare, gli adempimenti a carico delle Onlus, e sicuramente non è idonea ad alleggerire il quadro dell’iter burocratico.
5.- La questione relativa all’art. 18, comma 23, lettera c), della legge regionale impugnata è inammissibile.
La disposizione oggetto della censura sostituisce l’art. 6, comma 3, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 6 del 2008, prevedendo che i consorzi di bonifica possano realizzare e gestire impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili anche in deroga al limite dell’autoconsumo. Secondo il ricorrente, tale previsione verrebbe a collidere con l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), che, in attuazione del diritto dell’Unione europea, offre una definizione di autoproduttore. Tale qualifica spetta per legge a quei soggetti che producono energia elettrica e la utilizzano in misura almeno del 70 per cento l’anno per uso proprio o «delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica».
Il ricorrente mette in luce che la normativa regionale consente ai consorzi di bonifica di produrre energia elettrica anche in deroga al limite dell’autoconsumo, deducendone un contrasto con la legislazione statale; contrasto che costituirebbe una violazione tanto dell’art. 4 dello statuto, con riferimento alla competenza regionale in materia di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, quanto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema in via esclusiva.
Tuttavia, il ricorrente non spiega in cosa consista detto contrasto, atteso che la normativa regionale impugnata non stabilisce una nozione di autoproduttore diversa e incompatibile con quella fatta propria dal legislatore statale. Dalla disposizione impugnata si evince soltanto che il consorzio di bonifica può produrre energia oltre il limite fissato dal legislatore statale per l’autoconsumo, mentre non vi sono elementi che lasciano intendere che il consorzio che oltrepassi tale misura possa conservare la qualifica di autoproduttore, in spregio alla definizione fornita dal legislatore statale. Il ricorrente non svolge alcuna considerazione che sostanzi il contrasto tra le due normative che, in realtà, non paiono raffrontabili.
La questione è, dunque, inammissibile per genericità dei motivi di ricorso.
6.- L’articolo 20, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2011, censurato per violazione dell’art. 3, lettera a), dello statuto e 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma Cost., contiene una disposizione di interpretazione autentica dell’art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), a sua volta modificata dall’art. 7, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna del 19 gennaio 2011, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione). L’effetto interpretativo della disposizione impugnata è nel senso di autorizzare l’Amministrazione regionale a finanziare programmi pluriennali di stabilizzazione dei lavoratori precari delle amministrazioni locali.
Successivamente alla presentazione del ricorso, questa Corte, con sentenza n. 30 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 1 del 2011. La disposizione ora censurata, dunque, effettua un’operazione interpretativa di altra disposizione già dichiarata costituzionalmente illegittima.
Per tale ragione, la censura, secondo ormai consolidata giurisprudenza costituzionale (ex multis sentenza n. 397 del 2005), risulta inammissibile, poiché la disposizione oggetto del giudizio non può esplicare effetti nell’ordinamento.
7.- L’art. 20, comma 2, della legge regionale impugnata contiene una modifica dell’art. 7, comma 1, della legge regionale n. 1 del 2011.
Si noti, per inciso, che la disposizione impugnata asserisce erroneamente di modificare l’art. 7, comma 1-quater, della legge regionale n. 1 del 2011, che in realtà non esiste. L’unico significato plausibile della disposizione impugnata è che essa si prefigga di modificare non il comma 1-quater, ma il comma 1 dell’art. 7 della legge n. 1 del 2011, il quale introduceva il comma 1-quater all’art. 7 della precedente legge regionale n. 3 del 2009.
Posta questa necessaria precisazione, la disposizione impugnata dettaglia i criteri per l’individuazione e specifica le funzioni del personale da inserire nei programmi pluriennali di stabilizzazione di cui all’art. 20, comma 1: disposizione che, come si è detto poco sopra, è priva di effetti a causa dell’intervenuta sentenza di questa Corte n. 30 del 2012.
Per le medesime ragioni che sono alla base della dichiarazione di illegittimità costituzionale della previsione di programmi di stabilizzazione di lavoratori precari di cui alla sentenza n. 30 del 2012, più volte richiamata, occorre altresì dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata (art. 20, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2011), che di quei programmi contiene prescrizioni di attuazione.
8.- L’art. 21 della legge regionale impugnata prevede misure volte al superamento del precariato, attraverso la predisposizione da parte dell’Amministrazione regionale di un programma mirato a generare opportunità di lavoro per i qualificati come lavoratori socialmente utili. La norma prevede che l’Amministrazione regionale, attraverso l’Assessorato competente, predisponga, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, un programma con le misure da adottare per promuovere le opportunità di lavoro stabile per i lavoratori socialmente utili, come inquadrati dal decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’art. 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144). Tale programma, nella ricostruzione offerta dal ricorrente, riserverebbe la totalità dei posti di lavoro al personale interno, ponendosi in contrasto con l’art. 12, comma 4, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196) – il quale prevede che ai lavoratori socialmente utili gli enti pubblici possano riservare una quota del 30 per cento dei posti da ricoprire attraverso una procedura selettiva – e dunque con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, che, insieme, individuano nel pubblico concorso, aperto ed eventualmente con una riserva dei posti solo parziale e legata a ragioni specifiche, la modalità di reclutamento del personale di ruolo degli enti pubblici.
8.1.- La questione è fondata.
La disposizione impugnata, infatti, non resiste al controllo di legittimità costituzionale effettuato in base ai parametri evocati dal ricorrente, ossia gli articoli 3 e 97 della Costituzione, i quali prescrivono la regola del concorso pubblico ed aperto, sia al fine di garantire il perseguimento del buon andamento nell’azione amministrativa sin dalla selezione del suo ruolo, sia allo scopo di garantire a chiunque la possibilità di partecipare all’esercizio delle funzioni pubbliche (ex multis sentenza n. 293 del 2009). La normativa censurata consente l’attuazione di programmi volti alla creazione di posti di lavoro a favore dei cosiddetti lavoratori socialmente utili, anche con il coinvolgimento di società in house, e permette agli enti che li impiegano di continuare ad utilizzarli, accollando l’onere finanziario derivante dalla loro stabilizzazione all’amministrazione regionale. In sostanza, la disciplina regionale impugnata costruisce un progetto attraverso il quale inquadrare stabilmente i lavoratori socialmente utili all’interno delle amministrazioni regionali e locali, senza neppure predeterminare una quota massima di posti a loro destinati.
La circostanza che si tratti di una disposizione volta a favorire i cosiddetti lavoratori socialmente utili non esime il legislatore regionale dal rispetto delle norme costituzionali sopracitate, le quali chiaramente prescrivono, come già indicato da questa Corte, che si possa derogare al regime del pubblico concorso o prevedere una riserva di posti solo in presenza di puntuali requisiti, ossia la peculiarità delle funzioni che il personale deve svolgere o specifiche necessità funzionali dell’amministrazione (da ultimo, sentenze n. 56 del 2012 e n. 68 del 2011). Requisiti che in ogni caso dovrebbero rispettare i limiti imposti dalla legislazione statale sul punto, la quale ha fissato nel limite del 30 per cento la quota di posti che può essere riservata ai cosiddetti lavoratori socialmente utili.
La normativa impugnata non rispetta dunque le condizioni già da tempo esplicitate dalla giurisprudenza costituzionale, instaurando un progetto di stabilizzazione sciolto da qualsiasi specifica finalità amministrativa, se non quella risolventesi nell’inserimento stabile nei ruoli dell’Amministrazione di lavoratori appartenenti a detta categoria.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 9, della legge della Regione autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori d’intervento);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 20, della predetta legge regionale n. 12 del 2011;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2, della predetta legge regionale n. 12 del 2011;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21 della predetta legge regionale n. 12 del 2011;
5) dichiara inammissibile la questione relativa all’art. 3, comma 1, della predetta legge regionale n. 12 del 2011;
6) dichiara inammissibile la questione relativa all’art. 18, comma 23, lettera c), della predetta legge regionale n. 12 del 2011;
7) dichiara inammissibile la questione relativa all’art. 20, comma 1, della predetta legge regionale n. 12 del 2011.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2012.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 20 APR. 2012.