Centrale Rischi: lo stato di insolvenza non necessariamente coincide con quello previsto dalla disciplina fallimentare
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo – Presidente –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
R.C. (c.f. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, per procura speciale autenticata dal notaio Cito in data 5 febbraio 2010 rep. 102741, dall’avv. TRAVERSA Nicola ed elett.te dom.ta in Roma, Via L. Pulci n. 15 presso il Dott. Donato Traversa;
– ricorrente –
contro
ITALFONDIARIO s.p.a., quale mandataria della CASTELLO FINANCE s.r.l.
in virtù di procura autenticata da Allen Labor, notaio in Londra, in data 23 ottobre 2006, munita di apostille ai sensi della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 e depositata in Italia il 10 novembre 2006 presso il Dott. Mario Enzo Romano, notaio in Roma, al n. 373828 di rep. e n. 16489 di racc., in persona del Dott. Giuseppe Bottero, giusta poteri di firma conferitigli con atto in data 27 gennaio 2010 per notar Luca Amato di Roma, rep. 32109, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. PAVONI Domenico ed elett.te dom.ta presso lo studio del medesimo in Roma, Via Augusto Riboty n. 28;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce Sez. distaccata di Taranto n. 12/10 depositata il 16 gennaio 2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2 luglio 2013 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;
udito per la ricorrente l’avv. Nicola TRAVERSA;
udito per la controricorrente l’avv. Domenico PAVONI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del primo e del secondo motivo di ricorso e l’inammissibilità del terzo.
La Corte di Lecce Sez. distaccata di Taranto ha respinto l’appello proposto dalla sig.ra R.C. avverso la sentenza con cui il Tribunale di quest’ultima città, non definitivamente pronunciando sull’opposizione proposta dall’appellante e dal coobbligato in solido sig. d.C. a decreto ingiuntivo emesso nel 2002 su richiesta della Intesa Gestione Crediti s.p.a. per il pagamento di L. 147.151.438, quale residuo credito da revoca di affidamento, ha parzialmente accolto l’opposizione, dichiarando la nullità delle clausole contrattuali di capitalizzazione trimestrale degli interessi e rinvio alle condizioni praticate su piazza; ha invece respinto l’ulteriore domanda degli opponenti volta alla cancellazione della segnalazione, effettuata dalla banca, dei loro nominativi alla Centrale dei rischi presso la Banca d’Italia per l’inserimento nella sezione “sofferenze”.
La Corte ha ritenuto:
infondata l’eccezione di difetto d’interesse dell’intimante ad agire in via monitoria, ribadita dall’appellante sul rilievo che la banca aveva già a disposizione un titolo esecutivo costituito da atto di ricognizione di debito del 16 marzo 1998: infatti la scrittura privata autenticata, in cui era contenuta la ricognizione di debito, non è titolo esecutivo e quella in possesso della banca era, oltretutto, priva della formula esecutiva, e comunque soltanto il possesso di un titolo giudiziale è incompatibile con l’interesse ad agire in giudizio;
– sussistente la legittimazione processuale del rappresentante della parte opposta, tale avv. Giuseppe Altamura, essendo stata la procura in suo favore depositata in corso di giudizio;
– infondata la domanda di cancellazione della segnalazione alla centrale rischi, sussistendo il presupposto dell’insolvenza – nel peculiare senso, indicato dalla giurisprudenza di legittimità, di valutazione negativa della situazione patrimoniale evincibile anche da una grave difficoltà economica che induce la definitiva irrecuperabilità del credito – della debitrice, deducibile da una pluralità di inadempimenti, precetti, protesti, dalla costituzione di garanzie reali in favore di altri istituti di credito, dall’esistenza di procedure esecutive infruttuose.
La sig.ra R. ha quindi proposto ricorso per cassazione con tre motivi di censura. Ha resistito con controricorso l’Italfondiario s.p.a. quale mandataria della Castello Finance s.r.l., cessionaria del credito oggetto di causa.
1. – Va esaminato con priorità il terzo motivo di ricorso, con cui si denuncia il difetto di legittimazione processuale da parte della banca intimante.
1.1. – La censura non può trovare accoglimento.
Nel ricorso, dopo ampi riferimenti alle eccezioni sollevate in propoposito dalla ricorrente nei due gradi del giudizio di merito, si lamenta che la Corte d’appello abbia sbrigativamente risposto che “la procura risulta essere poi stata depositata agli atti”. Si osserva, quindi, che “l’errore è evidente ed anche ripetuto nei gradi e con le varie pronunce di merito”, ma si fa poi riferimento, in concreto, alla fase monitoria e si riporta, tra virgolette, il seguente passo di un precedente atto non specificato: “Il ricorso per ingiunzione di pagamento opposto indica solo sommariamente e confusamente tutta una serie di atti e rogiti posti a fondamento della asserita legittimazione ad agire, senza tuttavia in alcun modo esibire alcuno di essi atti, ed omettendo perfino di dichiarare le generalità dei legali rappresentanti delle società (Intesa Gestione Crediti, e successive trasformazioni) e comunque di esibire qualsiasi documento valido e giustificativo dei supposti poteri di rappresentanza”. La ricorrente dunque prosegue osservando che pertanto “non è stato possibile affermare che il potere rappresentativo asserito sussistesse effettivamente, nè è stato possibile accertare a chi tale potere competesse, nè entro quali limiti fosse riconoscibile, nè per quali atti”; traendone la conclusione della “nullità ed inammissibilità della procedura monitoria” e osservando, infine, che “la legittimazione processuale della quale stiamo parlando, dipende, com’è noto, da un requisito anteriore alla proposizione della domanda che deve esistere al momento della proposizione della stessa e non poi, come recita la sentenza della corte territoriale”.
Da quanto sopra deve ricavarsi che dunque le doglianze della ricorrente sono riferite alla legittimazione processuale nella fase monitoria, ossia alla sussistenza dei poteri rappresentativi di chi ha sottoscritto la procura ad litem per l’istanza di ingiunzione.
Questo soggetto è, come si legge nella sentenza impugnata ed è confermato nel ricorso, l’avv. Giuseppe Altamura.
Sennonchè la procura in favore di quest’ultimo risulta, secondo la sentenza impugnata, prodotta in corso di causa. Sul punto l’unica censura articolata con il ricorso, per quanto sopra si è visto, risulta essere l’inammissibilità della produzione dopo l’introduzione del giudizio; censura, però, manifestamente infondata alla luce del disposto dell’art. 182 c.p.c., che prevede appunto il potere-dovere del giudice di sollecitare le parti ad integrare gli atti difettosi, con particolare riferimento al difetto di rappresentanza.
2. – Con il primo motivo di ricorso viene riproposta l’eccezione di difetto di interesse della banca ad agire in via monitoria, essendo già munita di titolo esecutivo (atto ricevuto da notaio, secondo la ricorrente, anche se nella sentenza impugnata si parla di scrittura privata autenticata priva di tale efficacia) e di ipoteca volontaria a garanzia del proprio credito.
2.1. – A prescindere dalla esatta qualificazione del documento in possesso della banca (atto pubblico oppure scrittura privata autenticata, in astratto rilevante posto che l’attribuzione della esecutività alle scritture private autenticate è successiva all’emissione del decreto ingiuntivo, datando soltanto dal 1 marzo 2006, ai sensi del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif. in L. 14 maggio 2005, n. 80, e della L. 28 dicembre 2005, n. 263), il motivo è infondato. Infatti, per chi sia già titolare di ipoteca volontaria, non è esclusa l’utilità dell’ipoteca giudiziale iscrivibile in base al decreto ingiuntivo, che potrebbe riguardare eventuali ulteriori beni del debitore anche acquisiti in seguito.
Inoltre l’interesse ad agire in via monitoria può trovare comunque fondamento nella stabilità tipica dell’accertamento giudiziale, costituita dal giudicato, che assicura alla successiva esecuzione coattiva basi più solide restringendo i margini di errore (sanzionabile ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2) e di possibile opposizione da parte del debitore: del che è conferma proprio la causa in esame, in cui il titolo posseduto dalla banca – la promessa di pagamento – è stato appunto contestato, non senza un parziale successo, dagli opponenti. Del resto sinora questa Corte ha negato la proponibilità della domanda monitoria soltanto nel caso in cui l’intimante abbia già ottenuto sentenza di condanna del debitore (cfr. Cass. 9695/2009, 15084/2006, 20304/2004, 6525/1997, 873/1974) o disponga di verbale di separazione consensuale dei coniugi omologato dal tribunale (Cass. 9393/1994, 1188/1978).
3. – Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, si censura il rigetto della domanda di cancellazione dalla della segnalazione alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia per avere la Corte d’appello basato la prova dello stato di insolvenza della debitrice su circostanze solo enunciate, ma prive di alcun riscontro nella realtà e negli atti processuali.
3.1. – Il motivo è fondato.
La Corte d’appello, dopo aver precisato che lo stato di insolvenza rilevante ai fini della segnalazione del debitore alla Centrale rischi non si identifica con quello proprio della disciplina fallimentare, ma scaturisce da una “valutazione negativa della situazione patrimoniale evincibile anche da una grave difficoltà economica che induce la definitiva irrecuperabilità del credito”, ha immediatamente dopo affermato che nella specie “l’esistenza di una pluralità di inadempimenti (precetti, protesti), della costituzione di garanzie reali in favore di altri istituti, nonchè l’esistenza di procedure esecutive infruttuose” attestavano siffatta difficoltà da parte della debitrice.
La mancanza, però, di qualsiasi ulteriore specificazione delle predette circostanze e dei dati istruttori dalle quali emergerebbero, unitamente alla netta smentita proveniente dalla ricorrente, rendono insuperabilmente insufficiente la motivazione in fatto della sentenza impugnata.
4. – La sentenza impugnata va in conclusione cassata, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, che provvederà anche sulle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e il terzo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2013