Anche la moglie deve versare l’assegno di mantenimento al marito
Indice
Nella sentenza si stabilisce che la moglie benestante deve versare al marito separato un assegno di mantenimento con un importo adeguato all’alto tenore di vita goduto durante il matrimonio. In questo caso il marito, in accordo con la moglie, si era dedicato alla cura del figlio e della famiglia, provvedendo invece la donna al mantenimento del nucleo familiare.
Cassazione civile sez. I, 13/09/2022, n.26890
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26783/2017 proposto da:
G.L.F., elettivamente domiciliato in Roma Via Toscana n. 10, presso lo studio dell’avvocato Rizzo Antonio, rappresentato e difeso dall’avvocato Simeone Alessandro, giusta procura speciale per Notaio P.C. di Oristano – Rep.n. (OMISSIS) del 3.11.2017;
– ricorrente –
contro
T.M.C., elettivamente domiciliata in Roma Viale Parioli n. 77, presso lo studio dell’avvocato Colosimo Paolo, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Armenio Lisa Margherita, Ciaglia Assunta, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3864/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 06/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/06/2021 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;
lette le conclusioni scritte, visto D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 18.12.2020, il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Ceroni Francesca, che chiede alla Corte di Cassazione accogliersi il ricorso.
Svolgimento del processo
Con la sentenza indicata in epigrafe – per quanto ancora interessa la Corte d’appello di Milano, in parziale accoglimento del gravame di G.L.F. avverso l’impugnata sentenza del Tribunale di Lodi, ha posto a carico del coniuge separato T.M.C. l’obbligo di corrispondergli un assegno di mantenimento di Euro 300,00 al mese (così diminuendo l’assegno fino ad allora determinato in Euro 1500,00), essendo uniti in matrimonio dal 1995 e autorizzati a vivere separati dal 2012.
A sostegno della domanda di un assegno di importo significativo, il G. aveva rappresentato di avere lasciato nel 2007 la propria attività lavorativa autonoma di manager informatico per dedicarsi alla cura del figlio F. e della prestigiosa abitazione coniugale di proprietà della moglie; di essere stato da allora mantenuto dalla moglie, la quale beneficiava di cospicui redditi da lavoro propri nonché provenienti dalla sua famiglia di origine; di non essere riuscito dopo la separazione a lavorare regolarmente né a permettersi un’abitazione e di avere dovuto ricorrere al sostegno materiale della sorella.
Avverso questa sentenza il G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, resistiti dalla T..
Il pubblico ministero ha presentato requisitoria scritta e le parti hanno depositato memorie.
Fissato all’udienza pubblica del 16 giugno 2021, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 156 c.c., per avergli riconosciuto per il proprio mantenimento dopo la separazione un contributo determinato al solo fine di consentirgli di reperire un’idonea abitazione, di importo palesemente inadeguato a consentirgli di conservare il tenore di vita matrimoniale, in considerazione delle elevatissime capacità economiche di cui la moglie aveva sempre goduto e godeva tuttora.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione del suindicato parametro normativo, imputa alla Corte di merito di avere dato credito alle affermazioni della controparte, secondo le quali egli non avrebbe dimostrato di non essere riuscito a trovare un lavoro che gli consentisse di provvedere autonomamente al proprio mantenimento. Egli infatti, essendo rimasto fuori dal mondo del lavoro per circa dieci anni per una scelta concordata tra i coniugi per dedicarsi alla cura del figlio invalido, aveva perduto le pregresse capacità professionali nel settore informatico in costante evoluzione e non era riuscito a reinserirsi nel mondo del lavoro, anche in considerazione della sua non più giovane età (circa cinquanta anni), come aveva dimostrato anche mediante documenti attestanti le costanti ma inutili ricerche di lavoro; riferisce inoltre di avere dovuto ricorrere al sostegno materiale della sorella in Sardegna, dove si era trasferito non potendosi permettere un immobile in affitto in Lombardia; aveva ottenuto la qualifica di istruttore di equitazione al solo scopo di stare accanto al figlio nella pratica equestre, ma non era riuscito a utilizzarla al di fuori del contesto familiare.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
Le ragioni poste dalla Corte territoriale a fondamento della quantificazione dell’assegno di mantenimento sono le seguenti.
Il G., all’epoca della separazione nel 2012, aveva quarantasette anni ed era dotato di piena capacità lavorativa e notevole professionalità, avendo goduto di un ottimo stipendio fino al 2007, quando aveva lasciato il lavoro per dedicarsi all’accudimento del figlio (bisognoso di sostegno e di essere seguito nelle attività sportive) e alla cura della prestigiosa abitazione coniugale acquistata con proventi della moglie; egli “era dotato di tutte le risorse personali e professionali per provvedere autonomamente al proprio dignitoso mantenimento” ed era diventato istruttore di tecnica equestre, né aveva dimostrato che le somme erogategli dalla moglie (indicate dal ricorrente in circa Euro 10000,00 al mese) servissero per le proprie esigenze personali piuttosto che per i bisogni del figlio; il G. non contribuiva al mantenimento del figlio, al quale provvedeva la T.; il tenore di vita del G. aveva subito “un rilevante ridimensionamento, con la perdita dell’abitazione familiare… e la necessità di reperire altra abitazione a pagamento, non disponendo egli di proprietà immobiliari”, sicché l’assegno mensile di Euro 300,00 serviva “per consentirgli di disporre di una adeguata abitazione”; dal canto suo, la T. “continua a godere del tenore di vita precedente alla separazione, grazie alle sue numerose proprietà immobiliari e ai proventi che le derivano dalla sua famiglia, pur dovendo provvedere in via esclusiva a mantenere il figlio”.
Da queste argomentazioni traspare che il criterio seguito per la quantificazione del contributo di mantenimento a favore del G. non è quello seguito dalla giurisprudenza di legittimità, che è espresso dal principio secondo cui i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l’assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione (ex plurimis, Cass. 5605 del 2020, 16809 del 2019, 12196 del 2017).
Ed infatti, il contributo di mantenimento in favore del G. non è stato quantificato in misura idonea a garantirgli, in via tendenziale, la conservazione del tenore di vita matrimoniale – che, come accertato dalla Corte di merito, aveva subito un rilevante ridimensionamento dopo la separazione, contrariamente alla T., la quale poteva contare su notevoli risorse a sua disposizione – ma solo a consentirgli di procurarsi una abitazione, nell’ottica di un aiuto a provvedere al proprio “dignitoso mantenimento”.
Apodittica è l’affermazione secondo cui il G. sarebbe titolare di idonee risorse personali e professionali, essendo priva di una comprensibile esplicitazione dei fatti idonei a corroborarla. Ne’ è chiaro il significato dell’ulteriore affermazione secondo cui “egli peraltro ha goduto per quattro anni di un contributo mensile da parte della moglie di Euro 1500,00 mensili (attribuitogli in sede presidenziale)”, non comprendendosi se e quali elementi rilevanti la Corte ne abbia tratto sul piano decisorio.
Si tratta di una motivazione in fatto perplessa e sostanzialmente apparente, dunque censurabile in sede di legittimità.
In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per un nuovo esame e per le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2022