Tradimento e addebito della separazione
Indice
La dichiarazione di addebito implica la prova che l’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento di uno o di entrambi i coniugi, che pone in essere un comportamento contrario ai doveri e obblighi nascenti dal matrimonio.
È pertanto necessario che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza.
Quanto sopra vale anche in riferimento all’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, di regola ritenuta idonea a giustificare l’addebito della separazione al coniuge fedifrago.
Questo comporta che l’infedeltà non comporta alcuna conseguenza nel caso in cui si sia manifestata in una situazione di deterioramento dei rapporti già in atto con una convivenza già ritenuta intollerabile dalle parti.
Cassazione civile sez. I, 02/09/2022, n.25966
sul ricorso iscritto al n. 18604/2020 R.G. proposto da:
F.F., rappresentato e difeso dagli Avv. Enrico Ferrari Bravo, e Uberta Caccia Dominioni, e dal Prof. Avv. Giuliano Scarselli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Cassiodoro, n. 1/a;
– ricorrente e controricorrente –
contro
G.I., rappresentata e difesa dall’Avv. Iacopo Tozzi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 911/20, depositata il 5 maggio 2020;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 giugno 2022 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Firenze, dopo aver pronunciato, con sentenza non definitiva del 2 dicembre 2015, la separazione personale dei coniugi F.F. ed G.I., con sentenza definitiva del 12 dicembre 2018 dichiarò inammissibile la domanda di addebito proposta dal F., dispose l’affidamento condiviso del figlio minore Fr. ad entrambi i genitori, con collocamento presso la madre, disciplinò la frequentazione dello stesso da parte del padre, revocò l’assegnazione della casa familiare alla donna e pose a carico dell’uomo l’obbligo di contribuire al mantenimento del coniuge mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 20.000,00 ed al mantenimento del figlio mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 500,00, nonché mediante la sopportazione del 100% delle spese straordinarie necessarie per il minore.
2. L’impugnazione proposta dalla G. è stata parzialmente accolta dalla Corte d’appello di Firenze, che con sentenza del 5 maggio 2020 ha accolto parzialmente anche l’appello incidentale proposto dal F., rideterminando l’assegno dovuto per il mantenimento della donna in Euro 60.000,00 mensili e quello dovuto per il mantenimento del figlio in Euro 5.000,00 con decorrenza dalla domanda giudiziale, Euro 6.000,00 dal mese di (OMISSIS), Euro 7.000,00 dal mese di (OMISSIS), Euro 8.000,00 fino al mese di (OMISSIS), Euro 17.000,00 dal mese di (OMISSIS), Euro 18.000,00 dal mese di (OMISSIS) ed Euro 19.000,00 dal mese di (OMISSIS), da rivalutarsi secondo gl’indici statistici inglesi con decorrenza dal mese di (OMISSIS).
A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto rilevato l’ammissibilità della domanda di addebito della separazione, osservando che la stessa, proponibile per la prima volta con la memoria integrativa depositata all’esito dell’udienza presidenziale, non richiede la contestuale allegazione dei fatti e dei motivi di diritto, che può aver luogo nella prima memoria di cui allo art. 183 c.p.c.. Ha ritenuto peraltro infondata la domanda, per difetto di prova del nesso di causalità tra la violazione del dovere di fedeltà e il fallimento dell’unione, rilevando che l’accettazione da parte del F. dei comportamenti tenuti dalla G. in contrasto con il predetto dovere consentiva di escludere che egli li avesse ritenuti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, impedendo pertanto d’individuare la causa di tale intollerabilità in analoghi comportamenti successivi.
La Corte ha poi escluso l’opportunità della modificazione delle modalità di frequentazione tra il F. ed il figlio, ormai prossimo alla maggiore età, reputando invece necessaria, indipendentemente dal compimento di approfondimenti istruttori, la modifica dei provvedimenti di carattere economico. Ha rilevato infatti che, mentre i redditi della G. consistevano quasi esclusivamente nell’assegno di mantenimento posto a carico del coniuge, ed il suo patrimonio immobiliare era stato valutato in Euro 4.040.609,00, i redditi del F. erano risultati pari ad Euro 6.738.484,00 nell’anno 2015, Euro 5.230.876,00 nell’anno 2014, Euro 4.088.876,00 nell’anno 2013 ed Euro 1.438.366,00 nell’anno 2012. Pur affermando che il tenore di vita da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dev’essere commisurato alle potenzialità economiche dei coniugi, ha escluso che esso debba corrispondere alla capacità di spesa familiare, osservando che, oltre un certo limite, l’utilizzazione del predetto criterio comporterebbe l’attribuzione al coniuge richiedente di una capacità di risparmio, contrastante con la finalità del contributo in questione, volto a consentire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Precisato che la predetta considerazione vale anche per il figlio, la Corte ha rilevato da un lato che quest’ultimo viveva sostanzialmente con la madre, dall’altro che il padre si era accollato integralmente le spese straordinarie, concludendo che l’assegno era volto esclusivamente a far fronte a quelle ordinarie, ovverosia a quelle di vitto, alloggio e vestiario: ha pertanto distinto tra il periodo anteriore al trasferimento del minore a (OMISSIS) con la madre, in cui non vi erano state spese di alloggio, e quello successivo, relativamente al quale la madre aveva dimostrato di aver corrisposto un canone di locazione pari a circa Euro 9.000,00 circa, determinando l’importo dell’assegno in misura via via maggiore, in relazione alle crescenti esigenze del minore.
Quanto all’assegno dovuto per il mantenimento della G., premesso che la stessa non doveva far fronte a spese di alloggio, vivendo con il figlio, ha rideterminato l’importo del contributo dovuto dal F., individuandone la decorrenza, in assenza di diverse indicazioni e della proposizione di specifiche censure da parte dell’appellante, nella data della domanda, conformemente al principio secondo cui la durata del giudizio non può danneggiare la parte vittoriosa.
3. Avverso la predetta sentenza il F. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. La G. ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in tre motivi ed anch’esso illustrato con memoria, cui il F. ha resistito a sua volta con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 143 c.c. e art. 151 c.c., comma 2, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di addebito della separazione, in virtù della tolleranza da lui dimostrata nei confronti delle ripetute violazioni del dovere di fedeltà da parte della moglie. Premesso che la tolleranza manifestata nei confronti di precedenti relazioni extraconiugali non impedisce di lamentarsi di quelle successive, soprattutto nel caso in cui le stesse risultino numerose e continuate, sostiene che essa non risulta sufficiente ad escludere l’illiceità del fatto, avuto riguardo alla indisponibilità dei diritti e dei doveri coniugali, aggiungendo che l’infedeltà costituisce un comportamento particolarmente grave, normalmente idoneo a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, e quindi tale da giustificare l’addebito della separazione, a meno che l’affectio maritalis non sia già venuta meno per altre cause.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., e la violazione dell’art. 156 c.c. e della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che la decisione risulta assolutamente immotivata nella parte riguardante la determinazione dell’assegno dovuto per il mantenimento del coniuge. Aggiunge che la Corte d’appello non ha tenuto conto della rendita derivante dal patrimonio della G., della capacità di lavoro della donna e della residenza della stessa nel (OMISSIS), dove gli assegni di separazione e divorzio risultano esenti da imposte. Afferma infine che, nel procedere alla rideterminazione degli assegni dovuti per il mantenimento della moglie e del figlio, la sentenza impugnata non ha considerato che i provvedimenti adottati nel giudizio di separazione erano divenuti inefficaci per effetto di quelli temporanei ed urgenti adottati nel giudizio di divorzio da lui promosso, nell’ambito del quale il Presidente del Tribunale aveva confermato l’importo degli assegni.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 337-ter c.c., e dell’art. 111 Cost., nonché l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, osservando che, nel determinare in misura crescente l’assegno dovuto per il mantenimento del figlio, la Corte d’appello non ha considerato che, essendosi egli fatto carico del 100% delle spese straordinarie necessarie per il minore, il relativo importo era volto a far fronte esclusivamente alle spese di vitto, alloggio e vestiario, il cui incremento per effetto dell’età doveva ritenersi senz’altro modesto. Afferma pertanto che la motivazione adottata al riguardo risulta meramente apparente, dal momento che non tiene conto delle attuali esigenze del minore né del contributo dovuto dalla madre, aggiungendo che la stessa risulta illogica nella parte in cui ha incluso nell’assegno il canone di locazione dell’appartamento in cui vive, in tal modo ponendo a carico del figlio la relativa spesa, cui doveva provvedere la madre.
4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 156 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha fatto decorrere l’assegno dalla data della domanda, anziché da quella indicata dalla sentenza di primo grado, senza considerare che la G. non aveva proposto alcuna censura al riguardo, mentre egli si era limitato a sostenere che la retroattività della pronuncia avrebbe comportato una sovrapposizione dell’importo liquidato in via definitiva a quello riconosciuto in via provvisoria, con conseguente duplicazione delle somme corrisposte. Aggiunge che la decorrenza dell’assegno dalla data della domanda non esclude la necessità di tener conto, nella determinazione della sua misura, dei fatti sopravvenuti nel corso del giudizio, non potendo gli stessi essere fatti valere in sede di opposizione all’esecuzione.
5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 8 del regolamento UE n. 1259/2010 o della L. 31 maggio 1995, n. 218, artt. 29 e 30, censurando la sentenza impugnata per aver immotivatamente disposto la rivalutazione degli assegni secondo gl’indici statistici inglesi, senza tenere conto della cittadinanza italiana dei coniugi e della residenza abituale degli stessi in Italia, dove è situata anche l’ultima residenza comune, nonché dell’assoggettamento dei rapporti patrimoniali tra i coniugi alla medesima disciplina applicabile a quelli personali, ovverosia alla legge nazionale comune.
6. Con il primo motivo del ricorso incidentale, la controricorrente lamenta, per l’ipotesi di accoglimento delle censure concernenti l’addebito della separazione, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 163,708 e 709 c.p.c., osservando che nella memoria integrativa il ricorrente si era limitato ad allegare la violazione del dovere di fedeltà, senza allegare fatti specifici. Precisato che gli stessi non erano stati riportati neppure nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, nella quale è peraltro consentita soltanto la proposizione di domande nuove o la modificazione di quelle già proposte, e non anche l’allegazione di fatti nuovi, sostiene che la predetta specificazione aveva avuto luogo soltanto nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, destinata invece alla definizione del thema probandum.
7. Con il secondo motivo, la controricorrente denuncia la violazione dell’art. 156 c.p.c. e dell’art. 337-ter c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte concernente la determinazione degli assegni di mantenimento. Sostiene infatti che la mancata commisurazione degli stessi al reddito dell’obbligato comporta un’ingiustificata disparità di trattamento in favore dei soggetti più abbienti, rimettendo la liquidazione del contributo in esame all’arbitrio del giudice di merito, in contrasto con l’obbligo di assistenza materiale, di cui l’assegno costituisce espressione, e con il principio di eguaglianza morale e materiale dei coniugi, che impone di assicurare a quello meno abbiente la conservazione del tenore di vita precedentemente goduto.
8. Con il terzo motivo, anch’esso condizionato, la controricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 151 c.c., comma 2, per contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost., nonché il difetto assoluto di motivazione, rilevando che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare la relativa questione, da essa sollevata nella memoria di replica. Premesso che l’addebito della separazione comporta un’ingiustificata disparità di trattamento a danno del coniuge economicamente più debole, privandolo del diritto all’assegno e dei diritti successori, sostiene che si tratta di un istituto ormai obsoleto, sconosciuto agli ordinamenti di altri Stati membri dell’Unione Europea e non previsto neppure per le unioni civili, equiparate in tutto e per tutto al matrimonio, e ne denuncia l’anacronismo e l’irragionevolezza, in relazione all’evoluzione subita dal concetto stesso di matrimonio e dai diritti e dai doveri che lo stesso comporta.
9. Il primo motivo del ricorso principale, riguardante il rigetto della domanda di addebito della separazione, è fondato.
Non può infatti condividersi l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui l’accettazione da parte del ricorrente di comportamenti lesivi del dovere di fedeltà, tenuti dalla moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda di separazione, consentendo di ritenere che egli non li considerasse tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, escludeva la possibilità di far valere, quale causa di addebito, analoghi comportamenti tenuti successivamente dalla donna.
In tema di separazione personale dei coniugi, questa Corte ha affermato che la dichiarazione di addebito implica la prova che l’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza (cfr. Cass., Sez. I, 20/12/2021, n. 40795; 27/06/2006, n. 14840; 11/06/2005, n. 12383). Tale principio è stato ritenuto applicabile anche all’inosservanza dello obbligo di fedeltà coniugale, la quale, costituendo una violazione particolarmente grave, normalmente idonea a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, è stata ritenuta di regola sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, a meno che non si accerti, attraverso un’indagine rigorosa ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, che l’infedeltà non ha costituito la causa efficiente della crisi coniugale, essendosi manifestata in presenza di un deterioramento dei rapporti già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza divenuta ormai meramente formale (cfr. Cass., Sez. VI, 14/08/2015, n. 16859; Cass., Sez. I, 7/12/2007, n. 25618; 12/06/2006, n. 13592). Grava dunque sulla parte che richieda l’addebito della separazione all’altro coniuge, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi l’inidoneità dell’infedeltà a determinare l’intollerabilità della convivenza, fornire la prova delle circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire dell’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (cfr. Cass., Sez. VI, 19/02/2018, n. 3923; Cass., Sez. I, 14/02/2012, n. 2059). Ai fini di tale accertamento, è stata ritenuta peraltro irrilevante la prova della tolleranza eventualmente manifestata da un coniuge nei confronti della condotta infedele tenuta dall’altro, essendosi esclusa la configurabilità della stessa come “esimente oggettiva”, idonea a far venire meno l’illiceità del comportamento, o l’ammissibilità di una rinuncia tacita allo adempimento dei doveri coniugali, in quanto aventi carattere indisponibile, ed essendosi ritenuto che la sopportazione dell’infedeltà del coniuge possa essere piuttosto presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore di una crisi in atto da tempo, nell’ambito di una più ampia valutazione volta a stabilire se tra le parti fosse già venuta meno raffectio coniugalis (cfr. Cass., Sez. I, 20/09/2007, n. 19450; 27/06/1997, n. 5762; 2/03/1987, n. 2173).
Alla stregua di tali principi, costantemente ribaditi, deve ritenersi che la tolleranza manifestata dal ricorrente nei confronti della relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda in tanto potesse impedirgli di far valere la violazione del dovere di fedeltà, in quanto fosse stato dedotto e dimostrato che la predetta relazione non aveva costituito causa della crisi coniugale, all’epoca già in atto e mai più sanata, ovvero che la stessa era rimasta un episodio isolato, eventualmente dovuto ad un temporaneo appannamento del vincolo affettivo tra i coniugi, e superato da una piena e completa ripresa dei rapporti tra gli stessi, nuovamente deterioratisi in epoca successiva per altre ragioni. A sostegno della domanda di addebito, il ricorrente aveva invece allegato e chiesto di essere ammesso a provare che la predetta relazione era stata seguita da altre, intraprese successivamente alla cessazione della prima e fino all’instaurazione del giudizio di separazione, in tal modo lasciando chiaramente intendere che la tolleranza da lui inizialmente manifestata nei confronti della condotta del coniuge era venuta meno, a causa della reiterata violazione del dovere di fedeltà da parte dello stesso, che aveva determinato il fallimento dell’unione. A fronte di tale allegazione, l’atteggiamento tenuto dal ricorrente nei confronti della prima relazione non poteva essere considerato sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione, a tal fine occorrendo prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale, ed in particolare accertare se si fossero verificate nuove violazioni del dovere di fedeltà da parte della G., e quale fosse stata la reazione del F.: soltanto ove fosse risultato che a seguito delle cessazione della predetta relazione la vita coniugale era ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, oppure che la donna aveva intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l’uomo vi desse importanza, si sarebbe potuto concludere che non erano state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno l’affectio coniugalis.
10. L’accoglimento del primo motivo, pur comportando la cassazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha rigettato la domanda di addebito della separazione, non determina l’assorbimento del secondo motivo, avente ad oggetto la determinazione dell’assegno di mantenimento: se è vero, infatti, che, ai sensi dell’art. 156 c.c., comma 1, l’esclusione dell’addebito costituisce presupposto indispensabile per il riconoscimento dell’assegno, è anche vero, però, che nel caso in cui la predetta statuizione dovesse trovare conferma a conclusione del giudizio di rinvio, la questione posta con il secondo motivo diverrebbe nuovamente rilevante, sicché non può escludersi l’interesse delle parti all’esame della stessa, il cui esito resta tuttavia condizionato a quello del riesame della domanda di addebito (cfr. Cass., Sez. I, 27/09/2017, n. 22602; Cass., Sez. III, 29/02/2008, n. 5513; 6/06/ 2006, n. 13259).
Il motivo è peraltro infondato.
La liquidazione dell’assegno di mantenimento in favore della G. trova infatti fondamento in un approfondito esame della complessiva situazione patrimoniale e reddituale delle parti, sulla base del quale la Corte territoriale è pervenuta all’accertamento dell’esistenza di una notevole sperequazione economica tra i coniugi, tale da imporre il riconoscimento in favore della donna di un contributo idoneo a consentirle la conservazione dell’elevato tenore di vita goduto nel corso della convivenza.
Tale conclusione non può ritenersi inficiata dalle censure proposte dal ricorrente, il quale, nel lamentare il vizio di motivazione, non è in grado d’indicare circostanze di fatto emerse dal dibattito processuale ed indebitamente trascurate dalla sentenza impugnata, idonee ad orientare in senso diverso la decisione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la denuncia dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nei limiti in cui le relative anomalie motivazionali sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, per effetto della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547). Nel lamentare l’omessa valutazione dei redditi derivanti dal patrimonio della controricorrente e dell’esenzione da oneri fiscali prevista per l’assegno dalla normativa vigente nel (OMISSIS), il ricorrente fa infatti valere, rispettivamente, un elemento già preso in considerazione dalla sentenza impugnata, nell’ambito della disamina della situazione economica delle parti, ed un elemento estraneo ai rapporti tra le parti, in quanto inerente al trattamento fiscale dell’assegno, senza neppure dimostrare che la Corte territoriale abbia inteso liquidare l’assegno al lordo delle imposte; nell’insistere sulla capacità di lavoro della moglie, egli evidenzia poi un elemento non determinante, tenuto conto dell’età ormai raggiunta dalla donna, della particolarità dell’esperienza lavorativa da lei acquisita nell’ambito dell’azienda di famiglia e della conseguente difficoltà che ella inevitabilmente incontrerebbe nel ricollocarsi utilmente sul mercato del lavoro, nonostante il titolo di studio di cui risulta in possesso.
Quanto poi all’inefficacia delle statuizioni relative all’assegno di mantenimento, asseritamente derivante dai provvedimenti temporanei ed urgenti adottati dal Presidente del Tribunale nel giudizio di divorzio promosso in pendenza di quello in esame, è appena il caso di rilevare che, come riconosce lo stesso ricorrente, gli stessi non hanno comportato alcuna variazione rispetto alle condizioni stabilite in sede di separazione, essendosi risolti nella mera presa d’atto dell’insussistenza di ragioni idonee a giustificarne la modificazione. Trova pertanto applicazione il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, poiché l’assegno divorzile trova la sua fonte nel nuovo status delle parti derivante dalla sentenza che pronuncia la risoluzione del vincolo coniugale, avente efficacia costitutiva, i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione continuano a produrre i loro effetti fino al passaggio in giudicato della stessa, a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei ed urgenti nella fase presidenziale o istruttoria, ovvero che, pronunciato lo scioglimento del vincolo con sentenza non definitiva, abbia ritenuto di anticipare la decorrenza dell’assegno alla data della domanda, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13 (cfr. Cass., Sez. I, 15/02/2021, n. 3852; 23/10/2019, n. 27205).
11. E’ parimenti infondato il terzo motivo, avente ad oggetto la determinazione dell’assegno dovuto dal ricorrente per il mantenimento del figlio.
Ai fini della liquidazione del predetto contributo, la sentenza impugnata ha richiamato infatti le considerazioni precedentemente svolte in ordine alla situazione economico-patrimoniale dei genitori ed al tenore di vita goduto dal nucleo familiare nel corso della convivenza, ponendo altresì in risalto l’assunzione da parte del padre dell’obbligo di provvedere integralmente alle spese straordinarie, nonché la precisazione, contenuta nella sentenza di primo grado e rimasta incensurata in sede di gravame, secondo cui le spese ordinarie, alla cui effettuazione era preordinato l’assegno, consistevano in quelle relative a “vitto, alloggio e vestiario”.
Può quindi escludersi che la sentenza impugnata sia contraddistinta, sul punto, da una motivazione meramente apparente, per la cui configurabilità è necessario che, indipendentemente dall’esistenza grafica della parte motiva del provvedimento e dall’ampiezza delle argomentazioni in diritto, il giudice di merito abbia omesso d’indicare gli elementi utilizzati per la formazione del proprio convincimento in ordine alla fattispecie sottoposta al suo esame, oppure abbia omesso di procedere ad un’approfondita disamina logico-giuridica degli stessi, in modo tale da impedire la ricostruzione del ragionamento seguito per giungere alla decisione, e quindi da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (cfr. Cass., Sez. I, 30/06/2020, n. 13248; Cass., Sez. lav., 5/08/2019, n. 20921; Cass., Sez. VI, 7/04/2017, n. 9105).
Nell’insistere sull’omessa valutazione delle esigenze attuali del figlio, il ricorrente non tiene conto della particolare attenzione dedicata dalla Corte territoriale alle maggiori necessità determinate dal trasferimento della residenza del giovane a (OMISSIS), ed in particolare alle maggiori spese collegate al reperimento di una sistemazione abitativa adeguata al livello economico-sociale del nucleo familiare, la cui inclusione tra quelle ordinarie da prendersi in considerazione ai fini della determinazione dell’assegno, prevista dalla sentenza di primo grado, non aveva costituito, come si è detto, oggetto di specifica contestazione da parte del padre. Tale decisione non può neppure ritenersi logicamente o giuridicamente incompatibile con la collocazione del giovane presso la madre, anch’essa trasferitasi a (OMISSIS) a seguito della cessazione della convivenza con il coniuge, non sussistendo alcuna disposizione che ponga inderogabilmente a carico del genitore collocatario l’obbligo di provvedere alle spese necessarie per l’acquisizione di un alloggio da destinare ad abitazione propria e della prole, ed essendo anzi previsto espressamente dall’art. 337-sexies c.c., comma 1, che, in caso di assegnazione della casa familiare di proprietà dell’altro genitore, quest’ultimo resti assoggettato al relativo vincolo, salva la possibilità di tenerne conto nella regolazione dei rapporti economici con l’assegnatario.
12. E’ altresì infondato il quarto motivo, riguardante la decorrenza dell’assegno dovuto dal ricorrente per il mantenimento del coniuge.
Nell’ancorare la predetta decorrenza alla data della domanda giudiziale, la Corte territoriale si è infatti attenuta all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione, decorre dalla data della relativa domanda, in conformità del principio di ordine generale, secondo cui un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 3/02/2017, n. 2960; 11/04/2000, n. 4558; 8/01/1994, n. 147). E’ pur vero che, come precisato da questa Corte, il predetto principio attiene soltanto al profilo dell’an debeatur della domanda, e non interferisce quindi sull’esigenza di determinare il quantum dell’assegno alla stregua dell’evoluzione intervenuta in corso di giudizio nelle condizioni economiche dei coniugi, né sulla legittimità della determinazione di misure e decorrenze differenziate, in relazione alle modificazioni intervenute fino alla data della decisione (cfr. Cass., Sez. I, 11/07/2013, n. 17199; 22/10/2002, n. 14886; 22/04/1999, n. 4011): nella specie, tuttavia, il ricorrente, pur lamentando l’omessa valutazione di fatti sopravvenuti, idonei a giustificare l’individuazione di una diversa decorrenza, non si cura d’indicarli, con la conseguenza che la censura risulta, sotto tale profilo, priva di specificità.
Correttamente, poi, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante, ai fini della individuazione della decorrenza dell’assegno, la mancata proposizione di specifiche censure avverso la sentenza di primo grado, non avendo quest’ultima fornito alcuna indicazione in ordine alla predetta decorrenza, con riguardo alla quale non era pertanto configurabile una soccombenza della controricorrente, tale da porre a suo carico l’onere d’impugnare la relativa statuizione; in quanto dipendente da quella relativa alla misura dell’assegno, tale statuizione doveva ritenersi peraltro travolta dalla riforma disposta in sede di gravame, per effetto della quale il Giudice di appello risultava investito anche del potere d’individuare eventualmente una nuova decorrenza, senza che a tal fine risultasse necessario uno specifico motivo d’impugnazione. Nessuna duplicazione potrebbe infine determinarsi per effetto della sovrapposizione dell’importo liquidato dalla sentenza impugnata a quelli riconosciuti dalla sentenza di primo grado e da altri provvedimenti adottati nel corso del giudizio, la cui efficacia è destinata a rimanere assorbita da quella della decisione definitiva, avuto riguardo all’intervenuta riforma di quella di primo grado ed alla natura temporanea ed interinale degli altri provvedimenti, destinati a regolare in via provvisoria i rapporti economici tra i coniugi, in attesa della pronuncia della separazione con sentenza passata in giudicato (cfr. Cass., Sez. III, 21/08/2013, n. 19309).
13. Non merita infine accoglimento il quinto motivo d’impugnazione, avente ad oggetto la scelta del criterio adottato per la rivalutazione degli assegni di mantenimento.
La L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, riguardante l’assegno divorzile ma applicabile in via analogica anche a quello di mantenimento liquidato in favore del coniuge in sede di separazione (cfr. Cass., Sez. I, 17/11/2006, n. 24495; 5/08/2004, n. 15101), nel prevedere che la sentenza deve stabilire un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, impone di fare riferimento “almeno” agli indici di svalutazione monetaria, lasciando intendere che (salvo i casi di palese iniquità, che richiedono una specifica motivazione) gli stessi devono costituire la misura minima dell’adeguamento, il quale può essere determinato in misura anche superiore. In modo non significativamente diverso si esprime la lettera dell’art. 337-ter c.c., comma 5, riguardante l’adeguamento dell’assegno dovuto per il mantenimento dei figli, il quale, riproducendo in parte qua quella del previgente art. 155 c.c., comma 5, impone di fare riferimento “agli indici Istat in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice”. Tali disposizioni attribuiscono al giudice un ampio potere discrezionale, che gli consente di scegliere, in relazione alla peculiarità della fattispecie, criteri di adeguamento anche diversi dal riferimento agli indici Istat, in modo tale da rapportare l’interesse del beneficiario ad una totale conservazione del potere di acquisto dell’assegno al grado di elasticità dei redditi del soggetto obbligato, a condizione che tali criteri non comportino un adeguamento inferiore a quello conseguibile attraverso l’applicazione degli indici Istat (cfr. Cass., Sez. I, 18/03/1996, n. 2273; 7/08/1993, n. 8570).
Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, coerentemente con l’accertata residenza della controricorrente e del figlio nel (OMISSIS), dove dovranno sostenere le spese necessarie per il proprio mantenimento, ha individuato, quali indici da utilizzare ai fini dell’adeguamento automatico degli assegni loro attribuiti, quelli elaborati dai competenti uffici statistici inglesi, reputati evidentemente i più idonei ad assicurare la conservazione nel tempo del potere di acquisto degli importi liquidati, in relazione alle variazioni dei prezzi che dovessero verificarsi in quel Paese. In quanto avente ad oggetto dati privi di carattere normativo, tale rinvio non comporta in alcun modo l’assoggettamento degli assegni alla disciplina dettata dalla legge britannica, ma solo l’individuazione, come parametri di riferimento per la rivalutazione dei relativi importi, degl’indicatori delle variazioni dei prezzi risultanti dalle elaborazioni compiute dai predetti uffici, quali presupposti di fatto per l’applicazione della legge italiana.
14. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, riguardante il rigetto della domanda di addebito della separazione, impone di procedere allo esame del primo motivo del ricorso incidentale, avente carattere condizionato e riflettente l’inammissibilità della medesima domanda.
Il motivo è infondato.
Correttamente, nell’accogliere il motivo di appello incidentale proposto al riguardo dal F., la sentenza impugnata ha ritenuto che la reiterata violazione del dovere di fedeltà da parte della G., non allegata nella comparsa di costituzione e dedotta soltanto genericamente nella memoria integrativa depositata ai sensi dell’art. 709 c.p.c., comma 3, avesse costituito oggetto di rituale precisazione in quelle successivamente depositate ai sensi dell’art. 183 c.p.c., nella prima delle quali il convenuto aveva riferito più specificamente delle relazioni extraconiugali intraprese dalla moglie, mentre nella seconda aveva provveduto ad indicare le circostanze ed i soggetti con cui sarebbe stata consumata la predetta violazione.
In ordine al contenuto della memoria integrativa, la Corte territoriale si è infatti attenuta puntualmente al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, e non contestato dalla controricorrente, secondo cui, avuto riguardo alla struttura bifasica del giudizio di separazione, nell’ambito del quale alla finalità conciliativa propria della fase che si svolge dinanzi al presidente del tribunale fa riscontro, ove la stessa risulti infruttuosa, la natura contenziosa di quella che si svolge dinanzi al giudice istruttore, la predetta memoria può essere utilizzata anche per proporre per la prima volta la domanda di addebito, essendo il procedimento caratterizzato, nel passaggio tra le due fasi, da modalità di introduzione che mutuano, per contenuti e scansioni, le forme proprie del giudizio ordinario di cognizione, in modo tale da determinare una progressiva formazione della vocatio in jus (cfr. Cass., Sez. I, 28/06/2019, n. 17590). Quanto invece alle memorie successive, le considerazioni svolte dalla Corte di merito trovano conforto nel principio, recentemente enunciato da questa Corte in tema di preclusioni processuali, secondo cui, ai fini dell’operatività delle stesse, occorre distinguere tra fatti principali, posti a fondamento della domanda ed integranti la causa petendi della pretesa azionata in giudizio, i quali devono essere necessariamente allegati nell’atto introduttivo e possono costituire oggetto di precisazione o modificazione nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, e fatti secondari, dedotti per dimostrare i primi, la cui allegazione non è soggetta alle preclusioni dettate per quelli principali, ma trova il suo ultimo termine preclusivo in quello eventualmente concesso ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, anche se richiesto ai soli fini dell’indicazione dei mezzi di prova o delle produzioni documentali (cfr. Cass., Sez. III, 6/05/2020, n. 8525).
15. Le medesime considerazioni svolte in ordine al secondo motivo del ricorso principale consentono poi di escludere l’assorbimento del secondo motivo di quello incidentale, avente anch’esso ad oggetto la determinazione degli assegni di mantenimento, e parimenti infondato.
Non merita infatti censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur dando atto delle rilevantissime disponibilità patrimoniali e reddituali del ricorrente, ed affermando la necessità di tenerne conto ai fini della valutazione del tenore di vita goduto dai coniugi nel corso della convivenza, ha escluso che l’importo degli assegni di mantenimento dovesse essere commisurato alla capacità di spesa del nucleo familiare, osservando che, oltre un certo limite, il riferimento a tale parametro si tradurrebbe nell’attribuzione all’avente diritto di un contributo economico superiore a quello necessario per la soddisfazione delle sue esigenze, in contrasto con la funzione propria dell’assegno di mantenimento.
Il tenore di vita di cui i coniugi hanno goduto nel corso della convivenza, da valutarsi anche in relazione alle risorse economiche di cui dispone l’obbligato, costituisce infatti, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, il parametro essenziale di riferimento ai fini della quantificazione dell’assegno dovuto per il mantenimento sia del coniuge cui non sia addebitabile la separazione che della prole; nel relativo accertamento, il giudice non può limitarsi a prendere in considerazione il reddito dello obbligato, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali il possesso di un consistente patrimonio e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso, nonché procedere, in caso di specifica contestazione, ai necessari approfondimenti in ordine alle disponibilità economiche dell’obbligato, valutando tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, capacità di spesa, garanzie di elevato benessere e fondate aspettative per il futuro (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 12/01/2017, n. 605; 11/07/2013, n. 17199; 24/04/2007, n. 9915). E’ stato tuttavia precisato che nella valutazione del tenore di vita dei coniugi occorre tenere conto di quello “normalmente” godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia, dovendosi riconoscere, per tale titolo, all’avente diritto le somme necessarie a integrare entrate insufficienti a soddisfare le sue esigenze di vita personale e di relazione, in misura paragonabile al livello raggiunto nel corso della convivenza, e non potendosi invece comprendere nell’assegno, di regola, somme che consentano atti di spreco o di inutile prodigalità del suo destinatario (cfr. Cass., Sez. I, 3/04/2015, n. 6864; 7/07/2008, n. 18613). Nella medesima ottica, occorre altresì convenire con la sentenza impugnata che, oltre un certo limite, l’ampiezza dei mezzi reddituali e patrimoniali di cui i coniugi possono disporre non si traduce necessariamente in un corrispondente incremento di quelle ordinariamente utilizzate per il loro sostentamento, risultando le stesse suscettibili anche d’impiego nella rispettiva attività professionale o imprenditoriale o di accantonamento a fini di risparmio o d’investimento: la disponibilità di tali maggiori risorse, pur concorrendo all’individuazione del livello economico complessivo del nucleo familiare e della sua collocazione sociale, non comporta un ulteriore innalzamento del grado di soddisfazione delle esigenze personali e di relazione dei suoi componenti, i quali già usufruiscono di tutto quanto è loro necessario per mantenere uno status corrispondente alla loro posizione, senza dovervi fare immediatamente ricorso. E poiché la funzione dell’assegno di mantenimento consiste proprio nel garantire la conservazione del predetto status, ponendo rimedio alla disparità economica eventualmente esistente tra i coniugi attraverso l’integrazione delle risorse reddituali e patrimoniali di quello meno abbiente nella misura necessaria a consentirgli di mantenere uno standard di soddisfazione delle proprie esigenze non inferiore a quello precedentemente goduto, deve concludersi che, una volta superato il predetto livello, le maggiori risorse di cui dispone il coniuge obbligato non può comportare un incremento dell’importo dovuto a tale titolo, traducendosi altrimenti in un’ingiustificata locupletazione dell’avente diritto.
16. E’ infine infondato il terzo motivo del ricorso incidentale, con cui la ricorrente ripropone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 151 c.c., comma 2, già sollevata in sede di gravame e non presa in esame dalla sentenza impugnata.
Com’e’ noto, la predetta questione ha costituito già oggetto di esame da parte di questa Corte, che ne ha dichiarato ripetutamente la manifesta infondatezza, in riferimento ai medesimi articoli della Costituzione invocati dalla controricorrente, in virtù della considerazione che l’esclusione del diritto allo assegno di mantenimento, prevista per l’ipotesi di addebito della separazione, costituisce espressione di un legittimo apprezzamento discrezionale del legislatore, il quale ha inteso in tal modo sanzionare l’inosservanza dei doveri derivanti dal matrimonio e rafforzare il vincolo matrimoniale, riconducendo alla predetta violazione il venir meno di quel diritto all’assistenza che sopravvive alla separazione, ma senza privare completamente di tutela il coniuge economicamente più debole, cui vengono comunque garantiti il diritto agli alimenti e, in caso di morte del coniuge, quello ad un assegno vitalizio in sostituzione della quota di riserva (cfr. Cass., Sez. I, 25/01/2016, n. 1259; 1/08/1994, n. 7165).
Nel ribadire l’illegittimità costituzionale dell’art. 151, comma 2, cit., la difesa della controricorrente non propone argomenti nuovi, ma si limita ad insistere sulla disparità di trattamento che la stessa determinerebbe a danno del coniuge meno abbiente, ritenuta non ingiustificata dai precedenti citati, e sulla mancanza di un analogo istituto nelle normative degli altri Paesi Europei, senza considerare che la diversità della disciplina dettata da altri ordinamenti non costituisce di per sé un sintomo d’irragionevolezza di quella prevista dalla legge italiana, soprattutto in un settore come quello in esame, sottratto alla competenza delle istituzioni Eurounitarie e caratterizzato dall’incidenza di sensibilità differenziate, espressione dei valori e delle tradizioni cui s’ispirano le singole legislazioni nazionali. Quanto infine alla disciplina dettata per le unioni civili dalla L. 20 maggio 2016, n. 76, la stessa non può costituire un valido termine di riferimento ai fini del giudizio di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 29 Cost., avendo ad oggetto un rapporto non riconducibile all’ambito applicativo di quest’ultima disposizione, in quanto tutelato quale formazione sociale ai sensi ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost., e non totalmente equiparato al matrimonio, in quanto soggetto soltanto ad alcune delle disposizioni dettate per quest’ultimo.
17. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Firenze, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2022