Bancarotta fraudolenta e responsabilità dell’amministratore apparente
Sulla scia di numerose sentenze in materia, la sentenza in esame (Cassazione penale sez. V del 19 febbraio 2010 n. 19049), in materia di responsabilità della “testa di legno” distingue l’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione ovvero per omessa tenuta delle scritture contabili, da quelle di bancarotta patrimoniale o per distrazione.
Solo nel primo caso vi sarebbe un “automatica” responsabilità del prestanome, stante il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture
Ricordo, tra le tante, alcune sentenze: Cass. pen. n. 7203 del 2008, Cass. pen. n. 46962 del 2007, Cass. pen., sez. V, 13 aprile 2006 n. 19145, Cass. pen. n. 853 del 2006, Cass. pen. n. 3400 del 2005.
Sentenza della Cassazione penale sez. V del 19 febbraio 2010 n. 19049
Propongono ricorso per cassazione S.G., A. G., F.F. e Fr.Ma. avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona in data 21 ottobre 2008 con la quale è stata parzialmente confermata quella di primo grado nel senso che, pur dichiarato prescritto il reato di bancarotta documentale semplice contestato ai soli S., A. e alla coimputata I. (capo B), è stato, per quel che qui interessa, ribadito nei confronti di tutti i quattro gli odierni ricorrenti il giudizio di condanna in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, ascritto al capo A) in riferimento al fallimento della srl Flamini Carni dichiarato il (OMISSIS).
In sostanza si era ritenuto, da parte dei giudici del merito, che da un lato S., quale ultimo amministratore legale della citata società nonchè A. e I. succedutisi nella stessa carica nei periodi immediatamente precedenti; dall’altro F. e Fr. quali amministratori di fatto, dovevano essere tutti ritenuti responsabili del mancato rinvenimento della somme e beni per un valore di circa L. un miliardo (pari al deficit di bilancio) nonchè della omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili con la consapevolezza di rendere impossibile la ricostruzione degli affari.
Era emerso che la società Flamini Carni era stata regolarmente amministrata per alcuni anni, a partire dalla sua nascita avvenuta nel (OMISSIS), dalla famiglia F., essendo la figlia dell’imputato, f., nominata amministratore legale ma sostituita nella amministrazione dal padre, in virtù di procura institoria.
A partire dal (OMISSIS), poi, si erano verificati avvicendamenti sia nella carica di amministratore che nella titolarità delle quote.
La società risultava infatti essere stata ceduta ad altra persona giuridica (Valpotenza Carni) e poi da questa alla I. per il 55%; la carica di amministratore, del resto, era passata nello steso periodo dalla menzionata f. ad A., poi a I. ed infine a S..
Risultava però che la procura institoria del F. era stata revocata solo nel (OMISSIS).
Mentre fino a tutto il (OMISSIS) la gestione era apparsa regolare e in attivo, nel periodo successivo si erano verificate le condotte che avevano portato al fallimento, consistite nell’acquisito di materiale e prodotti con assegni a vuoto firmati da dei prestanome e cioè da A. e poi da tale S.. La documentazione relativa allo stesso periodo non era mai stata rinvenuta dal curatore.
Tutti gli amministratori dell’ultimo periodo erano ritenuti, del resto, dei prestanome, utilizzati da F. ma anche dal suo coadiutore Fr., in base ad un disegno precostituito di svuotamento delle casse e del patrimonio sociale.
Numerose erano le testimonianze citate dai giudici di merito ( G., M. e B.) per dimostrare che il F. aveva continuato a gestire la società tenendo i contatti con i fornitori per nuove acquisizioni anche nell’aprile e nel (OMISSIS).
A carico del Fr., d’altra parte, era stata rilevata innanzitutto la intromissione nella gestione di altra società (la Gest.Com) dichiarata legata alla società fallita per avere in comune con questa i soggetti responsabili della gestione; se ne era sottolineato poi l’agire con modalità truffatine, desunto dal fatto che utilizzava generalità false; si era infine sottolineato che lo stesso si era posto in contatto con un fornitore della Flamini Carni, il G., per l’acquisito di carrelli elevatori, dopo che il F., significativamente, aveva preannunciato tale sua chiamata, con le generalità false, qualificandolo come proprio “braccio destro”. Il ruolo dei tre amministratori formali, peraltro, era stato individuato nella firma di assegni e/o nella partecipazione alla vita sociale.
Riguardo al S. la Corte valorizzava le conclusioni del curatore il quale aveva rilevato sue iniziative nella gestione, significativamente non riportate nelle scritture contabili. Era considerato altamente indiziante, poi, il fatto che il S. non avesse difficoltà a presentarsi come “testa di legno” con una certa abitualità nel rivestire cariche sociali in prossimità del fallimento.
In riferimento alla posizione del F., la Corte segnalava che numerose erano state le testimonianze di soggetti ( M., G., S., P. e B.) che lo avevano descritto come coinvolto nella gestione del commercio delle carni ed alimenti, anche dopo la dismissione formale della società e fino alla revoca della procura institoria, essendosi avvalso anche della collaborazione di un soggetto (il F.) che operava sotto falso nome e quindi nell’ambito di un progetto truffaldino a lui evidentemente noto.
Ad avviso della Corte egli non poteva ignorare che i soggetti succedutisi nella amministrazione operassero per un sistematico depuramento della società. Quanto all’ A. la Corte negava credito alla sua tesi difensiva di avere agito cioè quale mera testa di legno alle dipendenze del F.: in ragione del fatto che aveva emesso assegni per la società, percepiva una retribuzione per l’incarico ricevuto e ne conosceva i limiti e le finalità, egli doveva essere ritenuto responsabile per avere dato copertura al disegno criminoso del F..
Nulla la sentenza osservava quanto alla posizione della I., uscita di scena con una condanna in primo grado a due anni di reclusione, condizionalmente sospesa e non appellante.
Deducono A..
1) la violazione di legge.
La citazione per l’appello era stata notificata all’imputato mediante consegna al difensore ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, ignorando però che tale genere di notifica presuppone una precedente notificazione con consegna di copia dell’atto all’imputato. Nella specie tale presupposto doveva ritenersi mancante poichè la notificazione denunciata come nulla era la prima dopo la nomina del difensore di fiducia.
2) il vizio di motivazione.
Egli aveva operato come mera testa di legno all’oscuro degli eventuali disegni criminosi di terzi, scelto dal F. proprio per la sua totale estraneità a fatti di gestione societaria. La consapevolezza, da parte sua, del depauperamento del patrimonio da parte di altri era stata dunque affermata dalla Corte sulla base di mere presunzioni e comunque non motivata;
lo stesso vizio di motivazione aveva riguardato il motivo di appello col quale era stata sollecitata la applicazione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza.
F..
1) e 6) il vizio di motivazione sulla attribuita qualità di “amministratore di fatto”. Dopo la cessione delle quote della Flamini Carni ((OMISSIS)), egli si era limitato ad aiutare nella transizione il nuovo amministratore A., ma non a compiere atti di gestione in sua vece. La mancata revoca immediata della procura institoria del resto, era frutto di una mera dimenticanza come era dimostrato dal fatto che la procura non era stata utilizzata dal F. dopo la cessione delle quote nel (OMISSIS). Da tale data, fino al passaggio della carica di amministratore alla I. (autunno (OMISSIS)), la società era in attivo ed affidata da banche. Era a partire da tale ultima data che con il subentro della I. e di altri personaggi insolventi, aveva avuto inizio il periodo di ingiustificato depauperamento del patrimonio sociale e il mancato pagamento delle forniture. Il fallimento coevo di Valpotenza Carni (la società alla quale erano state inizialmente vendute quote della Flaminia Carni e nella quale il F. era socio di maggioranza con l’ A. fino a (OMISSIS)) e della Gest Com srl, citate nella sentenza impugnata, non aveva visto come indagato o imputato il F..
A carico di costui la sentenza aveva delineato un profilo di responsabilità basato tutto su congetture, come quella riguardante l’allusione alla cointeressenza nelle altre due società dichiarate fallite coevamente alla Flamini Carni, cointeressenza di cui è rimasto ignoto però l’effettivo rapporto con la bancarotta in esame.
L’appello proposto dal F. era stato volto a sollecitare un chiarimento sulle prove che avrebbero sostanziato la sua compartecipazione ad attività distrattive poste in essere da terzi e dopo che egli era fuoriuscito dalla gestione formale della società con la cessione delle quote. Tali inizitive di depauperamento – nemmeno accertate nel dettaglio – in realtà non erano ravvisabili a suo carico nè in fatto nè in base a deduzioni logiche avendo egli perso ogni interesse alle sorti della Flamini Carni dopo la cessione delle quote e già prima della revoca della procura institoria, comunque non seguita da alcuna sua ingerenza negli affari della società. La Corte aveva omesso di fornire risposte al riguardo, dando invece valore a deposizioni frammentarie di testi del tutto inidonee a disegnare il carattere continuativo che singole iniziative gestorie debbono presentare per assumere i connotati della amministrazione di fatto, rilevante ai fini della contestazione del reato di bancarotta fraudolenta.
La Corte aveva altresì assegnato valore a vicende riguardanti il fallimento della Gest. Com, società alla quale, come detto, il F. era invece del tutto estraneo.
Al contrario i giudici avevano omesso di considerare la deposizione del teste S. sul fatto che il F. si era lamentato della gestione della società ormai ceduta, volendo far sparire dalla denominazione sociale il proprio nome.
Avevano anche citato la deposizione del teste B. quale elemento a carico, trascurando che il suo credito era maturato a fine (OMISSIS), quando cioè era chiara la uscita del F. da qualsiasi cointeressenza nella società.
La Corte era poi caduta in una contraddittorietà di motivazione.
Aveva infatti ritenuto significativa la tardività della revoca della procura institoria, omettendo di considerare che se il F. avesse voluto continuare ad occuparsi in maniera occulta della società fino a portarla al fallimento, non avrebbe trascurato di eliminare al più presto il più significativo dei fatti formalmente indicativi di tale suo ruolo e cioè la procura institoria. Di questa, invece, si era dimenticato proprio perchè convinto della cessazione di fatto della relativa efficacia con la perdita della carica di amministratore da parte della figlia f. che l’aveva rilasciata.
Del tutto priva di prova era poi l’affermazione che egli conoscesse tutti gli amministratori succedutisi nel periodo di tempo in cui aveva preso corpo il dissesto della società. Egli conosceva infatti il solo A. che aveva preposto alla società Val Potenza facendolo socio di minoranza per poi cedere a detta società le quote della Flaminia Carni.
Egli non conosceva affatto invece la I. che era colei che aveva acquistato nel (OMISSIS) il pacchetto di maggioranza della Valpotenza Carni; non era a conoscenza nemmeno del fatto che il Fr. si presentasse a terzi sotto false generalità.
2) la erronea osservanza dell’art. 2639 c.c., difettava la prova per la configurazione del F. quale amministratore di fatto, secondo i canoni di continuatività degli atti posti in essere, come preteso dalla norma del codice civile. Anche i testi citati dalla Corte si erano riferiti ad un arco temporale ristretto (di appena tre mesi) e lontano dal momento in cui si verificarono i fatti di distrazione.
3) il vizio di motivazione sulla circostanza della conoscenza degli altri amministratori legali.
La Corte di appello non aveva risolto la contraddizione in cui era caduto il giudice di primo grado nel rilevare, da un lato che il F. aveva cessato di interessarsi della società al momento della formale revoca della procura e, dall’altro, che il medesimo F. aveva partecipato al tracollo finale della società non potendo ignorare l’effettivo ruolo degli amministratori formali.
4) ancora la erronea osservanza dell’art. 2639 c.c., e il vizio di motivazione.
La Corte non aveva dato risposta al rilievo che in base all’art. 1397 c.c., la procura institoria abilita il rappresentate alla gestione societaria solo se valida nella forma e nella sostanza. Nel caso di specie si era verificata la sostituzione dell’amministratore che aveva fatto automaticamente cessare la validità della procura, ma di tale evenienza la Corte, pur sollecitata, non si era data carico, per di più valorizzando comportamenti che nulla hanno a che vedere con fatti distrattivi (così l’avere preannunciato la chiamata del suo braccio destro per l’acquisto di carrelli elevatori, o l’avere redarguito il fornitore sul ritardo nel montaggio di un impianto televisivo).
5) il vizio di motivazione sulla stessa qualità di amministratore di fatto.
La Corte aveva omesso di approfondire le ragioni della presenza del F. nel luogo ove aveva sede sociale la Flamini Carni, luogo ove era la sede legale anche di altre società del ricorrente.
Era poi mancata la prova, richiesta alla Corte, dell’utilizzo della procura anche dopo la perdita di fatto della relativa efficacia e comunque la vigenza della procura avrebbe dovuto comportare che gli atti di gestione individuati dalla Corte fossero imputati a tale titolo rappresentativo e non ad una amministrazione di fatto del F..
6) vedi sub 1).
7) il vizio di motivazione sugli elementi di prova.
I passaggi della motivazione esibita dalla Corte erano insufficienti poichè basati su labili presunzioni e non idonei a replicare ai motivi di appello con i quali si era segnalato che, a tutto voler concedere, i poteri gestori erano cessati con la revoca della procura e che il F. non aveva ragione di conoscere le vicende successive.
La relazione del curatore era risultata incerta sulla posizione del F. e i testi avevano deposto su attività di gestione che lo stesso ricorrente non aveva negato di avere posto in essere fino al (OMISSIS) In particolare la deposizione del teste M. sulle modalità di consegna di un impianto di telecamere commissionato nel (OMISSIS), non cambiava la posizione del F. del quale si dice che era presente alla consegna assieme a tal Pa.. Tal presenza non può certo essere scambiata per un atto di gestione della società, nemmeno con riferimento alla lamentela del F. per il ritardo nella consegna. Ad avviso del difensore tale doglianza poteva spiegarsi con la volontà del F. di affrettare il trasferimento della società ormai ceduta, dallo stabilimento di (OMISSIS) ove egli gestiva altre proprie società; la testimonianza di G. sulla commessa di carrelli elevatori si riferisce ad un periodo nel quale comunque, era vigente la procura institoria; la testimonianza di S. aveva riguardato la sede della Gest Com., uguale a quella della Falmini Carni. La deposizione del M.llo P. aveva riguardato solo la cessione della società da parte del F. ai soggetti che poi avevano provveduto a depredarla; in realtà il F. si era preoccupato solo della solvibilità dell’ A. che era il soggetto al quale aveva ceduto la quota maggioritaria della Valpotenza carni e quindi le quote della Flaminia Carni. Il F. invece non conosceva la I. che aveva rilevato il pacchetto di maggioranza della Valpotenza con un atto non simulato, delibando anche un aumento di capitale e il cambio di denominazione sociale.
Se aveva collaborato con la nuova gestione lo aveva fatto, anche secondo il curatore, fino al periodo in cui la situazione era rimasta florida.
8) il vizio di motivazione sull’elemento psicologico.
Se la situazione della società era rimasta in attivo fino all’estate (OMISSIS), resta non configurabile il dolo della bancarotta documentale che è di natura specifica.
Ugualmente non dimostrato era il dolo della bancarotta patrimoniale se è vero, come riconosciuto nella sentenza di primo grado, che con l’estate del (OMISSIS) era cessato ogni interesse del F. – extraneus – alla gestione della società;
9) il vizio di motivazione sulla denegata concessione delle attenuanti in regime di prevalenza o sulla mancata attenuazione di pena.
Fr..
1) il vizio di motivazione.
Egli è stato chiamato a rispondere quale amministratore di fatto senza che vi sia prova al riguardo. Non vi sono prove di fatti distrattivi a suo carico o di condotte riconducibili alla distruzione di scritture contabili.
La relazione del curatore addebita il fallimento ai debiti crescenti verso enti previdenziali e verso creditori ma non cita comportamenti del Fr..
La sentenza impugnata risulta pertanto contraddittoria laddove associa alla mancanza di elementi a carico del Fr., la affermazione che egli agì come amministratore di fatto.
Il solo rilievo formulato dalla Corte riguarda iniziative del Fr. concernenti al Gest Com (deposizione S.) che però nulla ha a che vedere on la Flamini Carni.
I testi escussi M. e C. non hanno nemmeno nominato il Fr..
Il teste G., che pure ha fatto riferimento alla stipula del contratto per la fornitura di carrelli (pagati con finanziamento regionale) con tale Ma.. Peraltro tale Ma., che la Corte avrebbe identificato nel Fr. senza convincente motivazione, ha tenuto una condotta del tutto regolare consistita nella sottoscrizione di un contratto andato a buon fine. Le fasi successive erano state seguite da tale Pa. e da I.. Non poteva escludersi, poi, che il teste avesse errato nel memorizzare il cognome del Fr..
Per la sua posizione erano poi irrilevanti le deposizioni del teste P., e quella di B.;
2) il vizio di motivazione sulla determinazione della pena e sul diniego delle attenuanti generiche;
S..
1) violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 216, art. 40 c.p., e vizio di motivazione.
Egli aveva ricoperto la qualità di amministratore per soli tre mesi prima del fallimento.
Prendendo le mosse dal riconoscimento della qualità di “testa di legno” attribuitagli dal giudice, era rimasta priva di prova la circostanza della commissione di atti di distrazione o della consapevolezza della situazione contabile della società, tenuto anche conto che pure nella sentenza di primo grado si era accertato che tutte le operazioni commerciali sospette erano state poste in essere prima del (OMISSIS).
La Corte, del resto, era stata del tutto vaga nell’affermare la responsabilità del ricorrente, sostenendo che era stato “più o meno coinvolto” assieme all’ A..
Nessuno dei testimoni aveva menzionato il S. mentre non era vero che egli avesse firmato qualsivoglia assegno per conto della società. Erano stati proprio i giudici dell’appello ad affermare a pag. 3 della sentenza che gli assegni erano stati firmati dai due prestanome A. e S..
Anche la probabile distruzione delle scritture contabili nel periodo di amministratore del S. era in contrasto con la imputazione, elevata a suo carico, di bancarotta semplice, per avere omesso di tenere le scritture contabili. Non potevano essere distrutte scritture mai tenute;
2) il vizio di motivazione sull’elemento psicologico del reato.
La sua qualità di prestanome era stata riconosciuta nella sentenza a pag. 12 e a pag. 16 ma poi la sentenza, con un salto logico e mere presunzioni, ne aveva affermato la piena consapevolezza del ruolo nel disegno fraudolento finale.
In realtà era stato fatto cattivo governo della giurisprudenza che nega che si possa affermare la responsabilità dell’amministratore solo formale in relazione alla bancarotta per distrazione esclusivamente in ragione della accettazione della carica. Non dissimile è la giurisprudenza in tema di bancarotta documentale, laddove era invece rimasto provato in via di fatto che il S. non aveva posto in essere nessun atto di intromissione al riguardo e non era sufficiente rimproverargli, a titolo di bancarotta fraudolenta, la mera violazione del dovere di vigilanza;
3) la nullità assoluta della sentenza per non avere i giudici provveduto sulla istanza di ammissione al gratuito patrocinio presentata il 13 ottobre 2005 e reiterata nei motivi di appello.
I ricorsi di F., Fr. e A. sono infondati e debbono essere rigettati; quello proposto nell’interesse di S. risulta invece da accogliere nei limiti che si indicheranno.
Sembra utile invero, sgomberare preliminarmente il campo dalle due eccezioni processuali formulate nell’interesse di A. e S., sia per il carattere pregiudiziale che esse rivestono rispetto agli altri motivi formulati dagli stessi ricorrenti sia perchè le ulteriori censure avanzate da tutti gli imputati possono essere trattate unitariamente di seguito riguardando il comune problema della tenuta della motivazione in relazione al paradigma delle fattispecie contestate.
Ebbene la denuncia del presunto vizio della notificazione della citazione in appello (motivo sub 1) riguardante A.) appare chiaramente infondata. Ad avviso della difesa, la modalità di cui all’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, sarebbe stata adottata senza che ricorressero i presupposti di legge e cioè senza che fosse stata effettuata una prima notifica all’imputato nelle forme dell’art. 157 c.p.p., successivamente alla nomina del difensore avvenuta per la fase dell’appello. La giurisprudenza di questa Corte concordemente osserva, però, che l’art. 157 c.p.p., comma 7 bis (introdotto dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, art. 2, conv. nella L. 22 aprile 2005, n. 60), concernente il regime delle notificazioni successive alla prima, riguarda l’intero processo e non già ogni grado di giudizio, sicchè non occorre individuare per ciascuna fase processuale una “prima” notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina (Rv. 242039; Massime precedenti Conformi: N. 38136 del 2006 Rv. 235976). Nel caso di specie, l’esame del fascicolo rivela che vi sono state, com’è evidente, numerose notifiche – nell’arco del processo di primo grado e successivamente – all’imputato, secondo le norme di rito e nel rispetto delle presunzioni legali di conoscenza previste da queste.
La notifica della citazione in appello, con la modalità descritta, mediante consegna al difensore di fiducia è dunque ineccepibile. E ciò senza contare che, se anche si fosse dubitato della correttezza della scelta sulla modalità di notificazione (andata a buon fine), tale evenienza avrebbe dato luogo, in base alla giurisprudenza di legittimità a vallata dalle Sezioni unite (ric. Palumbo), ad una nullità di ordine generale, in assenza di deduzione della assoluta ignoranza della citazione da parte dell’interessato. E tale nullità avrebbe dovuto essere dedotta, per evitarne la sanatoria, nella prima occasione processuale utile da parte del difensore, diversamente da quanto è invece accaduto, come si desume dal verbale di udienza di secondo grado.
La seconda eccezione in rito, avanzata nell’interesse del S. (motivo sub 3) è manifestamente infondata.
La parte lamenta la nullità assoluta del procedimento e della sentenza per non avere i giudici dato risposta alla istanza di ammissione al patrocinio dei non abbienti presentata in cancelleria il 13 ottobre 2005.
La consultazione del fascicolo rende evidente che l’istanza non solo è stata accolta il 19 ottobre 2005, ma lo è stata anche tempestivamente (foglio 642 del faldone di primo grado).
Per quanto concerne tutti i motivi che afferiscono alla effettiva configurabilità di ciascuno degli elementi della fattispecie normativa contestata (L. Fall., art. 216) nella forma sia della bancarotta fraudolenta per distrazione che in quella della bancarotta fraudolenta documentale, valga quanto segue.
La giurisprudenza di questa Corte formula distinzione in tema di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta evidenziando il diverso atteggiarsi dei criteri di imputazione di quella patrimoniale e di quella documentale sotto il profilo soggettivo quando l’amministratore di diritto non sia anche quello effettivo ma risulti affiancato dalla la figura dell’amministratore di fatto, eventualmente con esautorazione dei poteri del primo che per questo viene comunemente definito “testa di legno”.
Ebbene si è opportunamente affermato che, con riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione (o, si aggiunge qui, per omessa tenuta in frode ai creditori) delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture.
Non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della bancarotta patrimoniale o per distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (Rv. 228713).
Ovviamente, per la figura dell’amministratore di fatto, accertata in riferimento alla posizione di Fr. e F. di cui si dirà appresso, vale il principio della assoluta equiparazione alla figura dell’amministratore di diritto quanto a doveri, sicchè si è rilevato che l’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 c.c., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40 c.p., comma 2, (Rv. 239040).
Non vi è dunque motivo di sanzionare la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui convalida l’assunto accusatorio della addebitabilità della bancarotta fraudolenta documentale ai ricorrenti che hanno assunto la veste di amministratore legale ( S. e A., per quanto qui interessa), dovendosi considerare che nella specie tale ipotesi è stata ritenuta nella forma della totale omissione o sottrazione delle scritture contabili per tutto il (OMISSIS) e fino alla dichiarazione di fallimento del (OMISSIS), ossia un periodo nel quale si sono svolti i mandati dei citati ricorrenti.
La radicale assenza di qualsiasi documentazione delle attività pure pacificamente svolte dalla società Flamini è stata giustamente posta a carico degli amministratori legali i quali avevano l’obbligo giuridico di tenere le scritture stesse e di tenerle correttamente sicchè appare logica e giustificata la presunzione che nella specie è stata formulata circa la volontarietà della omissione di una qualsiasi iniziativa che, pure in presenza di attività societaria da documentare, valesse a porre gli amministratori stessi in regola rispetto al dovere giuridico che su ciascuno di essi incombeva per il periodo di riferimento: il tutto dunque nella consapevolezza e volontà che una situazione siffatta fosse in frode ai creditori. Non si apprezza d’altra parte, alcuna illogicità o violazione di legge nel fatto che ai ricorrenti in questione sia stata contestata la bancarotta fraudolenta documentale (anche) nella forma della distruzione o dell’occultamento delle scritture comunque non rinvenute, laddove, mediante la formulazione del capo B) (relativo a bancarotta documentale semplice) si sarebbe attestato che le scritture non erano state tenute. Invero la motivazione della sentenza da atto che la contestazione della distruzione delle scritture era stata ritenuta sostanzialmente alternativa a quella di omessa tenuta con frode ai creditori, non essendosi acquisito alcun elemento di fatto che consentisse di propendere per l’una o per l’altra evenienza in fatto. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto che, per i connotati della fattispecie concreta sopra ricordati, anche la sola ipotesi della omessa tenuta potesse integrare gli estremi della bancarotta fraudolenta documentale, uniformandosi al principio di diritto secondo cui “l’omessa tenuta” della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta – e non quello di bancarotta semplice – qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori.
A nulla rileva osservare, d’altra parte, che il reato di cui al capo B) della imputazione (bancarotta documentale semplice) è stato dichiarato prescritto posto che una simile statuizione non vale a creare nè illogicità nella motivazione nè violazione di altri principi processuali per il fatto che la condotta materiale ad esso sottesa non è sovrapponibile a quella descritta sub A), comprendendo un arco temporale ben più ampio.
Logica ed esaustiva appare anche la motivazione con la quale è stata ribadita la affermazione di responsabilità di Fr. e F. quali amministratori di fatto, in relazione alla ipotesi in esame e cioè quella di bancarotta fraudolenta documentale.
I principi normativi e giurisprudenziali di riferimento sono quelli noti ed evocati anche dai difensori nella redazione dei motivi di ricorso, nella specie applicati con adeguato apparato argomentativo dai giudici che hanno emesso la sentenza impugnata.
Non è infatti in discussione la individuazione dei criteri normativi che presiedono alla configurazione dell'”amministratore di fatto”.
Tutte le doglianze articolate dai difensori si appuntano infatti sul riscontro, in punto di fatto, del detto paradigma normativo.
Un simile genere di censure, perè, è destinato ad invadere il terreno, riservato al giudice del merito e sottratto al vaglio della cassazione, della ricostruzione della fattispecie concreta, quando questa si sia in presenza di una disamina effettuata in modo plausibile dalla Corte di appello e dal Tribunale al riguardo.
Infatti l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (Rv. 224948) Non deve infatti mai perdersi di vista, in materia, il fondamentale principio, più volte ripreso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (rv 215745).
La sentenza di merito, in altri termini, si sottrae al sindacato di questa Corte perchè ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, se è vero che la nozione di amministratore di fatto, introdotta dal’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, è vero d’altra parte che, “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. (Rv. 224948 cit.).
Nella motivazione siffatti poteri gestori risultano individuati con riferimento sia alla posizione di F. che a quella di Fr..
I giudici, in tale prospettiva hanno menzionato e valutato elementi di fatto costituiti dalle deposizioni di fornitori della Flamini Carni che nel periodo di vigenza della carica di rappresentante in capo all’ A., non brevissimo, hanno tuttavia trattato sulle modalità e sui termini dei contratti con F. e con Fr. e dal primo hanno ricevuto rimostranze sui tempi di esecuzione della prestazione. Del Fr., coinvolto apparentemente in una sola operazione contrattuale, si è evidenziato che veniva presentato dal F. come il proprio “braccio destro” e che agiva significativamente con false generalità, espressione – la prima – evidentemente indicativa di una continuatività nella collaborazione alla gestione della società, realizzata essenzialmente dal F., rimasto dominus quantomeno per il periodo corrispondente a quello della formale durata della procura institoria. Le critiche dei due ricorrenti all’uso del detto materiale probatorio, si risolve, come anticipato, in una inammissibile censura alla ricostruzione di fatto che il giudice del merito ha operato rispettando i parametri della razionalità e completezza. Sostenere, come fanno le difese, che, invece, le deposizioni in questione sarebbero frammentarie significa null’altro che formulare un giudizio di insufficienza del materiale probatorio uguale e contrario a quello, invece del tutto plausibile, reso da giudice del merito: è quest’ultimo che, come detto, deve rimanere fermo non essendo consentito alla difesa prospettare le ricostruzioni alternative derivanti dal materiale probatorio.
Riguardo alle censure che afferiscono alla ricostruzione della posizione del F., vi sono poi da aggiungere due ordini di considerazioni.
E’ sufficiente ai fini della delineazione del la condotta di bancarotta fraudolenta documentale da riferirsi al F. quale amministratore di fatto, la valutazione di comportamenti significativi ex art. 2639 c.c., tenuti anche solo nel periodo compreso fino all’estate del (OMISSIS), con la conseguenza che ogni eventuale aporia contenuta nella motivazione con riferimento a periodi successivi risulta irrilevante in applicazione del “principio di resistenza” cui la motivazione del provvedimento deve essere comunque sottoposta.
In altri termini, a prescindere dai rapporti del F. con I. e con S., è sufficiente a suo carico la individuazione di comportamenti significativi come amministrazione di fatto anche di durata più limitata e precisamente perduranti anche mentre non risultava ancora formalmente revocata la procura institoria rilasciatagli dalla figlia: si tratta dei comportamenti cui si riferiscono i testi menzionati nella sentenza, mentre a nulla rileva in senso contrario, il fatto che fosse o meno valida ed efficace la procura menzionata.
Il F. – e questo è il secondo ordine di ragioni- non è stato chiamato infatti a rispondere del reato di bancarotta nella qualità di institore (L. Fall., art. 227) ma per avere operato di fatto con la totalità dei poteri dell’amministratore di diritto, tra l’altro nemmeno risultando dedotto dall’interessato e tantomeno attestato in sentenza che egli avesse trattato facendo conoscere ai terzi che agiva per la proponente – evenienza che è valsa a renderlo comunque personalmente obbligato (art. 2208 c.c.) – nè quali sarebbero stati eventuali limiti del potere di rappresentanza, osservati anche in concreto.
Il ritardo nella revoca della procura institoria è stato menzionato, d’altra parte, in sentenza non già per valorizzare la esistenza del titolo di rappresentanza ma, al contrario, per segnalare un evento che, se è rimasto privo di effetti giuridici diretti come si ricava dallo stesso ricorso, ha per contro avuto, secondo i giudici del merito, una importante valenza indiziaria: quel ritardo ha avuto cioè il significato – sostengono congruamente i giudici del merito – di confortare l’assunto dei testi secondo cui il F. ha continuato per qualche mese almeno, anche dopo la cessione delle quote e il subentro dell’ A. nella carica prima ricoperta dalla figlia, ad avere rapporti commerciali con l’esterno a nome e per conto della Flamini Carni.
Consegue da quanto fin qui osservato che oltre agli amministratori di diritto menzionati, S. e A., anche F. e Fr. quali amministratori di fatto sono stati correttamente ritenuti responsabili del reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Passando alla contestazione di bancarotta fraudolenta per distrazione si osserva che di tale reato debbono rispondere nel caso di specie, essendo congrua la motivazione al riguardo, sia l’amministratore legale A. per il periodo di riferimento, sia, per il medesimo periodo, i due amministratori di fatto F. e Fr..
Occorre al riguardo sottolineare subito che i giudici hanno escluso che l’ A. abbia rivestito la qualità di mera “testa di legno”.
Al ricorrente è stato riconosciuto viceversa il ruolo di consapevole ed attivo amministratore di diritto il quale ha collaborato in via diretta quantomeno col F. nella gestione della società poi fallita.
In tale prospettiva sono state valorizzate evenienze quali la emissione di assegni anche scoperti per conto della società e la compartecipazione col F. alla società Valpotenza Carni, la quale era la persona giuridica a cui furono ad un certo punto intestate, in una percentuale apprezzabile, le quote della Flamini Carni.
Tanto premesso, la Corte ha poi attribuito la responsabilità in ordine al reato in parola ai detti imputati muovendo dal preliminare rilievo che le deposizioni dei testi, riguardo alla conclusione dei contratti di fornitura nel (OMISSIS), hanno fatto riferimento proprio al periodo di amministrazione dell’ A., nonchè, per quello che si è detto, del F. e del Fr..
La Corte ha dato applicazione cioè al principio affermato costantemente dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta, il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e di valori societari che sono stati a disposizione dell’amministratore, costituisce, qualora non sia da questi giustificato, valida presunzione della loro dolosa distrazione, probatoriamente rilevante al fine di affermare la responsabilità dell’imputato (Rv. 231411. Massime precedenti Conformi, tra le molte, N. 2876 del 1999 Rv. 212606).
Non vale al contrario rilevare, come fa la difesa del F., che nessun bene sarebbe uscito indebitamente dal patrimonio della società se non a partire dal conferimento della carica rappresentativa alla I. oppure che la società versava in floride condizioni per tutta la durata della carica di A. con la quale il F. stesso aveva inteso stabilire un rapporto di mero aiuto dall’esterno; oppure ancora che egli ignorava che il Fr. forse si era presentato a terzi con nome falso; oppure infine che dalle deposizioni di testi pretermessi ( B. e S.) si sarebbero potuto ricavare elementi utili alla tesi del ricorrente. Quelle appena ricordate sono – le prime – repliche in punto di fatto e attengono alla ricostruzione storica della vicenda, ricostruzione che trova la sua naturale collocazione nelle fasi di merito del processo e non può certo essere nuovamente sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, del tutto privo di ogni potere di appezzamento della prova o di accreditamento di una versione alternativa. Le ultime, invece, sono doglianze di mancata valutazione di elementi di prova che però non raggiunge la soglia utile per l’annullamento della motivazione. Nessuno dei due testi citati nei motivi di ricorso è indicato per sostenere circostanze decisive nella prospettazione assolutoria, mentre la prova di resistenza cui va sottoposta la motivazione evidenzia che le circostanze su cui i testi hanno deposto potevano solo valere a colorire in parte in modo diverso l’assunto sostenuto dai giudici ma non a sovvertire l’assunto in base al quale, per un certo periodo almeno, gli amministratori hanno avuto a disposizione beni attribuiti al patrimonio sociale, dei quali però non è stata rinvenuta traccia dal curatore (nemmeno limitatamente al contro valore) nè se ne è indicata, da parte dei ricorrenti, una destinazione utile agli scopi societari. Non è ammissibile, per le ragioni appena esposte, neppure la controdeduzione della difesa del Fr., tutta versata in fatto, secondo cui la fase del pagamento dei carrelli elevatori sarebbe caduta nel periodo di amministrazione della I. ovvero oppure che sarebbe frutto di un mero fraintendimento di terzi il fatto della percezione del suo nome ( M.) al posto del cognome.
Infondato deve giudicarsi infine il motivo di ricorso col quale le difese di A., F. e Fr. si sono lamentate a vario titolo della motivazione sul trattamento sanzionatorio.
Non si rinviene una omessa motivazione sui punti sollevati negli atti di appello ma una conferma delle statuizioni del primo giudice (a parte la prescrizione dichiarata in ordine al reato sub B) basata sull’esercizio del potere discrezionale spettante al giudice nei limiti dei criteri posti dall’art. 133 c.p..
La stringatezza di talune delle motivazioni al riguardo, d’altra parte, trova giustificazione nel fatto che per la descrizione delle componenti che entrano nella valutazione ex art. 133 c.p., vale tutto l’excursus rinvenibile nella parte narrativa e valutativa della sentenza, che proprio sulla gravità delle condotte e sulla entità della partecipazione di ognuno si sofferma adeguatamente.
Infine non è secondario il rilievo che i motivi sono formulati in maniera generica e cioè senza che siano state dedotte specifiche circostanze in fatto o in diritto che la Corte avrebbe indebitamente pretermesso di considerare. Infine la posizione del S. merita una differenziazione dalle precedenti con riferimento all’addebito di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
La sua situazione sembra essere accreditata in sentenza come quella di una “testa di legno”, leggendosi nella motivazione che è ritenuta attendibile la prospettazione della difesa, contenuta nell’atto di appello, secondo cui egli sarebbe solito presentarsi come tale per gestire società in decozione.
Non risulta d’altra parte, come bene sottolineato nel ricorso, che in diversi passaggi della motivazione si sia sostenuto un suo ruolo di amministratore attivo, quale quello attribuito all’ A., per la ragione che quest’ultimo risulta avere sottoscritto assegni per conto della società mentre un uguale comportamento non sembra essere stato confermato anche a carico del S., da parte della Corte di appello.
Una simile posizione, se non produce effetti sostanziali quanto alla configurazione della responsabilità in ordine alla bancarotta fraudolenta documentale mediante radicale omessa tenuta delle scritture e dei libri sociali in frode ai creditori, richiede però, in base alla giurisprudenza ricordata sopra, un quid pluris per la attribuzione del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione nella ipotesi in cui la materiale distrazione sia posta in essere da altri.
Occorre cioè che la Corte dia applicazione al principio secondo cui in tema di reati fallimentari, se all’amministratore di diritto (c.d. testa di legno”) sotto il profilo oggettivo devono essere ascritte le conseguenze della condotta dell’amministratore di fatto che egli, in virtù della carica, aveva l’obbligo giuridico di impedire, sotto il profilo soggettivo possono a lui ricollegarsi quegli eventi di cui ha avuto anche semplicemente generica consapevolezza, sicchè non è necessario per integrare l’elemento psicologico della bancarotta che tale consapevolezza investa i singoli episodi di distrazione ed occultamento, fermo restando che essa non può presumersi in base al semplice dato di avere il soggetto acconsentito a ricoprire formalmente la carica predetta (Sez. 5^, Sentenza n. 3328 del 05/02/1998 Ud. (dep. 17/03/1998) Rv. 209949 Presidente: Pandolfo GV. Estensore: Foscarini; conforme, quanto alla necessità di dimostrazione della generica consapevolezza degli atti di distrazione ad opera dell’amministratore di fatto, Sez. 5, Sentenza n. 10465 del 24/06/1999 Ud. (dep. 01/09/1999 ) Rv. 214301 Presidente: Consoli G. Estensore: Calabrese R. Imputato: Murra G. P.M. Fiore F. (Conf.); Massime precedenti Conformi: N. 15850 del 1990 Rv. 185887, N. 9536 del 1992 Rv. 192255, N. 8419 del 1993 Rv. 195154, N. 3328 del 1998 Rv. 209949.
In base a tale principio dovranno trovare adeguata collocazione logica i dati, allo stato contrastanti in modo insanabile e contenuti nella sentenza, attestanti da un lato che con la revoca anche formale della procura institoria e quindi svariati mesi prima dell’incarico al S., sarebbero venuti a cessare i comportamenti del F. quale amministratore di fatto; dall’altro, che, per il periodo successivo, il F. sarebbe stato solo consapevole (“…non è pensabile che sconoscesse… ) dei vari passaggi di mano delle quote della società e del ruolo di amministratore, evenienze che da sole non bastano certo a configurare il concorso dello stesso, quale amministratore di fatto, in comportamenti penalmente rilevanti attribuibili all’ultimo amministratore legale, S.; il terzo punto del vizio di motivazione è da rilevare poi nel fatto che non sono nemmeno chiariti – data la distanza di tempo intercorsa dalle condotte qualificate come distrattive a carico dei coimputati e risalenti a svariati mesi prima della assunzione dell’incarico da parte del S. – quali sarebbero i presupposti di fatto per la delineazione di una condotta distrattiva riferibile al periodo di espletamento dei poteri di rappresentanza ad esso attribuiti, considerato anche che al riguardo la Corte si è limitata alla osservazione che il S. risulterebbe “più o meno coinvolto” con l’ A. nella gestione aziendale. La sentenza deve dunque essere annullata con rinvio nei confronti del S. per nuovo esame sulla configurazione a suo carico del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
I ricorrenti debbono peraltro tutti essere ritenuti soccombenti nei confronti della parte civile “fallimento Flamini Carni” ai fini della condanna in solido alla rifusione delle spese del grado, come quantificate nella notula.
Il parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato S. non elimina invero la condanna, sicché – pur impedita la sua condanna al pagamento delle spese processuali – è consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base al la decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile (Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997 Ud. (dep. 02/07/1997) Rv. 207946 Presidente: Scorzelli F. Estensore: Sciuto C. Imputato: Dessimone e altri. P.M. Toscani U.).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.G. limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame sul punto.
Rigetta nel resto il ricorso del S.. Rigetta i ricorsi di A.G., F.F. e Fr.Ma. e condanna ciascuno al pagamento delle spese del procedimento. Condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese della parte civile liquidate in complessivi Euro 1.320,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2010