Condanna per guida in stato di ebbrezza? Si, ma preferisco il lavoro di pubblica utilità
L’introduzione con la recente modifica legislativa della possibilità di sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità deve applicarsi anche per i reati più vecchi.
In tema di successione di leggi penali nel tempo, il criterio per stabilire la legge più favorevole al reo è quello di garantire effetti sanzionatori più lievi non soltanto dal punto di vista della pena edittale ma anche sulla possibilità della sua sostituzione con altra meno afflittiva. Pertanto, nel caso di reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, è possibile richiedere la sostituzione della la sanzione detentiva con il lavoro di pubblica utilità, benché ciò abbia comportato l’applicazione di una pena detentiva maggiore.
Uff. Indagini preliminari Rovereto del 06 dicembre 2010
Ritiene questo Giudice che accertata è la penale responsabilità dell’imputato, in ordine al reato ascrittogli emergendo dagli atti di indagine contenuti nel fascicolo del P.M. in modo in equivoco la prova del reato medesimo.
In particolare dalla notizia di reato dei Carabinieri di Rovereto (TN), dal verbale di accertamenti urgenti sulle persone, dai tagliandi delle prove eseguite con l’etilometro e dall’annotazione di PG, atti tutti dd. 28.02.2010, il fatto può ritenersi accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, nei termini che seguono.
Alle ore 01.40 del 28.02.2010 su Corso B. di Rovereto (TN) fu fermato per un normale controllo da una pattuglia dei Carabinieri l’odierno imputato alla guida della vettura Citroen Saxo in sua proprietà. L’imputato evidenziava chiari sintomi di ebbrezza alcolica, quali un forte alito vinoso ed occhi lucidi. Sottoposto alla prova con l’etilometro nelle due misurazioni, eseguite alle ore 01.44 e 01.54, furono registrati valori di tasso alcolemico rispettivamente di 1,56 e 1,74 g/l.
Non sussistendo alcun elemento a discarico, il fatto può ritenersi accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, nei termini sopra indicati.
Tali essendo gli estremi del fatto accertato, può ritenersi integrato il reato contestato. Non vi è infatti alcun dubbio che l’imputato abbia guidato in stato di ebbrezza alcolica con un tasso alcolemico accertato superiore alla soglia di 1,5 g/l, così venendo ad integrare il reato di cui all’art. 186, comma 2 lett. c) codice della strada. Lo stato di ebbrezza al momento della guida è accertato, con certezza, sia a mezzo degli elementi sintomatici evidenziati dagli agenti operanti sia dall’esito della prova con l’etilometro.
Pure integrata è la contestata aggravante dell’aver commesso il fatto dopo le ore 22.00 e prima delle ore 07.00, prevista dal comma 2-sexies del medesimo art. 186 c.d.s., la quale presenta la doppia particolarità di determinare un aumento della sola pena pecuniaria e di sottrarsi al giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti (cfr. comma 2-septies).
Del resto la difesa non contesta la responsabilità dell’imputato ed ha spiegato che l’opposizione proposta è esclusivamente funzionale ad ottenere la sostituzione della pena principale col lavoro di pubblica utilità, a norma dell’art. 186, comma 9-bis cod. str., come introdotto dall’art. 33 legge nr. 29 luglio 2010, nr. 120, il cui positivo svolgimento determina l’estinzione del reato, la revoca della confisca della vettura e la riduzione della metà del periodo della sospensione della patente. A tal fine ha prodotto una lettera del dirigente del servizio personale del Comune di Rovereto che è, allo stato, l’unico ente convenzionato, a norma dell’art. 54 d.lvo nr. 274 del 2000 e del d.m. 26 marzo 2001, con la quale si attesta la disponibilità del Comune ad accogliere l’imputato allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
Poiché la nuova disciplina è entrata in vigore solo dopo il reato commesso, la legittimità della richiesta presuppone il riconoscimento della nuova disciplina quale normativa più favorevole in successione nel tempo, ai fini dell’art. 2, comma 4 c.p., che non può essere data per scontata, valorizzando unicamente i possibili effetti favorevoli della sostituzione del lavoro di pubblica utilità, in quanto il medesimo art. 33 della legge nr. 120 del 2010 ha anche elevato il limite edittale minimo della pena detentiva del reato commesso, elevandolo da 3 a 6 mesi di arresto. Ne deriva, pertanto, che l’applicazione della nuova disciplina impone l’applicazione di un più rigoroso limite edittale minimo della pena principale dell’arresto, con possibili effetti più sfavorevoli per il condannato.
Ritiene questo giudice che la comparazione tra le diverse discipline penali in successione nel tempo deve essere compiuta in stretto riferimento al caso da decidere, bilanciando i singoli aspetti più o meno favorevoli delle due opzioni sul campo ed individuando la disciplina complessivamente più favorevole in riferimento al risultato finale che, in concreto, si ottiene applicando l’una o l’altra. Così, ad es., l’aspetto dell’aumento del solo limite edittale minimo di pena può risultare irrilevante nel caso in cui il Giudice determini in concreto la pena in corrispondenza del limite massimo, che è rimasto immutato e, in tal caso, è indiscutibile che la possibilità di sostituzione con una pena dal contenuto di limitazione alla libertà personale meno pregnante e che può produrre rilevanti ulteriori effetti favorevoli, può risultare un elemento decisivo per far ritenere la nuova disciplina, nel suo complesso, più favorevole.
Per converso, poiché la sostituzione della pena in lavoro di pubblica utilità riposa su specifici presupposti e, in particolare, sulla non opposizione da parte dell’interessato, la non integrazione dell’aggravante prevista dal comma 2-bis dell’art. 186 cod. str. (l’aver procurato un incidente stradale), il non averne già usufruito in precedenza ed il giudizio positivo del Giudice, trattandosi di sostituzione discrezionale, è evidente che questo aspetto di disciplina assume rilievo, ai fini dell’art. 2 c.p., solo nel caso in cui il Giudice ritenga che la sostituzione possa e debba essere disposta nel caso sottoposto al suo giudizio.
Conferma all’impostazione sopra accolta viene dalla giurisprudenza della Cassazione sul caso più vicino a quello in esame, ossia la sostituzione delle pene classiche col lavoro di pubblica utilità previsto dall’art. 73, comma 5-bis d.P.R. nr. 309 del 1990, introdotto dal d.l. nr. 272 del 2005, per il caso di reati in materia di sostanze stupefacenti, commessi da tossicodipendenti o assuntori e caratterizzati dall’attenuante del fatto di lieve entità di cui al precedente comma. Il caso è molto simile a quello in esame, perché, sia pure con riferimento alle sole droghe c.d. leggere l’introduzione della possibilità della sostituzione è associato ad un consistente aumento dei limiti edittali di pena (sia minimo che massimo). Ciò nondimeno la Cassazione ha stabilito la piena applicabilità del nuovo istituto ai fatti pregressi, in applicazione dell’art. 2, comma 4 c.p. (cfr. Cass. 04.02.2009, nr. 10809, rv. 243871 e Cass., 15.04.2009, nr. 21556, rv. 243840).
Sennonché assai problematico si presenta il caso in cui il Giudice ritenga, in applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p., di dover determinare la pena in corrispondenza del minimo edittale e, nel contempo, possibile la sostituzione col lavoro di pubblica utilità, perché si tratta di confrontare effetti meno e più favorevoli tra loro non omogenei. Non solo, ma gli effetti favorevoli della sostituzione col lavoro di pubblica utilità sono rimessi ad una condizione futura, ossia lo svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, oggetto di un successivo procedimento di esecuzione, con la conseguenza che si tratta di evenienze del tutto ipotetiche e che possono non trovare riscontro nella realtà, mentre gravi violazioni degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità possono determinare la revoca della sostituzione, col ripristino delle pene originarie.
È sulla base delle sopra indicate considerazioni che appare ragionevole l’affermazione secondo la quale la vecchia disciplina deve essere ritenuta, nell’ipotesi in cui il Giudice ritenga di fissare la pena c.d. base al di sotto dell’attuale minimo edittale (6 mesi di arresto) ed in via di principio, più favorevole rispetto alla nuova. Ma questa indicazione non può valere per tutti i casi, quasi si trattasse di un criterio astratto e formale che deve trovare applicazione in via automatica, perché così ritenendo si verrebbe meno alla premessa metodologica, cui sopra si è fatto riferimento, in base alla quale l’individuazione della disciplina più favorevole in successione nel tempo deve essere compiuta in stretta aderenza al caso da decidere ed in riferimento ai concreti effetti conseguenti. Ne deriva che il relativo giudizio deve necessariamente essere impostato su criteri elastici, in grado di dare il giusto rilievo alle peculiarità evidenziate dal singolo caso da decidere.
Alla luce delle osservazioni che precedono si deve ritenere che un elemento rilevante ai fini del giudizio può essere nella specie svolto dalla volontà espressa dello stesso imputato, anche a prescindere dai casi in cui essa acquista una precisa dimensione tecnica, come ad es. avviene in ipotesi di presentazione di patteggiamento con indicazione della sostituzione della pena in lavoro di pubblica utilità che, come è noto, condiziona in modo rigido la decisione del Giudice, nel senso che la richiesta potrà essere accolta solo operando la richiesta sostituzione o dovrà essere respinta per intero. Non sembra, infatti, possa esservi alcun dubbio che la nuova pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, prevista in via speciale per il solo reato di guida in stato di ebbrezza (o di alterazione conseguente al consumo di sostanze stupefacenti) sia riconducibile alla nozione di “sanzione sostitutiva” utilizzata dall’art. 444 c.p.p. per individuare l’oggetto dell’accordo delle parti per quel particolare rito speciale.
Anche al di fuori del rito del patteggiamento, tuttavia, l’espressa ed univoca indicazione della difesa di volersi avvalere, per un fatto pregresso, della sostituzione delle pene classiche col lavoro di pubblica utilità, può essere un criterio rilevante ai fini dell’individuazione della disciplina più favorevole in successione di leggi nel tempo, considerando, in via generale, che la volontà del condannato è ritenuta dalla legge come criterio per stabilire quale sia la pena meno grave da eseguire tra le diverse pene irrogate per il medesimo fatto da più condanne (cfr. art. 669, comma 2 c.p.p.) e, con più specifico riferimento alla pena del lavoro di pubblica utilità, che si tratta di una sanzione direttamente condizionata, per espresse norme di legge, alla volontà dell’interessato. Infatti, la normativa di riferimento, ossia il d.lvo nr. 274 del 2000 configura questa pena, da un lato, sempre come alternativa alle altre pene irrogabili dal giudice di pace (pena pecuniaria e permanenza domiciliare: cfr. art. 52) e, dall’altro, subordinata alla richiesta dell’imputato (cfr. art. 54, comma 1). La previsione si giustifica col rilievo che si tratta di una pena che implica necessariamente una collaborazione qualificata da parte dello stesso condannato, per poter utilmente svolgere la sua funzione.
Su quest’ultimo aspetto il nuovo comma 9-bis dell’art. 186 cod. str. deroga alla disciplina generale perché non pretende un’espressa richiesta dell’imputato, accontentandosi di una non opposizione, sulla falsariga di quanto già prevede l’art. 165 c.p. in merito alla possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato. Con ogni probabilità si è trattato di una scelta in qualche misura imposta dalla volontà di dare la più ampia applicazione possibile al nuovo istituto, anche nei riti speciali, quali il decreto penale di condanna, che possono esaurirsi in assenza di un effettivo contraddittorio. Ciò che tuttavia conta, in questa sede, è che la volontà dell’interessato è sempre in grado di condizionare in modo decisivo la stessa applicabilità del lavoro di pubblica utilità.
Si deve, pertanto, in conclusione ritenere che l’espressa volontà dell’imputato di voler usufruire della sostituzione delle pene classiche col lavoro di pubblica utilità sia in grado di far ritenere la nuova disciplina di cui all’art. 186 cod. str. come quella più favorevole rispetto alla vecchia, anche quando il Giudice ritenga di fissare la pena concreta in prossimità del minimo della pena, a nulla rilevando che gli effetti favorevoli potranno in concreto non verificarsi in futuro. Non va sottovalutato il fatto che l’espressa richiesta di volersi avvalere della sostituzione dimostra la motivazione dell’imputato ad impegnarsi per ristabilire l’ordine violato e per partecipare al programma rieducativo e di reinserimento sociale predisposto dall’ordinamento, tanto da far presumere che il lavoro di pubblica utilità avrà senz’altro un esito positivo.
D’altra parte deve pure essere sottolineato come la revoca della sostituzione, col ripristino delle sanzioni originarie e la perdita degli ulteriori effetti favorevoli (estinzione del reato, revoca della confisca e dimezzamento della sospensione della patente), da un lato, non può essere data per scontata e, dall’altro, sono la conseguenza di un comportamento del condannato, ulteriore e distinto rispetto al reato originariamente commesso, consistente nella grave violazione degli obblighi connessi alla svolgimento del lavoro di pubblica utilità. Non a caso, nella disciplina generale di riferimento, le più gravi forme di violazione, quali l’allontanamento senza giustificato motivo e l’abbandono dal luogo del lavoro di pubblica utilità, sono configurati come reato autonomo, punito con la pena della reclusione fino ad un anno (cfr. art. 56 d.lvo nr. 274 del 2000). Con ciò si vuol dire che la revoca della sostituzione della pena ben può essere interpretata come sanzione ad un comportamento successivo, ossia il grave venir meno degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità, che non pone alcun problema in relazione al principio di irretroattività, trattandosi di reazione ad un comportamento posto in essere successivamente all’introduzione della nuova norma. È ben vero sul piano tecnico che, a differenza, dell’art. 56 d.lvo nr. 274 del 2000, non si tratta di un autonomo reato ma di una revoca della sostituzione delle pene originarie, con la conseguenza che il precedente fatto di reato (la guida in stato di ebbrezza), finisce con l’essere punito con una pena più grave, non prevista al momento della sua commissione, ma resta il fatto che si tratta di un esito futuro, solo eventuale e che costituisce una reazione ad un ulteriore comportamento dell’interessato sfavorevolmente considerato dall’ordinamento.
Se questo è vero appare plausibile ritenere che il giudizio su quale sia la disciplina penale più favorevole in successione nel tempo possa essere impostato tenendo in considerazione la sola possibilità della sostituzione della pena, senza considerare gli esiti ulteriori, almeno nelle ipotesi in cui la sostituzione corrisponda all’interesse concreto dell’imputato, sostanziato in una espressa richiesta in tal senso.
Si deve, pertanto, in conclusione ritenere fondata la richiesta della difesa di sostituzione delle pene col lavoro di pubblica utilità, considerando l’incesuratezza dell’imputato e la disponibilità manifestata dal Comune, quale ente convenzionato.
Circa la determinazione concreta della pena, valutati i criteri tutti di cui all’art. 133 c.p., operato l’aumento di pena per l’aggravante, concesse le circostanze attenuanti generiche, giustificate sia con l’assoluta incesuratezza dell’imputato sia con la non particolare gravità oggettiva del reato posto in essere in considerazione della regolare condotta di guida tenuta, operata la riduzione di pena per il rito, stimasi equa la pena di mesi 2 e giorni 20 di arresto ed euro 1.000,00 di ammenda (pena base mesi 6 di arresto ed euro 1.500,00 di ammenda, aumentata a mesi 6 di arresto ed euro 2.000,00 di ammenda per la contestata aggravante, ridotta a mesi 4 di arresto ed euro 1.500,00 di ammenda per le attenuanti generiche e nella misura indicata per il rito).
La determinazione della pena nei termini sopra indicati è stata effettuata in applicazione del limite edittale minimo ora vigente, dal momento che una volta individuata la nuova normativa quale disciplina penale più favorevole in successione nel tempo, sulla base del rilievo dirimente conferito alla possibilità di sostituzione col lavoro di pubblica utilità, associato all’espressa richiesta avanzata dall’imputato, deve trovare applicazione per intero, anche per i singoli aspetti più sfavorevoli, non potendosi combinare i singoli frammenti di disciplina più favorevoli delle due normative in successione nel tempo, perché ciò comporterebbe la creazione ex novo di una terza disciplina in realtà mai voluta dal legislatore e si finirebbe, pertanto, col violare il principio di legalità.
La sostituzione in lavoro di pubblica utilità, in applicazione degli inediti criteri di ragguaglio previsti dall’art. 186, comma 9-bis cod. str. (1 giorno di arresto per un giorno di lavoro di pubblica utilità ed euro 250,00 di pena pecuniaria ogni giorno di pubblica utilità), comporta pertanto una pena finale di mesi 2 e giorni 24, di cui 4 giorni in sostituzione della pena di euro 1.000,00 di ammenda di lavoro di pubblica utilità, che dovrà essere scontata presso il Comune di Rovereto nelle varie aree individuate nella lettera del Comune 25.11.2010, ossia il sociale (interventi nei confronti di anziani, persone con handicap, minori), la custodia museale e la manutenzione dei beni demaniali e del patrimonio pubblico, con una preferenza per la prima ma in base alle esigenze organizzative dell’ente indicato ed al lavoro da svolgere cha sarà cura del dirigente amministrativo competente individuare.
Dal momento che il veicolo condotto in stato di ebbrezza è in proprietà dell’imputato, va disposta anche la confisca del mezzo, a norma dell’art. 186, comma 2 lett. c), sesto periodo cod. str..
Al riguardo va osservato come non appare condivisibile l’interpretazione, che sembra prevalere tra i primi commenti e sentenze della Cassazione (cfr. Cass., 22 settembre 2010, nr. 38570 e Cass. 27 ottobre 2010, nr. 41624), secondo la quale la misura sarebbe stata trasformata dalla novella da sanzione penale accessoria (come ritenuto, con riferimento alla precedente disciplina da Cass. Sez. un. 25.02.2010, nr. 23428 e da Corte Cost., 4 giugno 2010, nr. 196) a sanzione amministrativa accessoria, assimilabile pertanto alla sospensione e alla revoca della patente.
La novella ha introdotto al riguardo tre modifiche: a) l’eliminazione del riferimento all’art. 240, comma 2 c.p. (già espunto dalla sentenza della Corte Costituzionale appena sopra citata); b) l’eliminazione della possibilità di affidare in custodia il veicolo sequestrato al trasgressore; c) l’inciso secondo il quale “ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’art. 224-ter cod. str., introdotto dall’art. 44 legge nr. 120 del 2010. A sua volta l’art. 224-ter cod. str. detta una articolata disciplina del “procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative della confisca amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato”, come recita la rubrica della norma.
È proprio quest’ultima modifica a far ritenere che “la confisca del veicolo, malgrado debba essere obbligatoriamente disposta dal giudice penale con la sentenza di condanna, abbia adesso acquisito, per espressa previsione legislativa, la qualifica di sanzione amministrativa” (così Cass., nr. 38570 del 2010 cit.), dal momento che l’art. 224-ter cod. str. prevede, al primo comma, che in questi casi l’agente o l’organo accertatore procede al sequestro ai sensi dell’art. 213 cod. str., che è appunto la norma che disciplina, in via generale, la “misura cautelare del sequestro e sanzione accessoria della confisca amministrativa”. Insomma, il duplice richiamo dell’art. 186, comma 2 lett. c) cod. str. all’art. 224-bis cod. str. e da questo all’art. 213 cod. str. integrerebbe un’ipotesi di espressa qualificazione legale della confisca coma sanzione accessoria amministrativa, non diversamente dalla revoca e sospensione della patente.
Sul piano del diritto intertemporale, in mancanza di norme transitorie nella nuova legge, si dovrebbe applicare l’art. 2, comma 4 c.p., ossia il principio dell’applicazione della disciplina più favorevole in successione di legge nel tempo e tale dovrebbe ritenersi la nuova sanzione amministrativa accessoria rispetto alla vecchia pena accessoria.
Inoltre, poiché l’art. 321, comma 2 c.p. legittima il sequestro preventivo delle sole cose che siano suscettibili di confisca penale e non anche di confisca amministrativa, sul piano processuale ciò comporterebbe una sorta di conversione automatica del sequestro preventivo già disposto sotto la vecchia disciplina nel nuovo sequestro amministrativo della nuova (così ancora Cass. nr. 38570 del 2010 cit.).
La confutazione di questi argomenti si fonda anzitutto su un canone ermeneutico che sembra essere accolto, almeno sul piano formale, dalle stesse sentenze qui criticate ed espresso con grande lucidità da una autorevole dottrina, nei seguenti termini: “ogni qual volta noi troviamo una sanzione a contenuto afflittivo (…) la quale non può essere inflitta che dalla giurisdizione penale e per fatti di cui solo la giurisdizione penale stessa può accertare la sussistenza e le responsabilità, noi dobbiamo riconoscere in detta sanzione una pena criminale”. È fatta salva la sola espressa ed univoca previsione legale in senso contrario, come si verifica ad es. per la revoca e sospensione della patente qualificate dall’art. 186 cod. str. appunto come “sanzioni amministrative accessorie”. Questo criterio di interpretazione è, come si è detto, formalmente accolto dalle sentenze della Cassazione sopra citate, le quali tuttavia ritengono che nella specie l’espressa ed univoca previsione legale in senso contrario sussista e debba essere rinvenuta nel richiamo al nuovo art. 224-ter cod. str. ed è proprio su questo punto che non si può convenire.
Anzitutto nessuna norma afferma in modo espresso ed univoco che la confisca del veicolo in caso di guida in stato di ebbrezza è sanzione amministrativa accessoria, a differenza sia della revoca o sospensione della patente sia dai casi in cui la confisca quale sanzione amministrativa accessoria sia prevista come tale in ipotesi di reato, come si verifica ad es. per la confisca del ciclomotore o del motoveicolo utilizzato per commettere qualsiasi reato, prevista dall’art. 213, comma 2-sexies cod. str.
In secondo luogo in tutti gli ulteriori casi di confisca amministrativa accessoria, anche quelli inerenti ad un illecito previsto dalla legge come reato, la misura è sempre disposta unicamente dall’autorità amministrativa, a norma dell’art. 213, comma 3 cod. str., mai dall’autorità giudiziaria penale, sicché una diversa disciplina sembra imporre un’espressa previsione derogatoria che nel caso manca. Insomma è proprio l’espressa previsione, contenuta nell’art. 186, comma 2 lett. c) cod. str., secondo la quale “con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti (…) è sempre disposta la confisca del veicolo….”, rimasta immutata a seguito della novella, che confuta in modo decisivo l’interpretazione qui criticata.
In terzo luogo il richiamo all’art. 224-ter cod. str. è un argomento davvero debole, perché doppiamente limitato, sia dal lato della norma a quo (richiamante) che da quella della norma ad quem (richiamata). Sotto il primo profilo il richiamo è espressamente limitato “ai fini del sequestro” e non può pertanto essere esteso, già sul piano letterale, anche alla confisca. Sotto il secondo profilo, il rinvio è operato non alla norma che disciplina in termini generali il sequestro e la sanzione amministrativa accessoria della confisca, ossia l’art. 213 cod. str., ma alla norma che si limita a dettare il relativo “procedimento di applicazione”. Insomma per diversamente qualificare la confisca del veicolo sarebbe stato sufficiente aggiungere, alla fine del periodo che la prevede “a norma dell’art. 213 cod. str.”, mentre si è deciso di richiamare il solo procedimento esecutivo per il sequestro.
In quarto luogo è rimasta intatta la previsione secondo la quale la confisca è sempre disposta “anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena”, norma del tutto inutile se si tratta di sanzione amministrativa accessoria (ed infatti nel corpo dello stesso art. 186 cod. str., non è ripetuta con riferimento alle sicure sanzioni amministrative accessorie disposte dal Giudice: revoca e sospensione della patente), ma pienamente comprensibile se si tratta di pena accessoria, svolgendo una chiara funzione derogatoria della regola posta dall’art. 166, comma 1 c.p.
In quinto luogo la revoca della confisca a seguito del positivo svolgimento della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, espressamente prevista dal nuovo comma 9-bis dell’art. 186 cod. str., meglio si giustifica con la perdurante qualificazione penale, dal momento che è una conseguenza del tutto logica della prevista estinzione del reato (che invece può far permanere la confisca amministrativa: cfr. l’art. 224-ter, comma 6 cod. str.). È vero che si tratta di un argomento non decisivo, dal momento che il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità produce effetti anche sulla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, che viene ridotta della metà, ma la circostanza che lascia invece intatta la revoca della patente, mentre la sospensione viene solo ridotta e non revocata, costituisce una ulteriore conferma della perdurante qualificazione come sanzione penale della confisca.
Già dai rilievi sopra indicati appare del tutto discutibile, per non dire infondata, la tesi per la quale la riforma avrebbe espressamene qualificata la confisca in parola in termini amministrativi. Ma la debolezza dell’interpretazione criticata emerge anche dalla lettera dell’art. 224-ter, comma 1 cod. str. che non dice affatto, come affermato dalla Cassazione che “in questi casi” (ossia per il reato di guida in stato di ebbrezza) si procede al sequestro amministrativo, ma più in generale che “nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, l’agente o l’organo accertatore della violazione procede al sequestro ai sensi della disposizioni dell’art. 213, in quanto compatibili”. Dalla semplice lettera della legge emerge in modo piano che presupposto del rinvio all’art. 213 cod. str. e, dunque, la previsione del sequestro “amministrativo”, è costituito dalla v previsione nella norma incriminatrice o, comunque, nella norma che prevede la confisca, dell’espressa qualificazione in termini di sanzione amministrativa, elemento non ricorrente nell’art. 186 cod. str.
Infine, deve essere sottolineato un ulteriore argomento che individua un grave inconveniente che l’interpretazione opposta pone.
Infatti, l’affermazione contenuta nella sentenza della Cassazione sopra citata, secondo la quale sarebbe applicabile l’art. 2, comma 4 c.p., ossia il principio dell’applicazione della disciplina più favorevole dal passaggio della confisca penale a quella amministrativa, è assai discutibile, perché la migliore e tradizionale interpretazione è in senso decisamente contrario, ossia nel senso che tutto l’art. 2 c.p. vale esclusivamente con riferimento agli illeciti qualificabili come reato e alle sanzioni penali. Le sanzioni amministrative riposano su principi in parte differenziati e, in particolare, sul principio di irretroattività posto dall’art. 1 legge nr. 689 del 1981, con la conseguenza che proprio la mancanza di una normativa transitoria, del tipo di quella dettata dagli artt. 40 e 41 stessa legge, imporrebbe l’impossibilità di applicare la confisca del veicolo ai fatti pregressi, commessi prima dell’entrata in vigore della legge nr. 120 del 2010: non quella penale, perché non più prevista, non quella amministrativa perché prevista da una disposizione entrata in vigore dopo il fatto commesso.
È questa la disciplina che ha affermato la fondamentale sentenza delle Sezioni Unite penali 16 marzo 1994, nr. 7394 (in Cass. pen., 1994, 11, 2659), in caso di depenalizzazione in senso stretto, ossia di una norma che degradi il reato in semplice illecito amministrativo ed in mancanza di apposita disciplina transitoria, anche se poi il diritto vivente non sempre si è adeguato a quell’insegnamento (ma sulla assai discutibile considerazione degli artt. 40 e 41 legge nr. 689 del 1981 come norme generali).
Per scongiurare un esito certamente non voluto dal legislatore, del tutto irragionevole e contrastante col senso comune, non basta pertanto il semplice richiamo all’art. 2, comma 4 c.p. ma occorre argomentarne un’innovativa interpretazione, capace di affermare che la disciplina delle successioni di leggi ivi posta vale anche per le successioni tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, contrastante con una forte e consolidata tradizione.
Per non contare il fatto che davvero non si comprende perché mai la confisca “amministrativa” dovrebbe considerarsi più favorevole di quella “penale”, dal momento che è rimasto immutato il nome, il concreto contenuto afflittivo, la stessa funzione (quella di punire) e a cambiare è solo l’etichetta della qualificazione formale applicata peraltro non dal legislatore ma dall’interprete, sulla base di argomenti letterali, come si è visto, assai discutibili.
L’unica concreta differenza di disciplina attiene alla procedura di applicazione e alle garanzie giurisdizionali, che è dubbio siano apprezzabili ai fini dell’art. 2, comma 4 c.p. e se lo fossero, dovrebbe certamente individuarsi come più favorevole la confisca penale, che segue ad una procedura maggiormente garantita rispetto all’intervento giurisdizionale, solo eventuale e su istanza di parte, garantito dall’art. 205 cod. str.
Alla luce dei rilievi che precedono appare preferibile l’interpretazione secondo la quale la confisca ha mantenuto la qualificazione giuridica di sanzione penale e non amministrativa, mentre il richiamo all’art. 224-ter cod. str. vale solo per le modalità esecutive del sequestro. In buona sostanza il legislatore ha voluto unificare gli adempimenti materiali e le procedure poste a carico delle forze dell’ordine in tutte le ipotesi di sequestro del veicolo, amministrativo o penale che fosse.
Questa interpretazione non pone alcun problema di diritto intertemporale con riferimento alla sanzione della confisca, prevista in termini identici sia prima che dopo la riforma e che va, pertanto, senza problemi applicata anche ai fatti pregressi.
Va, infine, disposta la sospensione della patente di guida dell’imputato per anni 1, ossia per il periodo minimo previsto, così come già provveduto in via amministrativa con provvedimento del Commissario del Governo dd. 31.03.2010.
P.Q.M.
Visti gli artt. 442 e 533 e 535 cpp,
dichiara l’imputato colpevole del reato ascrittogli con la contestata aggravante e, concesse le circostanze attenuanti generiche ed operata la riduzione di pena per il rito, lo condanna alla pena di mesi 2 e giorni 20 di arresto ed euro 1.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Dispone la sostituzione della predetta pena con il lavoro di pubblica utilità per mesi 2 e giorni 24 da svolgere presso il Comune di Rovereto.
Dispone la confisca e la vendita della vettura sotto sequestro.
Dispone la sospensione della patente di guida dell’imputato per anni 1.
Incarica il Commissariato di P.S. di Rovereto di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
Rovereto, 02 dicembre 2010