Il Giudice tributario non deve essere limitato dalle motivazioni dell’atto impositivo
[massima]
Se è vero che le ragioni poste a base dell’atto impositivo sono criterio per valutare il confine del processo tributario, d’altra parte ciò non esclude che il giudice possa qualificare autonomamente la fattispecie a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa, anche in virtù dei poteri istruttori d’ufficio, nei casi previsti dalla legge.
Cass. civ. Sez. V, 15/11/2013, n. 25671
[intestaz]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.L., elettivamente domiciliata in Roma, viale Parioli n. 43, presso l’avv. D’AYALA VALVA FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente agli avv.ti Francesco Moschetti e Omelia Carraro, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 23/03/06, depositata il 14 luglio 2006;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11 luglio 2013 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
uditi l’avv. Ornella Carrara per la ricorrente e l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per la resistente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
[fatto]
1. B.L. propone ricorso per cassazione, articolato in nove motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, è stata affermata la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della contribuente per IRPEF relativa all’anno 1998, con cui, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37 e 37 bis, era stata recuperata a tassazione la plusvalenza prevista dall’art. 81, comma, 1, lett. b), del TUIR conseguente alla vendita di un terreno edificabile, avendo l’Ufficio attribuito carattere elusivo alla donazione del terreno, da parte della B. ai figli, pochi giorni prima della vendita, poi effettuata da questi ultimi, ritenuti soggetti fittiziamente interposti.
Il giudice d’appello ha affermato che era pacifico che un rappresentante dell’acquirente finale dell’immobile aveva richiesto il certificato di destinazione urbanistica del terreno qualche tempo prima che la B. lo donasse ai figli, il che dimostrava che erano già in corso trattative tra la B. e l’acquirente; che i figli lo vendettero pochi giorni dopo averlo ricevuto; che l’operazione ha condotto ad un notevolissimo risparmio d’imposta rispetto al caso in cui la B. avesse direttamente venduto l’immobile, avendo consentito l’attribuzione al terreno di un valore prossimo a quello di vendita. Il giudice ha, quindi, ritenuto che nella fattispecie, ricorrendo presunzioni gravi, precise e concordanti nel senso di ritenere che la contribuente non voleva donare il terreno di sua proprietà, ma voleva realizzare il valore di mercato ed evitare la correlativa imposizione fiscale attraverso il ricorso artificioso all’atto di donazione, fosse applicabile la norma di cui all’art. 1344 c.c., il quale contempla il contratto in frode alla legge, applicabile anche in materia tributaria.
2. L’Agenzia delle entrate ha depositato mero atto di costituzione.
3. La ricorrente ha depositato memoria.
[diritto]
1.1. Seguendo l’ordine logico-giuridico delle questioni proposte, vanno esaminati per primi i motivi che pongono censure di ordine processuale.
In particolare, con il secondo motivo si denuncia la violazione dei poteri delle commissioni tributarie, per avere il giudice a quo rinnovato la motivazione dell’atto di accertamento, confermandolo sulla base di un fondamento giuridico nuovo e diverso da quello espresso in quell’atto.
Con il terzo motivo, si ribadisce tale doglianza sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, nonchè degli artt. 24, 97 e 111 Cost., avendo nella fattispecie il giudice d’appello dichiarato legittima la pretesa tributaria, basata sulla interposizione fittizia, o sulla simulazione negoziale, fondandola sulla nullità del negozio per frode alla legge.
Con il quarto motivo, la medesima censura è riproposta sotto il profilo della violazione del principio del contraddittorio (art. 111 Cost.).
Con la quinta censura è denunciata, per le stesse ragioni già dette, il vizio di extrapetizione (art. 112 c.p.c.).
1.2. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello in virtù del quale la regola secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, il cui carattere impugnatorio comporta che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle fatte valere con l’atto impugnato, non esclude il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa, nè l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nei casi previsti dalla legge, non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo d’impugnazione di atti autoritativi, quale quello amministrativo di legittimità (tra le recenti, Cass. nn. 21221 del 2006,10585 del 2011, 7393 del 2012).
Ciò, peraltro, senza tener conto che la diretta derivazione comunitaria, quanto ai tributi armonizzati, e, comunque, costituzionale (art. 53) per quelli non armonizzati, del principio di divieto di abuso del diritto – secondo il quale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale – comporta la sua applicazione d’ufficio da parte del giudice tributario, a prescindere da un qualsiasi richiamo da parte dell’amministrazione, sulla base dei fatti acquisiti al processo (Cass. n. 17949 del 2012).
Infine, non è configurabile alcuna violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa, poichè, a differenza di quanto rilevato nel caso deciso con la sentenza da ultimo citata, in quello in esame il dibattito processuale si è sempre svolto sulla configurabilità di una fattispecie negoziale di carattere elusivo, per cui non si è certo in presenza di una sentenza c.d. “della terza via” o “a sorpresa”.
2.1. Venendo al merito della questione, la ricorrente, con il primo motivo, denuncia “omessa considerazione di essenziali circostanze di fatto” e “omessa pronuncia sull’oggetto del contendere”, censurando la sentenza per avere il giudice a quo mancato di prendere in considerazione il fatto – dalla contribuente asseritamente dimostrato – che il prezzo della vendita era stato incassato dai figli della B., così omettendo di pronunciarsi su tale questione (si chiede, in conclusione, se sia “vero che, vertendo il giudizio sul soggetto Cui riferire il possesso del reddito da vendita immobiliare, è violato l’art. 112 c.p.c., se il giudice di appello omette di considerare fatti documentati da parte resistente relativamente al soggetto che ha incassato il prezzo di vendita ed omette altresì di rapportare detta documentazione al giudizio sulla titolarità effettiva del “possesso” del reddito e, quindi, omette di pronunciarsi sul fatto decisivo, essenziale, dedotto in giudizio da entrambe le parti, attinente all’individuazione del soggetto “possessore” del reddito derivante dalla vendita immobiliare”).
Il giudice avrebbe poi, e comunque, violato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, e art. 2729 c.c., nonchè motivato in modo insufficiente ed illogico, sulla circostanza dianzi citata: si formula il quesito se sia “vero che il requisito di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni richiesto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, e dall’art. 2729 c.c., non è soddisfatto qualora il contribuente documenti fatti che dimostrano la ragionevole incompatibilità con quelli presunti dall’A.F.”.
Con il sesto motivo, è denunciata l’illogicità e la contraddittorietà della sentenza, là dove da un lato imputa alla contribuente un’asserita simulazione di volontà e dall’altro conclude con la tesi del negozio in frode alla legge.
Con il settimo motivo, la ricorrente deduce violazione di legge in relazione all’art. 1344 c.c., e art. 53 Cost.. Sono formulati i seguenti quesiti: a) “vero che non può essere affermato il carattere fraudolento di un negozio o di una sequenza negoziale ex art. 1344 c.c.. senza nel contempo indicare quale sia la norma imperativa elusa”; b) “vero che la norma imperativa di cui all’art. 1344 c.c., deve essere ravvisata in una norma ordinaria, non già nel principio di capacità contributiva (di cui all’art. 53 Cost.) e nel connesso principio di eguaglianza tributaria, principi che devono essere concretizzati ed incarnati in norme concrete di legge ordinaria”; c) “vero che la sequenza negoziale – donazione di area fabbricabile dai genitori ai figli e successiva vendita da parte dei figli – rientra in una libera esplicazione della libertà negoziale, non contrastata da alcuna norma imperativa”; d) “vero che il cittadino non è obbligato a scegliere la sequenza negoziale maggiormente tassata”.
Con l’ottava censura, si denuncia “salto logico tra la premessa della nullità della donazione e la riferibilità alla signora B. di un reddito che richiede la prova della percezione del prezzo”.
Infine, con il nono motivo si chiede se sia “vero che viola il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 82, comma 1, l’imputazione della plusvalenza derivante dalla vendita del terreno edificabile a soggetto estraneo documentalmente alla percezione della stessa”.
2.2. I motivi sono in parte inammissibili e in parte infondati.
In particolare, si rivelano inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., (applicabile ratione temporis) il primo, il sesto, l’ottavo ed il nono motivo. Essi, infatti, non rispondono ai requisiti stabiliti, per la loro formulazione, dalla norma citata, la quale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, richiede che: a) per i vizi di violazione di legge, il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, al fine, quindi, del miglior esercizio della funzione nomofìlattica: ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito inidoneo a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (tra le tante, Cass., Sez. un., nn. 26020 del 2008, 19444 del 2009); b) quanto ai vizi di motivazione, occorre una chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, o delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (ex plurimis, Cass. nn. 2652 e 8897 del 2008, 27680 del 2009).
Il primo motivo è, in ogni caso, infondato, così come il settimo.
In una recente pronuncia relativa ad analoga fattispecie, questa Corte ha avuto modo di affermare, in materia di operazioni elusive e imposte sui redditi, la possibilità di dichiarare inopponibili all’amministrazione finanziaria – in applicazione di un principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost., ma anche dai principi comunitari – i benefici fiscali derivanti dalla combinazione di operazioni a ciò volte. La disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta: ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali. Da quanto esposto consegue che il carattere reale, e non simulato, dell’operazione di vendita e l’effettiva percezione del prezzo da parte dei venditori-donatari, non sono sufficienti ad escludere lo scopo elusivo dell’intera operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita (Cass. n. 449 del 2013, e precedenti ivi richiamati).
Nella fattispecie, il giudice di merito ha, in modo esauriente e privo di vizi logico-giuridici, accertato la sussistenza di “copiosi elementi di fatto” (quali, essenzialmente, le trattative intervenute tra la B. e la società acquirente per la vendita del terreno già prima della donazione e la vicinanza temporale dei due atti, donazione e vendita) indubbiamente idonei a costituire presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, tali da far ritenere provata la finalità elusiva del complessivo, artificioso, meccanismo negoziale adottato.
3. In conclusione, il ricorso (anche, ove occorra, con correzione della motivazione in diritto) deve essere rigettato.
4. La peculiarità della fattispecie induce a disporre la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2013