Intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro: utilizzo dei mezzi ed attrezzature della committente
[massima]
Il legislatore all’art. 1, comma primo, L. n. 1369 del 1960, statuisce il divieto di affidare “in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono”.
Sussiste peraltro un presunzione di illiceità dell’appalto, ai sensi del terzo comma del succitato articolo, laddove “l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante”.
Tale condizione avrà come necessaria conseguenza che i lavoratori in tal modo assunti dovranno considerarsi dipendenti a tutti gli effetti del soggetto committente, ossia dell’imprenditore che effettivamente utilizza le prestazioni medesime.
Il Giudicante evidenzia che al fine di valutare se l’appalto debba considerarsi lecito/illecito è necessario svolgere una duplice indagine: in primo luogo verificare se le prestazioni offerte rientrano nell’oggetto dell’appalto intercorso tra le parti contrattuali; ed in secondo luogo se permane una autonoma organizzazione con assunzione del relativo rischio in capo alla parte appaltatrice.
L’indagine suddetta deve essere svolta tramite una dettagliata analisi di tutti gli elementi che caratterizzano in concreto il rapporto instaurato tra le parti.
Pertanto, seppur il dettato normativo prevede che l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di macchine e attrezzature fornite dall’appaltante dà luogo a una presunzione legale assoluta di sussistenza dell’ipotesi di appalto illecito, d’altra parte laddove in concreto l’utilizzazione di tali mezzi sia meramente accessorio e marginale la presunzione normativa non trova applicazione.
Cassazione civile sez. lav. del 13 maggio 2009 n. 11022
[fatto]
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Milano, depositato in data 21.2.2003, R.G., premesso di essere socio della Cooperativa Apollo s.r.l. e di avere prestato in tale qualità attività lavorativa presso il magazzino della Esselunga s.p.a. sino ai primi giorni di (OMISSIS), esponeva di essere stato addetto direttamente dalla società predetta ad un ufficio situato all’interno del magazzino della stessa per svolgere una attività impiegatizia totalmente estranea all’attività di facchinaggio che avrebbe dovuto svolgere in base al contratto d’appalto intercorso fra la Cooperativa Apollo e la Esselunga, con utilizzo di computer di proprietà di quest’ultima. Chiedeva pertanto che venisse accertata e dichiarata la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con la predetta società versandosi in tema di appalto illecito di manodopera di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, commi 1 e 3, con inquadramento nel (OMISSIS) livello del contratto collettivo del settore industria a far tempo dall'(OMISSIS), e venisse la società predetta condannata alla riammissione in servizio ed al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni mensili non percepite dal (OMISSIS).
Con sentenza in data 20.2.2004 il Tribunale adito rigettava la domanda.
Avverso tale sentenza proponeva appello il R. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 9.6.2005, rigettava il gravame.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione R. G. con due motivi di impugnazione.
Resistono con separati controricorsi la Esselunga s.p.a. e la Cooperativa Apollo s.r.l..
Sia il ricorrente che la intimata Esselunga s.p.a. hanno presentato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
[diritto]
Col primo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, commi 1 e 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Osserva in particolare il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale, a fronte della non contestata circostanza che il lavoratore avesse svolto le mansioni assegnategli adoperando mezzi ed attrezzature di proprietà della committente Esselunga s.p.a., aveva totalmente pretermesso ed obliterato la presunzione iuris et de iure derivante da tale circostanza circa l’instaurazione di un effettivo rapporto di lavoro alle dipendenze della committente, posta della L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3, introducendo il rilievo del tutto inconferente che l’attività di “spunta” della merce, effettuata dal ricorrente mediante l’utilizzo del computer e del sistema informatico della società committente, sarebbe legittima in quanto non estranea al contratto di appalto concernente le operazioni di carico e scarico della merce predetta.
Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e dell’art. 1362 c.c., in relazione alle previsioni del contratto intercorso fra la Esselunga s.p.a. e la Cooperativa Apollo s.r.l. il 22.8.1994; nonchè omessa, insufficiente ed in ogni caso contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
In particolare rileva il ricorrente che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto l’esistenza di un nesso di causalità tra le mansioni svolte dallo stesso e quelle che avrebbero dovuto formare oggetto del contratto di appalto stipulato tra la committente e la cooperativa appaltatrice, e consistenti espressamente nelle operazioni di scarico, smistamento e carico della merce in arrivo ed in partenza, ossia nelle operazioni di movimentazione della merce.
Per contro l’attività di “spunta” della merce effettuata dal ricorrente tramite il computer della Esselunga s.p.a., non era contemplata e descritta nel contratto in questione, e non poteva inoltre essere assolutamente compresa nella predetta attività di movimentazione fisica.
Ciò in quanto le attività sopra descritte formavano oggetto di due distinti ed autonomi processi produttivi: il primo, autonomo e prodromico, consistente nella evasione e relativa registrazione degli ordini di magazzino, necessarie per un costante e continuo rifornimento di cui i singoli supermercati abbisognavano; il secondo, successivo ed autonomo, consistente nella effettiva movimentazione della merce. E pertanto erroneamente la Corte territoriale aveva escluso la violazione della disposizione di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, atteso che l’unica attività oggetto del contratto di appalto era quella relativa alla movimentazione fisica della merce, mentre la spunta informatica mediante terminale esorbitava da siffatto contratto e veniva svolta nell’interesse esclusivo della Esselunga e con mezzi di proprietà della stessa.
Il ricorso non è fondato.
Innanzi tutto ritiene il Collegio di dover procedere ad una trattazione unitaria dei suddetti motivi di ricorso stante la evidente connessione esistente fra gli stessi.
Osserva il Collegio che alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 1, si prevede il divieto di affidare “in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono”.
Il legislatore non ha adottato una precisa formulazione giuridica, ricorrendo invece alla terminologia dei contratti tipici più frequentemente utilizzati per mascherare l’interposizione; al terzo comma di detto articolo si prevede la presunzione di illiceità dell’appalto “ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appagante quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante”, con la conseguenza che i lavoratori occupati in violazione del su esposto divieto devono considerarsi “a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.
L’indagine finalizzata all’accertamento del carattere illecito o meno dell’appalto intervenuto fra la cooperativa e la società appaltante deve svolgersi quindi secondo una duplice direttrice, dovendosi accertare in primo luogo se le operazioni demandate al socio lavoratore risultino estranee o meno all’oggetto dell’appalto intercorso tra la cooperativa e la società appaltante, ed in secondo luogo se sia ravvisabile o meno l’effettiva esistenza di una autonoma organizzazione con assunzione del relativo rischio in capo alla cooperativa appaltatrice.
Occorrerà, in pratica, procedere di volta in volta ad una dettagliata analisi di tutti gli elementi che caratterizzano il rapporto instaurato tra le parti, allo scopo di accertare in concreto se l’attività svolta dal socio lavoratore a seguito dell’intervenuto contratto di appalto rientri o meno nell’oggetto dell’appalto suddetto, e se l’impresa appaltatrice operi concretamente in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all’altra impresa committente o meglio, in altre parole, se essa abbia una gestione a proprio rischio in relazione alla specifica opera o servizio affidatole (Cass. sez. lav., 25.6.2001 n. 8643).
Trattasi, per come evidente, di accertamento in fatto demandato al giudice di merito di talchè tale accertamento, se congruamente e correttamente motivato con argomentazioni adeguate ed esenti da vizi logico-giuridici, si sottrae al giudizio di legittimità demandato a questa Corte.
Così impostati i termini della questione, occorre ulteriormente rilevare che la motivazione in fatto della sentenza d’appello – che confermi, come nella fattispecie, la sentenza di primo grado – può risultare – secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. lav., 13.9.2006 n. 1958; Cass. sez. lav., 12.5.2006 n. 11039) – dalla integrazione della parte motiva delle due sentenze.
Sotto il primo versante, relativo alla riferibilità delle mansioni svolte dal ricorrente all’oggetto del contratto di appalto, osserva il Collegio che tale problematica investe ovviamente l’interpretazione delle clausole e del contenuto del contratto predetto.
Orbene, secondo un principio costituente diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte (v., fra le molte pronunce, Cass. sez. 1^, 24.6.2008 n. 17088; Cass. sez. lav. 13.6.2008 n. 16036; Cass. sez. lav. 12.6.2008 n. 15795; Cass. sez. 1^, 22.2.2007, n. 4178), l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, qualora quella adottata sia contraria a logica e incongrua, tale, cioè, da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Il sindacato di questa Corte non può, dunque, investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito.
Posto pertanto che il ricorrente ha in buona sostanza, prospettato un’interpretazione della norma pattizia diversa da quella ritenuta dal Giudice a quo, occorre, al fine della configurabilità del vizio di motivazione atto a giustificare l’invocata cassazione della sentenza impugnata, che l’iter argomentativo presenti una mancanza di coerenza logica, e cioè sia connotato da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti prospettati.
Siffatta evenienza non si verifica nella fattispecie, avendo i giudici di merito evidenziato, con motivazione assolutamente logica e coerente, e dando quindi espressa ed esauriente contezza delle proprie determinazioni, come l’assunto del ricorrente non potesse trovare accoglimento.
Sul punto già la sentenza di primo grado, nel rilevare l’inconsistenza della tesi attorea della intermediazione fittizia di manodopera vietata dalla legge, aveva evidenziato che il R. svolgeva sul computer una attività funzionale alla movimentazione delle merci che formava oggetto del contratto di appalto intervenuto tra la cooperativa e la committente; ed ha in particolare specificato che, per come emerso dalle deposizioni dei testi assunti, tale operazione di spunta al terminale delle fatture evase era svolta esclusivamente al fine di consentire alla cooperativa appaltatrice di monitorare l’andamento dei lavori durante la giornata e di conoscere per ogni singolo negozio la situazione dello stesso in relazione alla evasione delle bolle; peraltro, ha rilevato il giudice predetto, dagli esiti della istruttoria testimoniale era emerso che il ricorrente non aveva mai operato sul sistema informatico della Esselunga, non aveva mai proceduto all’inserimento delle fatture evase nel computer, non aveva mai effettuato al detto computer alcuna gestione dei dati nell’interesse della committente, non era in possesso della password necessaria per accedere al sistema di gestione informatica del magazzino della società predetta.
Ed hanno pertanto rilevato i giudici di merito che, per come emergeva dalle risultanze istruttorie, il R. svolgeva sul computer una attività funzionale esclusivamente alla movimentazione della merce che formava oggetto del contratto di appalto fra la cooperativa e la Esselunga, laddove il computer (per come parimenti risultante da specifica deposizione testimoniale) aveva in buona sostanza sostituito il supporto cartaceo sul quale veniva in precedenza effettuata l’operazione di spunta.
Ne consegue che l’assunto di parte ricorrente si risolve, sul punto, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dai giudici del merito.
Tali considerazioni introducono l’ulteriore questione, che costituisce il secondo versante dell’indagine finalizzata all’accertamento della esistenza o meno nel caso di specie di una ipotesi di intermediazione di manodopera vietata, concernente il rilievo da attribuire alla utilizzazione da parte del R. del computer della società committente in relazione alla richiesta esistenza in capo alla cooperativa appaltatrice di una propria autonoma organizzazione di mezzi.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di evidenziare, in via generale, “che non può parlarsi di appalto illecito “tout court” in tutti quei casi in cui l’opera non richieda per il suo compimento l’uso di notevoli attrezzature o macchinari, ma possa di contro essere realizzata anche con l’ausilio di mezzi modesti, ovvero senza necessità di particolari strumentazioni” (Cass. 25.6.2001 n. 8643), atteso che la stessa L. n. 1369 del 1960, include tra gli appalti leciti quelli concernenti opere o servizi che non richiedono alcuna complessa organizzazione strumentale.
Ma nel caso di specie c’è di più, perchè i giudici di merito hanno evidenziato, per come detto, che l’utilizzazione da parte del R. del computer – se pur di proprietà della Esselunga – non avveniva nell’interesse della committente, bensì della cooperativa appaltatrice, costituendo siffatta utilizzazione un mezzo per monitorare le operazioni di scarico, smistamento e carico della merce che costituiva l’oggetto del contratto di appalto.
Ed allora l’indagine sui connotati essenziali dell’illiceità dell’appalto va completata con quella relativa alle modalità di gestione del rapporto di lavoro, non potendo tale indagine limitarsi alla sola rilevata proprietà del computer utilizzato in capo alla società committente, divenendo decisivo il requisito dell’autonomia della gestione ed organizzazione della società appaltatrice (Cass. sez. lav., 19.4.2001 n. 4737) ed assumendo dunque particolare rilevanza l’inserimento della prestazione nella struttura organizzativa della società appaltatrice e, più in generale, divenendo decisive le concrete modalità di svolgimento e di controllo dell’attività lavorativa svolta dai dipendenti della predetta cooperativa appaltatrice del servizio.
Ed a tal proposito la Corte territoriale, ribadendo quanto evidenziato dal giudice di primo grado in ordine all’esistenza in capo alla cooperativa di una propria struttura organizzativa, nonchè in ordine alla presenza sul luogo di lavoro del responsabile della cooperativa che organizzava e dirigeva il lavoro dei soci, alla assunzione da parte della stessa del relativo rischio d’impresa, all’assenza di qualsiasi elemento da cui potesse evincersi l’esistenza di un potere gerarchico e disciplinare della Esselunga nei confronti dei soci della cooperativa, ha evidenziato che quest’ultima non si era limitata a fornire alla committente una mera forza lavoro, bensì un servizio organizzato che, inserendosi nella attività della committente ed attenendo alla fase preliminare alla commercializzazione dei prodotti, doveva essere con questa coordinato.
Rimane quindi da affrontare il problema se l’utilizzazione da parte della cooperativa appaltatrice del computer di proprietà della committente fosse compatibile o meno con la rilevata autonomia organizzativa e gestionale della cooperativa medesima.
Orbene, sul punto questa Corte ha evidenziato, in tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, che l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di macchine e attrezzature fornite dall’appaltante da luogo a una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 1, soltanto quando tale conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale e accessorio l’apporto dell’appaltatore; per contro la sussistenza della modestia e della marginalità della utilizzazione di tali mezzi, non consente di ritenere operante l’indicata presunzione iuris et de iure. Trattasi di accertamento in fatto demandato al giudice di merito alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto, e pertanto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, con la conseguenza che, ove il giudice di merito, con motivazione adeguata, abbia riscontrato l’autonoma organizzazione dell’impresa appaltatrice ed abbia accertato come modesto l’apporto delle attrezzature o dei macchinari dell’appaltante e marginale la relativa utilizzazione, non sono applicabili gli elementi presuntivi di cui della L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3, (in tal senso, Cass. sez. lav., 24.2.2006 n. 4181; Cass. sez. lav., 19.11.2003 n. 17574; Cass. sez. lav. 19.4.2001 n. 5737).
E nel caso di specie i giudici di merito, con valutazione congrua e correttamente motivata, hanno ritenuto la marginalità dell’apporto e della utilizzazione delle attrezzature (computer) dell’appaltante, comunque funzionale esclusivamente al monitoraggio, nell’interesse della cooperativa appaltatrice, della movimentazione delle merci che formava oggetto del contratto di appalto intervenuto tra la committente e la cooperativa, rilevando altresì – per come in precedenza evidenziato – che quest’ultima presentava una struttura propria ed una effettiva organizzazione imprenditoriale; ed hanno di conseguenza ritenuto la non operatività della predetta presunzione assoluta di interposizione fittizia vietata.
Per le esposte considerazioni il ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 20,00, oltre Euro 1.750,00, (millesettecentocinquanta) per onorari, in favore di ciascuna delle controparti, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2009