Lavoro: il datore di lavoro ha l’obbligo di convocare il lavoratore solo se quest’ultimo ne ha fatta richiesta
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21057/2008 proposto da:
C.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio LEGALE PESSI &
ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall’avvocato SIGILLO’ VINCENZO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati DONATELLA MORAGGI, LUCIO VUOSO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 265/2008 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 23/04/2008 R.G.N. 164/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato MORAGGI DONATELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.
Con sentenza 23 aprile 2008, la Corte d’appello di Caltanissetta rigettava l’appello di C.G. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda di accertamento di illegittimità del licenziamento intimatogli (in esito a procedimento penale che gli aveva comportato sospensione dal servizio e dallo stipendio) il 1 giugno 2005 e del trasferimento disposto (alla ripresa del procedimento disciplinare dopo il giudicato penale) dall’Inail da Agrigento a Caltanissetta e del diritto, in subordine, di trattenere le somme percepite a titolo di assegno alimentare arbitrariamente trattenutegli in sede di liquidazione del T.f.r., compensando le spese del grado.
A motivo della sentenza, la Corte territoriale escludeva le prospettate ragioni di illegittimità del licenziamento, sia per l’assicurazione di una congrua difesa dell’incolpato alla luce dello scrutinato tenore della sua lettera 23 maggio 2004, di risposta alla convocazione ricevuta per la personale audizione il 24 maggio 2005 a Roma, sia per la dipendenza del termine dilatorio di quindici giorni per l’assunzione di provvedimento disciplinare più grave del rimprovero verbale, stabilito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, dall’inutile loro decorso dalla convocazione per la difesa del dipendente, nel caso di specie esercitata con la lettera recapitata;
ritenendo quindi coerente la reiezione delle ulteriori domande dal rigetto dell’impugnazione del licenziamento.
C.G. ricorre per cassazione con due motivi, cui l’Inail replica con controricorso.
Con il primo motivo, complesso e articolato, il ricorrente deduce vizi di motivazione e violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per mancata assicurazione di adeguato esercizio del proprio diritto di difesa, con citazione nella sentenza impugnata di precedenti di legittimità non pertinenti, sull’erroneo rilievo della propria consapevolezza di ineluttabilità del licenziamento subito ed omessa concessione di termine per ulteriori difese in esito ad acquisizione documentale, in contrasto con le norme denunciate, contemplanti l’obbligo datoriale di sentire oralmente il dipendente e di osservare il termine dilatorio di quindici giorni prima di erogare la sanzione.
Con il secondo, il ricorrente deduce vizio di contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte territoriale frainteso, in esito a lettura non corretta e lacunosa della propria lettera 23 maggio 2005 riportata con rilevanti omissioni e travisamenti, la manifestazione di volontà di essere personalmente sentito con proprio difensore e supporto di documentazione prodotta nel processo penale.
Il primo motivo, relativo a vizi di motivazione e violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, eD.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per mancata assicurazione di adeguato esercizio del diritto di difesa del lavoratore, deve essere esaminato congiuntamente con il secondo, relativo a vizio di contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non esatta comprensione della richiesta del lavoratore di personale audizione, sulla base di non corretta e lacunosa lettura della lettera 23 maggio 2005, siccome intimamente connessi, per loro comune convergenza nella doglianza di manchevole garanzia del diritto di difesa, sotto i concorrenti profili illustrati.
Essi sono entrambi inammissibili.
Ed infatti, non sussistono le violazioni di legge solo formalmente enunciate, in difetto dei requisiti propri, non avendo il ricorrente proceduto, come pure avrebbe dovuto, ad una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, nè nella sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756); neppure avendo specificato le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatoci della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010;
Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
Esse pure si declinano come vizio di motivazione, quale profilo di censura, in sede di legittimità, dell’allegata erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, siccome esterna all’esatta interpretazione della norma, inerendo alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 4 aprile 2013, n. 8315).
Ma anche i vizi di motivazione denunciati si risolvono in una richiesta, nella sostanza, di riesame dell’accertamento operato in fatto dalla Corte territoriale in ordine alla manifestazione di volontà del lavoratore rispetto alle difese svolte nel procedimento disciplinare. E quindi di riesame nel merito della vicenda processuale, come noto indeferibile al giudice di legittimità, cui spetta la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066):
nel caso di specie assolutamente corretto ed esente da vizi logico- giuridici, invero neppure denunciati.
In ogni caso, essi sono infondati. Manca, infatti, o è comunque assolutamente ambigua la volontà del lavoratore di recarsi a Roma per essere sentito personalmente, per le prospettate ragioni di sostanziale inutilità pratica, carenza di documentazione idonea e di mezzi finanziari, meglio impiegabili per le necessità della famiglia: come chiaramente si legge nell’ampio stralcio della lettera 23 maggio 2005 del ricorrente (a pgg. da 7 a 9 della sentenza, con particolare riferimento ai seguenti passaggi: “Sono stato convocato a Roma il giorno 24 maggio per il procedimento disciplinare che mi riguarda. So cosa mi aspetta perchè la legge dice che se uno si fa condannare è licenziato. Con la presente preannuncio che non verrò a Roma perchè è lontano….è inutile raccontare cose se la legge dice che se uno è condannato viene licenziato. Se il mio destino è già stato deciso che vengo a buttare soldi e toglierli alla mia famiglia che ne ha bisogno?… E’ inutile che vengo a Roma a non dire niente per giustificare cose senza provarle perchè vi farei solo pietà… “), attentamente e correttamente valutata dalla Corte territoriale, in esito a critico scrutinio, senza persuasiva confutazione, anzi infondata, da parte di C.G., sulla base della riproduzione del testo della lettera, con trasposizione letterale a fronte (a pgg. da 13 a 16 del ricorso).
E’ noto, infatti, in tema di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, che le garanzie apprestate dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, per consentire all’incolpato di esporre le proprie difese in relazione al comportamento addebitatogli non comportino per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l’audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla richiesta del lavoratore di essere sentito di persona: sicchè le discolpe fornite dall’incolpato per iscritto consumano il suo diritto di difesa solo quando dalla dichiarazione scritta emerga la rinuncia ad essere sentito o quando la richiesta appaia, sulla base delle circostanze del caso, ambigua o priva di univocità; al di fuori di tali ipotesi, non può ritenersi consentito un sindacato del datore di lavoro in ordine all’effettiva idoneità difensiva della richiesta di audizione orale, neppure alla stregua dell’obbligo delle parti di conformare la propria condotta a buona fede e lealtà contrattuale, il quale può assumere rilievo ai fini della valutazione in ordine all’ambiguità della richiesta, ma non consente di dare ingresso ad una valutazione di compatibilità della facoltà di audizione esercitata dal lavoratore incolpato alla luce delle difese già svolte e della sua idoneità ad utilmente integrare queste ultime (Cass. 11 marzo 2010, n. 5864).
Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso, con la condanna alle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna C. G. alla rifusione, in favore dell’Inail, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2014