Le condizioni metereologiche non sono sufficienti ad integrare l’insidia stradale
Indice
La presenza di una buca nel manto stradale e la sussistenza di condizioni metereologiche avverse non necessariamente comportano la sussistenza dell’insidia stradale.
Il danneggiato deve comunque provare che il nesso causale tra il sinistro e la sede stradale danneggiata che non può dipendere automaticamente dalle condizioni metereologiche in quanto la buca può comunque essere percepibile e prevedibile.
Corte d’Appello Napoli Sez. V, Sent., 08-06-2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Napoli – Quinta sezione civile (già Prima sezione civile bis) – nelle persone dei magistrati:
dott. Paolo Celentano – Presidente
dott. Fulvio Dacomo – Consigliere
dott. Michelangelo Petruzziello – Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel processo civile d’appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli Nord, pubblicata il 16.01.2017 e contraddistinta dal n. 156, iscritto al n. 7134/2017 del ruolo generale degli affari civili contenziosi, avente ad oggetto: lesione personale
TRA
G.D.P. (c.f. (…)), rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Grimaldi (c.f. (…)), da intendersi elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte d’appello ex art. 82 R.D. n. 37 del 1934
APPELLANTE
E
Comune di Afragola (c.f. (…)), rappresentato e difeso dall’avv. Rosa Balsamo (c.f. (…)), da intendersi elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte d’appello ex art. 82 R.D. n. 37 del 1934
APPELLATO
NONCHÉ
A.C.A. S.p.A. (c.f. (…)), in persona del legale rappresentante M.M. (c.f. (…)) rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Longo (c.f. (…)), da intendersi elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte d’appello ex art. 82 R.D. n. 37 del 1934
APPELLATA
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con atto di citazione notificato il 13.05.2014, G.D.P. conveniva in giudizio il Comune di Afragola, domandandone la condanna al risarcimento dei danni da lei patiti in conseguenza della caduta, verificatasi alle ore 20:00 circa del 9.11.2012, causata da una buca colma d’acqua e coperta da fogliame, presente sul manto stradale del Corso Meridionale di Afragola, che stava attraversando.
Il Comune si costituiva, eccependo la nullità dell’atto di citazione, resistendo nel merito alla domanda e chiedendo la chiamata in causa della A.C.A. S.p.A. (in seguito A.) al fine di esserne garantita in caso di condanna.
Anche A. si costituiva, sostenendo che la chiamata in causa era inammissibile per omesso avviso del sinistro da parte del Comune; quanto alla domanda avanzata da parte attrice, ne contestava la carenza di legittimazione attiva e di interesse ad agire, eccepiva la carenza di legittimazione passiva del Comune e, nel merito, ne deduceva l’infondatezza.
Nel corso dell’istruttoria venivano ammesse ed espletate le testimonianze di P.D.P. e V.P., richieste dall’attrice.
2. Il Tribunale, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva la domanda.
Il primo Giudice osservava da un lato che i testi erano “incorsi in contraddizioni su aspetti decisivi della fattispecie dedotta in giudizio”, dall’altro che, al di là delle contraddizioni, “la riconducibilità causale materiale della caduta dell’attrice alla presenza sul manto stradale di una buca” non era stata sufficientemente provata, evidenziando in particolare che “da un lato, il primo teste escusso … ha dichiarato di non aver visto alcuna buca al momento del sinistro …; tale buca sarebbe stata notata dal teste … solo il giorno dopo. … Dall’altro lato, le dichiarazioni rese dal secondo teste – secondo cui l’attrice sarebbe caduta in corrispondenza di una buca che non era visibile – si sono appalesate oltremodo contraddittorie. Invero non si riesce a comprendere come il teste abbia potuto vedere l’attrice porre il piede in una buca, che la stessa dichiarava espressamente essere non visibile e, per di più, posta su un manto stradale completamente allagato. A tutto ciò si aggiunga che … lo stato delle avverse condizioni atmosferiche descritte dai testi escussi sono da considerarsi, di per sé, fattori causali idonei che, in astratto, avrebbe potuto comportare l’infortunio dedotto dall’attrice”.
Il Tribunale condannava l’attrice a rimborsare le spese di lite al Comune e all’assicurazione chiamata in causa.
3. G.D.P., con atto di citazione consegnato per la notifica il 18.12.2017, ha proposto appello contro questa decisione.
Gli appellati si sono costituiti, resistendo al gravame.
4. Con l’unico motivo di gravame l’appellante si duole della valutazione delle dichiarazioni rese dalle testi.
Sostiene che esse, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, non sono contraddittorie ma complementari e, dunque, idonee a supportare la domanda risarcitoria. A suo giudizio, entrambe hanno concordemente dichiarato che la pubblica strada era allagata nonché ricoperta dalle foglie cadute dagli alberi collocati sui marciapiedi, che essa non era illuminata al momento del sinistro poiché, sebbene fornita di lampioni, questi nell’occasione non erano funzionanti, e che il manto stradale non era visibile. La D.P. lamenta che la contraddizione rilevata dal primo Giudice tra quanto dichiarato dalla prima teste (P.D.P., che ha affermato di aver visto cadere la vittima verso destra) e quanto asserito dalla seconda (V.P., per la quale l’attrice era invece caduta in avanti) è meramente apparente, in quanto la divergenza emersa trova spiegazione nella differente visuale da cui l’una e l’altra avevano osservato la scena accaduta innanzi ai loro occhi. Rimprovera alla decisione impugnata di aver errato nell’apprezzare le ulteriori dichiarazioni rese sulla percezione visiva della buca, osservando che, se da un lato la prima testimone ha dichiarato di avere visto la buca solo il giorno dopo, perché nell’immediatezza dell’evento si era preoccupata per lo più di soccorrere la persona lesa, dall’altro la seconda testimone ha affermato che, nell’avvicinarsi a sua volta dalla D.P. anche lei per prestarle soccorso, s’era accorta della buca che da dietro non aveva notato. Evidenzia che quanto meno la seconda teste ha espressamente ricondotto la caduta dell’attrice alla presenza della buca sulla sede stradale, attestandone l’esistenza al momento dell’accaduto.
Insiste perché, accertato l’an, sia disposta la consulenza tecnica d’ufficio medico-legale, per la liquidazione del quantum dovuto per le lesioni riportate.
L’appello è infondato.
La D.P., nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, sostenne che, nell’attraversare da un marciapiede all’altro il Corso Meridionale in Afragola alle ore 20:00 circa del 9.11.2012 in un momento in cui “il luogo, teatro del sinistro, era senza illuminazione e privo di segnaletica di lavori in corso”, “finiva col piede destro in una buca colma d’acqua e coperta da fogliame, rovinando inevitabilmente a terra”.
Null’altro aggiunse.
Quali embrionali elementi di prova di questi assunti la D.P. produsse, a corredo dell’atto introduttivo, tre fogli (indicati, al numero 5 dell’indice, come “foto stato dei luoghi”) sui quali sono riprodotte otto immagini fotografiche (due su ciascuno dei primi due fogli, quattro sull’ultimo).
Le prime quattro raffigurano, secondo l’appellante, la parte carrabile centrale del Corso Meridionale e documentano che, nel mezzo di essa, un’area del manto stradale di dimensioni non trascurabili (non meno di cinque o sei metri quadri), avente forma vagamente rettangolare e posta in senso longitudinale rispetto al senso di marcia dei veicoli, risultava parzialmente collassata, e che su uno dei bordi di quest’area s’era formata una buca, lunga non meno di trenta o quaranta centimetri, larga una diecina e profonda almeno sei o sette.
Evidentemente, anche le ultime quattro immagini fotografiche ritraggono, secondo l’appellante, il medesimo luogo. Tuttavia, l’impressione visiva che esse restituiscono è del tutto differente dalle prime quattro. Le immagini risultano prese da un punto d’osservazione palesemente diverso; esse ritraggono non la parte carrabile del Corso Meridionale – dunque, non v’è traccia alcuna né della buca né dell’area in cui essa era posta – ma quella laterale dei suoi marciapiedi.
Dal raffronto di queste immagini emerge che, mentre le quattro fotografie impresse sui primi due fogli documentano la presenza, sul tratto del marciapiedi posto di fronte alla sede stradale collassata, di due alberi non solo completamente spogli ma, soprattutto, privi di rami orizzontali e dotati solamente di qualche piccolo ramo, che dal vertice del fusto si protende verso l’alto in senso verticale (il che suggerisce addirittura l’impressione che le piante fossero ormai prive di vita), le ultime quattro immagini in esame evidenziano la presenza di alberi di tutt’altra tempra, essendo numerosi, alti e soprattutto dotati di un ampio manto foglioso, le cui punte si protendono esternamente, coprendo parzialmente la colonna d’aria sopra la parte carrabile della strada.
È palese il risultato probatorio che la D.P. intendesse così accreditare.
Ella voleva dimostrare, da un lato, che la violazione dell’obbligo di custodia ricorreva indubitabilmente e, dall’altro, che l’assunto secondo cui la buca, pur essendo di dimensioni ragguardevoli, non potesse essere percepita perché colma d’acqua e di foglie, era esattamente riscontrata dalla presenza degli alberi, da cui quelle erano cadute.
Senonché, questa suggestione è smentita proprio dalle immagini che dovrebbero confermarla.
Si è già detto che esse da un lato non ritraggono la sede stradale con la buca, dunque non v’è alcuna certezza che il luogo raffigurato coincida con quello in cui il sinistro si dice accaduto.
Ora occorre osservare – ponendo in risalto l’ineluttabile conclusione di per sé già desumibile dalle premesse finora svolte – che quelle immagini sono contraddette dalle precedenti che invece quella buca ritraggono, dal momento che in quest’ultime gli alberi prospicienti il luogo del sinistro erano completamente brulli.
La D.P., nell’atto introduttivo di primo grado, non rappresentò nemmeno un’ulteriore significativa circostanza, che emergerà solamente dalle dichiarazioni (su questo punto) concordi delle testimoni, e cioè che, nella serata in cui cadde attraversando il Corso Meridionale in Afragola, non solo aveva piovuto, ma stava tuttora piovendo a dirotto, tanto che la sede stradale era perciò completamente allagata.
Ora, evidenziati questi due aspetti – gli alberi spogli e l’assenza di foglie anche ai loro piedi, le avverse condizioni meteorologiche – può passarsi ad esaminare le critiche mosse alla ritenuta contraddittorietà delle dichiarazioni testimoniali, critiche che tuttavia non hanno pregio.
Il primo Giudice ha correttamente sottolineato che le due testimoni, dopo aver dichiarato che procedevano affiancate sotto il medesimo ombrello per ripararsi dalla pioggia battente, hanno ricordato la prima di aver visto la D.P. cadere all’improvviso “sul suo lato destro” (l’affermazione è stata resa due volte dalla testimone), la seconda di averla vista cadere “in avanti”.
Non giustifica questa contraddittoria (e di per sé già eloquente) percezione della dinamica del sinistro la diversa prospettiva visuale delle testimoni: trattandosi di persone che procedevano gomito a gomito perché costrette dalla necessità di ripararsi dalla pioggia, il rispettivo punto d’osservazione non può che esser variato di pochi e, dunque, irrilevanti gradi.
Il primo Giudice non ha, viceversa, evidenziato che delle foglie sparse in quantità copiosa sul manto stradale ha riferito solamente la prima testimone.
Eppure, anche questo costituisce, evidentemente, aspetto di grande rilievo, poiché aggiunge un ulteriore dubbio sull’attendibilità della testimone (P.D.P.), dato che, secondo quanto si è osservato prima, di foglie non v’è alcuna traccia fotografica né sugli alberi, né sul marciapiedi né sulla strada. Del che v’è implicita conferma anche dal silenzio sul punto della seconda testimone.
Il primo Giudice ha colto, infine, nella testimonianza di quest’ultima, V.P., un ulteriore aspetto d’inveridicità, consistente nel dichiarare di aver visto una buca che non si vedeva. La riferita critica mossa dall’appellante a questo punto della motivazione non è priva di pregio, dal momento che la corretta lettura logica delle dichiarazioni della teste dimostra che costei, anziché prospettare l’ossimoro ravvisato dal Tribunale, ha invece affermato che la buca, allorché la teste si trovava dietro il punto della caduta, non era visibile, ma era diventata tale “quando mi sono avvicinata con mia madre per soccorrere mia zia”.
Senonché, neppure l’accertata dignità di questa critica giova all’appellante.
Il dato significativo che così emerge dalle dichiarazioni della P. – che, lo si è appena rilevato, non riferisce della presenza di foglie sul manto stradale – è che la buca era comunque visibile, nonostante la pioggia abbondante caduta in precedenza e quella tuttora battente.
Sono, in conclusione, consentite due considerazioni terminali.
La prima è che le dichiarazioni delle testi non confortano l’assunto principale della D.P.: non vi è prova che la caduta sia accaduta in corrispondenza ed a causa della buca.
La seconda, che peraltro si lega ineluttabilmente alla condivisibile considerazione conclusiva svolta dal Tribunale, è che, in mancanza della rigorosa prova del nesso causale tra il sinistro e la sede stradale danneggiata e per di più negligentemente manutenuta, non è inconseguente inferire che le avverse condizioni meteorologiche, di per sé non impedienti in termini assoluti la percepibilità visiva della buca, e la non rigorosa osservanza da parte della D.P. del dovere di autoresponsabilità, di cui è prova l’appena ricordata visibilità dell’insidia, abbiano svolto – ove la caduta si sia verificata perché nella buca la D.P. era effettivamente incappata – il ruolo di esclusiva causa efficiente del sinistro.
Del che, a ben vedere, può trarsi ulteriore riscontro, quanto meno quale argomento di prova (art. 116 c.p.c.), proprio dalla rilevata condotta processuale dell’appellante, che, anziché riferire apertis verbis della pioggia attualmente battente, l’ha invece evocata solo in termini statici, come acqua colmante, chissà da quanto tempo, la buca in cui aveva malamente poggiato il piede.
In definitiva, le critiche dell’appellante risultano infondate e la decisione impugnata merita piena conferma.
5. Le spese del processo d’appello seguono la soccombenza.
Esse sono liquidate in dispositivo, con esclusione del compenso per la fase istruttoria perché non svoltasi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della ricorrenza di un caso di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione e, dunque, dell’astratta sussistenza della fattispecie che pone a carico della parte impugnante rimasta soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, fermo restando che, secondo quanto condivisibilmente precisato da Cass. Sez. Un. n. 4315 del 2020, l’accertamento se la parte, in dipendenza di quest’esito, sia in concreto tenuta al versamento del contributo è rimesso all’amministrazione giudiziaria e, quindi, al funzionario di cancelleria.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da G.D.P. nei confronti del Comune di Afragola e della A.A. S.p.A.:
a) respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;
b) condanna l’appellante G.D.P. al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Afragola e di A.A. S.p.A., che determina per ciascuno di essi in 2.000,00 Euro per compensi, oltre al 15% a titolo di rimborso delle spese generali;
c) ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per l’appello proposto.
Così deciso in Napoli, il 3 marzo 2020.
Depositata in Cancelleria il 8 giugno 2020.