Le rimessione nei termini è possibile nel caso di quadro normativo o giurisprudenza incerta
Cons. Stato Sez. V, Sent., 15-07-2014, n. 3710
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7635 del 2011, proposto da:
Demetra Società Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Pancallo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ennio Mazzocco in Roma, via Ippolito Nievo, n. 61, Scala D;
contro
Comune di Cosenza, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
nei confronti di
Addis Multiservice Cooperativa Sociale a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sezione II, n. 654/2011, resa tra le parti, di declaratoria di irricevibilità del ricorso proposto per l’annullamento delle determinazioni del Comune di Cosenza n. 656 del 27 maggio 2010 e n. 696 del 31 maggio 2010, nonché degli atti connessi, in particolare della nota del Comune prot. n. 117 del 10 maggio 2010; inoltre di reiezione della domanda di risarcimento danni.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e udito per la parte appellante l’avvocato Picciano, per delega dell’avvocato Pancallo;
A) – Con il ricorso in appello in esame la Demetra Società Cooperativa Sociale ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stata dichiarata l’irricevibilità del ricorso proposto per l’annullamento della determinazione dirigenziale del Comune di Cosenza n. 656 del 27 maggio 2010 (di “revoca/decadenza” della aggiudicazione disposta in favore di detta società della gara per l’affidamento dei servizi educativi per l’infanzia nel settore scolastico per mancata dimostrazione del possesso dei requisiti prescritti dal bando e per invalida prestazione della cauzione definitiva), della Det. n. 696 del 31 maggio 2010 (di integrazione della determinazione sopra citata), nonché degli atti connessi ed in particolare della nota del Comune stesso prot. n. 117 del 10 maggio 2010 (di avvio del procedimento); inoltre di reiezione della domanda di risarcimento danni.
B) – A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:
1.- Erroneità della sentenza.
Il primo giudice ha dichiarato irricevibile il ricorso introduttivo del giudizio senza considerare che alla fattispecie non era applicabile l’art. 8 del D.Lgs. n. 53 del 2010 e che comunque sussisteva errore scusabile.
2.- Al fine di non incorrere nella decadenza di cui all’art. 101, comma 2, del c.p.a. è stata ribadita la fondatezza delle doglianze formulate con i motivi di ricorso di primo grado:
2.1.- Con riguardo al motivo, posto a base del provvedimento di revoca, che il beneficio della dimidiazione dell’importo della cauzione definitiva era invalidato dalla circostanza che il certificato di qualità era stato dapprima sospeso e poi ritirato, sono state dedotte le seguenti censure:
Eccesso di potere nella forma della manifesta infondatezza, dell’illogicità e dello sviamento. Violazione dei principi di efficienza dell’azione amministrativa, di affidamento procedimentale, di correttezza, di imparzialità e di buona amministrazione. Violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della L. n. 241 del 1990.
2.2.- Con riguardo all’ulteriore motivo di revoca, consistente nella mancata documentazione dei requisiti di capacità tecnica e nella mancata produzione del certificato di iscrizione all’Albo nazionale delle cooperative a mutualità permanente, sono stati formulati i seguenti motivi:
Eccesso di potere nella forma del travisamento dei fatti, del difetto di istruttoria e della motivazione perplessa ed insufficiente. Violazione del principio di correttezza, imparzialità e buona amministrazione che deve assistere l’attività riservata all’Amministrazione negli appalti pubblici. Violazione delle norme e dei principi generali in materia di partecipazione al procedimento amministrativo. Violazione degli artt. 3, 7 e 8 della L. n. 241 del 1990 e successive modificazioni.
2.3.- Con riguardo alla rilevata irregolarità ai fini DURC sono state formulate le seguenti censure:
Violazione di legge (artt. 38 e 46 del D.Lgs. n. 163 del 2006; art. 3 della L. n. 241 del 1990). Eccesso di potere nelle forme del contrasto con precedente determinazione dello stesso dirigente, della manifesta irragionevolezza, dell’illogicità e dello sviamento. Violazione dei principi di efficienza dell’azione amministrativa, del principio di affidamento procedimentale, di correttezza, di imparzialità e di buona amministrazione.
2.4.- E’ stata infine affermata la sussistenza di tutti i requisiti per l’accoglimento dell’azione risarcitoria.
C) – Alla pubblica udienza del 25.3.2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato della parte appellante, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
D) – Osserva il Collegio che con il primo motivo di appello è stata censurata la tesi del giudice di primo grado che il ricorso introduttivo del giudizio era stato tardivamente proposto oltre i termine di trenta giorni previsto dalla disciplina introdotta dall’art. 8 del D.Lgs. n. 53 del 2010, a modifica del D.Lgs. n. 163 del 2006 (oggi trasfusa nel codice del processo amministrativo), con riguardo ai termini per l’impugnazione giurisdizionale degli atti delle procedure di affidamento relative a pubblici lavori, servizi o forniture, e che non poteva invocarsi l’errore scusabile.
Non sarebbe stato, infatti, debitamente valutato che detto art. 8 assume la valenza di norma speciale, perché derogatoria di quella generale contenuta nell’art. 21 della L. n. 1034 del 1971 e che non sarebbe, quindi, possibile effettuarne una interpretazione estensiva.
La riduzione dei termini ritenuta applicabile con la impugnata sentenza non sarebbe stata prevista per tutti i ricorsi in materia di appalto di servizi, ma solo per quelli con i quali venivano impugnati gli “atti delle procedure di affidamento” dell’appalto, sicché la norma non sarebbe stata applicabile anche ai provvedimenti, come quello che occupa, di revoca dell’aggiudicazione.
Comunque non potrebbe negarsi che nella specie, diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R., sussistessero i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile, non solo per la situazione di obiettiva incertezza legata al contenuto della norma, ma anche per il comportamento del Comune, che, al terzo punto delle determinazioni dirigenziali n. 656/2010 e n. 696/2010, ha indicato che avverso essi provvedimenti era ammesso ricorso al T.A.R. “entro 60 giorni dalla notificazione”, il che costituirebbe presupposto per il riconoscimento dell’errore scusabile.
E) – Con la sentenza impugnata la domanda annullatoria formulata con il ricorso introduttivo del giudizio è stata ritenuta irricevibile innanzi tutto perché in base al D.Lgs. n. 53 del 2010, di modifica del D.Lgs. n. 163 del 2006, gli atti delle procedure di affidamento relative a pubblici lavori, servizi o forniture devono essere impugnati nel termine di trenta giorni e la revoca di un’aggiudicazione è indubbiamente un atto della procedura di affidamento, in base alla formulazione oggi contenuta nell’art. 120, comma 1, del c.p.a
In secondo luogo perché è stato ritenuto non invocabile l’errore scusabile (attualmente disciplinato dall’art. 37 del c.p.a., atteso che l’erronea indicazione, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990, del termine o dell’Autorità cui ricorrere, può costituire presupposto per il suo riconoscimento purché nel caso concreto vi sia una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto o per gravi impedimenti di fatto non imputabili al ricorrente.
In terzo luogo perché nel caso di specie si era verificato un errore materiale che non esonerava la parte ricorrente dall’assolvimento del dovere di ordinaria diligenza cui la stessa era tenuta, dovendo essa conoscere le pubblicizzate novità di cui al D.Lgs. n. 53 del 2010, riguardanti tutti gli atti della procedura di affidamento, inclusi quelli adottati in autotutela.
F) – Osserva la Sezione che è esplicitamente affermato nella memoria di costituzione in primo grado del Comune di Cosenza che la d.d. n. 656 del 27.5.2010 è stata ricevuta dalla Demetra società cooperativa sociale in data 1.6.2010 e che la d.d. n. 696 del 31.5.2010 è stata ricevuta dalla stessa società nelle date del 7.6.2010 (nella sede di Barletta) e del 3.6.2010 (nella sede di Palagiano).
Entrambe dette determinazione recavano in calce la avvertenza che avverso di esse “… è ammesso ricorso al TAR della Calabria – Catanzaro, entro 60 giorni dalla notificazione….”
Il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado risulta spedito alla notifica il 20.7.2010, oltre il termine di trenta giorni dalla conoscenza di detti provvedimenti, ma prima di sessanta giorni.
Va premesso che l’errore scusabile rappresenta un istituto inteso a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, suscettibile di trovare applicazione sia quando siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza normativa, connesse a difficoltà interpretative o ad oscillazioni giurisprudenziali, sia quando si sia di fronte a comportamenti, indicazioni o avvertenze fuorvianti provenienti dalla medesima Amministrazione, da cui possa conseguire difficoltà nella domanda di giustizia ed un’effettiva diminuzione della tutela giustiziale.
Il riconoscimento dell’errore scusabile può avvenire solo previo rigoroso accertamento, caso per caso, dei presupposti e, quindi, ex art. 37 del c.p.a., in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto.
Ciò posto, considera il Collegio che la violazione dell’art. 3, comma 4, della L. n. 241 del 1990, secondo cui in ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità alla quale è possibile ricorrere, pur non comportando un vizio del procedimento e l’illegittimità dell’atto, è invece idonea a determinare la scusabilità dell’errore del destinatario circa i termini di impugnazione dell’atto stesso.
Costituisce principio pacifico in giurisprudenza (Consiglio di Stato, ad. plen., 14 febbraio 2001, n. 2) che anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione, venendo meno al dovere di cooperazione previsto dall’art. 3, comma 4, della L. n. 241 del 1990, abbia solo omesso di indicare nel provvedimento rivolto al privato i termini entro i quali ricorrere, sussiste il presupposto per il riconoscimento dell’errore scusabile in sede processuale ove, nel singolo caso, sia rilevabile una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto.
Quindi, a maggior ragione, qualora l’atto amministrativo impugnato indichi, come richiesto dall’art. 3, comma 4, della L. n. 241 del 1990, il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere, ma lo faccia in modo erroneo, l’interessato che lo impugni entro il termine e davanti al giudice indicati incorre in errore scusabile (Cassazione civile, sez. un., 29 aprile 2009, n. 9947).
È quindi doveroso ritenere scusabile l’errore del ricorrente che impugni un provvedimento amministrativo oltre il termine di decadenza, ove esso errore trovi radice nell’errata indicazione del termine contenuta nel provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, sez. IV, 7 settembre 2000, n. 4725; sez. VI, 16 giugno 2003, n. 3384) e ove la corretta durata del termine non sia univocamente desumibile dalla normativa vigente (Consiglio di Stato, sez. VI, 18 ottobre 2000, n. 5605).
Orbene l’art. 8 del D.L. n. 53 del 2010, pubblicato sulla G.U. del 12.4.2010, n. 84, nell’apportare modificazioni all’articolo 245 del D.Lgs. n. 163 del 2006, ha stabilito, al comma 2-quinquies, che “I termini processuali sono stabiliti in: a) trenta giorni per la notificazione del ricorso e per la proposizione di motivi aggiunti avverso atti diversi da quelli già impugnati, decorrenti dalla ricezione della comunicazione degli atti ai sensi dell’articolo 79 o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8”.
L’originaria versione del comma 1 di detto art. 245 del D.Lgs. n. 163 del 2006 stabiliva che “Gli atti delle procedure di affidamento, nonché degli incarichi e dei concorsi di progettazione, relativi a lavori, servizi e forniture previsti dal presente codice, nonché i provvedimenti dell’Autorità, sono impugnabili, alternativamente, mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente o mediante ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Davanti al giudice amministrativo si applica il rito di cui all’articolo 23-bis, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034“.
Detto art. 23 bis della L. n. 1034 del 1971 stabiliva, al comma 1, che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa aventi ad oggetto: ….. c) i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti”, e, al comma 2, che “I termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso”.
L’entrata in vigore del D.Lgs. n. 53 del 2010, poche settimane prima della impugnazione delle determinazioni dirigenziali di cui trattasi, ha quindi prodotto una modificazione della norma con riguardo al termine per la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio in quel rito speciale.
Quindi, anche se, ai sensi dell’art. 37 del c.p.a., nel processo amministrativo la rimessione in termini per errore scusabile ha carattere eccezionale, in quanto deroga al principio della perentorietà dei termini di impugnazione, e la disposizione relativa deve essere considerata di stretta interpretazione (Consiglio di Stato, ad. plen., 9 agosto 2012, n. 32), tuttavia il beneficio può essere riconosciuto in presenza, come nel caso che occupa, di un quadro normativo da poco assestatosi o di un orientamento giurisprudenziale ancora in via di consolidazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 21 agosto 2013, n. 42199).
Quanto all’applicabilità della riduzione dei termini introdotta da detto art. 8 del D.Lgs. n. 53 del 2010 non soltanto agli atti di impugnazione delle procedure di affidamento dell’appalto, ma anche ai provvedimenti di revoca dell’aggiudicazione, va rilevato che la giurisprudenza formatasi nel tempo ha affermato la sussumibilità nella normativa relativa all’applicabilità di detto art. 23 bis, ai fini del rispetto dei termini dalla stessa posti, della “revoca dell’aggiudicazione” (Consiglio di Stato, sezione V, 28 maggio 2004, n. 3463).
Il Collegio ritiene che la controversia in esame fosse effettivamente assoggettata al rito speciale previsto per gli atti delle procedure di affidamento.
Tale conclusione appare giustificata sotto il profilo sia lessicale, che sostanziale.
Dal primo punto di vista se il rito speciale riguarda gli “atti delle procedure di affidamento” di contratti pubblici, appare logico che nel suo ambito di applicazione venga ricompreso non solo il provvedimento che aggiudica un contratto pubblico, ma anche il “contrarius actus” che ne dispone la revoca o l’annullamento (Consiglio di Stato, VI, 14 gennaio 2002, n. 149). Dal punto di vista sostanziale deve essere rilevato che anche in caso di esercizio da parte dell’Amministrazione dell’autotutela o comunque del recesso precontrattuale, sussistono le stesse esigenze di celerità che sono sottese alle disposizioni che regolamentano, in modo peculiare rispetto agli altri processi, il rito sulle procedure di affidamento dei contratti pubblici al fine di una celere definizione delle relative controversie e di una sollecita definizione dei sottesi rapporti giuridici. Non vi sono pertanto ragioni perche fosse applicabile il rito ordinario.
Tuttavia la normativa in materia non era perfettamente chiara nell’indicare esplicitamente l’applicabilità del rito speciale anche ai provvedimenti di revoca della aggiudicazione, tanto che, come sopra evidenziato, è stato necessario per precisarlo l’intervento di pronunce giurisprudenziali, sicché tale elemento concorre con la erronea indicazione del termine per ricorrere contenuta nei provvedimenti impugnati a determinare nel particolare caso di specie la sussistenza di errore scusabile nell’effettuazione da parte dell’attuale appellante della notifica del ricorso introduttivo del giudizio nel termine ordinario di decadenza invece che in quello dimidiato.
Nel caso che occupa sussistevano quindi sia il requisito di relativa difficoltà interpretativa di norme giuridiche che quello dell’avvenuta effettuazione di indicazioni fuorvianti da parte dell’Amministrazione, sicché era sicuramente sussistente errore scusabile nell’individuare il termine di decadenza per la proposizione di ricorso giurisdizionale avverso i provvedimenti di revoca/decadenza impugnati.
Deve pertanto essere riformata sul punto l’impugnata sentenza che ne ha escluso la sussistenza. La circostanza, poi, che il ricorso di primo grado sia stato comunque notificato all’amministrazione, esclude la necessità della concessione di un ulteriore termine per procedere a tale incombente.
G) – L’appello deve essere quindi accolto con riguardo alla dedotta tardività di proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, affermata dal giudice di primo grado sulla base dell’incondivisibile asserzione che non sussistesse errore scusabile perché la ricorrente non poteva giovarsi del fatto che l’Amministrazione avesse erroneamente inserito nel provvedimento impugnato una formula stereotipata e non corretta, dovuta ad errore materiale, che non esonerava la ricorrente dall’assolvimento del dovere di ordinaria diligenza cui la stessa era tenuta, dovendo conoscere le novità introdotte con il D.Lgs. n. 53 del 2010, riguardanti tutti gli atti della procedura di gara.
H) – Dalla riconosciuta ricevibilità del gravame viene conseguentemente ad essere viziata anche la pronuncia contenuta nella impugnata sentenza sulla richiesta di risarcimento danni, che è stata respinta nell’assunto, rivelatosi infondato, che la parte ricorrente non avesse tempestivamente impugnato la revoca dell’aggiudicazione; infatti, secondo il T.A.R., in caso di tempestiva impugnazione delle determinazioni di revoca/decadenza dell’aggiudicazione l’eventuale accoglimento del ricorso avrebbe scongiurato la produzione del danno di cui veniva chiesto il ristoro, nella misura dei corrispettivi non percepiti dalla società a seguito della mancata erogazione del servizio in esito alla della revoca.
I) – L’annullamento della gravata decisione comporta la necessità della sua delibazione sul merito delle richieste di annullamento e di risarcimento formulate con il ricorso introduttivo del giudizio, ma non esaminate dal primo giudice in conseguenza della ritenuta tardività del ricorso introduttivo del giudizio.
L) – Al riguardo osserva il Collegio che, mentre l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un “error in procedendo” tale da comportare l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia ad esso giudice, ma solo un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare (integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa in applicazione del principio devolutivo dell’appello, desumibiledall’art. 329 comma 2, c.p.c.), al contrario la erronea declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio, con omesso esame delle censure poste a base della richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati, deve ritenersi che comporti la conseguenza della sottrazione alle parti (ivi compresi i soggetti controinteressati) delle garanzie del doppio grado di giudizio.
Nel caso di specie l’erronea declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado ha comportato, secondo la Sezione, violazione del diritto di difesa (non rilevato d’ufficio ex art. 73, comma 3, del c.p.a., ma conseguente a specifiche censure della appellante) e l’inapplicabilità del principio devolutivo dell’appello, con necessità di rinvio della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, del c.p.a., dinanzi al quale le parti dovranno riassumere il processo con le modalità e nei termini di cui al comma 3 dello stesso art. 105.
M) – L’appello deve essere conclusivamente accolto e, per l’effetto, va annullata la sentenza impugnata e va disposto il contestuale rinvio della causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 105, commi 1 e 3, del c.p.a..
N) – Nessuna determinazione può essere allo stato assunta con riguardo alla determinazione delle spese del giudizio, che sarà effettuata dal giudice di rinvio all’esito del rinnovato giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, accoglie l’appello in esame e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata e dispone il contestuale rinvio della causa al giudice di primo grado, anche con riguardo alla determinazione delle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere