Licenziamento nel trasferimento d’azienda: la legittimazione passiva è del cessionario
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 24022/2011 proposto da:
S.P. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo studio dell’avvocato TAVERNITI BRUNO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI DE SETA, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
BANCA CARIME S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99, presso lo studio dell’avvocato FERZI CARLO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CESARE POZZOLI, ANGELO CHIELLO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 265/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 22/03/2011 R.G.N. 634/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;
udito l’Avvocato TAVERNITI BRUNO;
udito l’Avvocato FERZI CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.
1. Con sentenza depositata il 22 marzo 2011, la Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’appello proposto da S.P. contro la sentenza resa dal Tribunale di Cosenza, che aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Banca Carime s.p.a. rispetto alla domanda, proposta dall’appellante, diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla Carical s.p.a. e la reintegrazione nel posto di lavoro.
2. La Corte riteneva che, posto che il licenziamento del S. risaliva al settembre del 1990, al momento del conferimento del ramo di azienda da parte della datrice di lavoro, Carical s.p.a., alla Banca Carime s.p.a., avvenuto con decorrenza 1/1/1998, egli non era più alle dipendenze della banca conferente, sì che non poteva trovare applicazione il disposto di cui all’art. 2112 c.c., come modificato dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, il quale suppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del conferimento dell’azienda e non è pertanto applicabile ai crediti maturati nel corso di rapporti cessati ed esauriti anteriormente. La Corte riteneva altresì che non potesse trovare applicazione il disposto dell’art. 2560 c.c., che contempla, in generale, la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta ove essi risultino dei libri contabili obbligatoli, circostanza quest’ultima non dedotta nè tantomeno provata.
3. Contro la sentenza il S. propone ricorso per cassazione, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.. La Carime s.p.a. resiste con controricorso.
1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione di ogni norma e principio in materia di cessione di debiti e crediti dell’azienda ceduta e di legittimazione passiva del cedente rispetto a questi. Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) “.
2. Il ricorrente precisa di essere stato dipendente della ex Carical s.p.a. fino al 7 settembre 1990, data in cui era stato licenziato dopo essere stato sospeso dal servizio per presunte irregolarità commesse presso la filiale di (OMISSIS); di aver impugnato il licenziamento; di essere stato assolto con la formula “per non aver commesso il fatto” da quelle irregolarità a causa delle quali era stato licenziato e per le quali era stato promosso il procedimento penale; di avere pertanto agito in giudizio per ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento.
3. Riassume altresì, nei loro passaggi salienti, le vicende societarie della Carical s.p.a. – che nel 1998, insieme ad altre Casse di risparmio, si era fusa nella Carime s.p.a. e, con atto del 23 marzo 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, foglio delle inserzioni n. 68, aveva conferito a quest’ultima un ramo d’azienda comprendente anche “debiti, crediti, rapporti contrattuali, diritti e ragioni”, nonchè ogni altro elemento facente parte del ramo aziendale.
4. Ritiene che le sue pretese rientrino nella categoria dei debiti, crediti e rapporti contrattuali trasferiti con l’atto di conferimento alla Carime s.p.a., la quale non poteva non conoscere l’esistenza della sua posizione lavorativa anche in forza delle plurime raccomandate inoltrate; peraltro, nulla poteva risultare dai libri contabili della Carical s.p.a., posto che non vi era una partita di debito accertata.
5. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente.
6. In primo luogo la Carime s.p.a. eccepisce l’inammissibilità del ricorso perchè in esso sono formulate, cumulativamente, censure di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e censure di insufficiente e contraddittoria motivazione. L’eccezione è infondata.
7. Posto che al ricorso in esame non trova applicazione, ratione temporis, il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., che prevedeva la formulazione dei quesiti di diritto per i motivi proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, e la chiara indicazione del fatto controverso per il motivo di cui al n. 5 dello stesso articolo – trattandosi di sentenza pubblicata dopo il 4 luglio 2009, allorquando la norma era già stata abrogata arg. L. 18 giugno 2009, n. 69, ex art. 47, comma 1, lett. d), e art. 58, comma 5, L. cit. -, questa Corte ha più volte affermato che è ammissibile il ricorso per cassazione in cui si denunzino con un unico motivo vizi di violazione di legge e vizi di motivazione allorchè esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass., 23 aprile 2013, 9793; Cass., Sez. Un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass., 18 gennaio 2008, n. 976).
8. Nel caso in esame, la censura si snoda avendo riguardo essenzialmente all’asserita violazione di legge, mentre il vizio di motivazione è dedotto con riguardo alla valutazione compiuta dal giudice del merito circa la mancata conoscenza da parte della Carime s.p.a. delle rivendicazioni del ricorrente, in considerazione delle plurime raccomandate inviate all’ex datrice di lavoro, unitamente alle attività di “due diligence”, normalmente prodromiche alle cessioni di rami di azienda in campo bancario. Si tratta pertanto di censure facilmente enucleabili dal contesto del ricorso e che non inducono incertezze nel Collegio giudicante circa il loro esatto ambito.
9. E’ infondata anche l’altra eccezione di inammissibilità del ricorso riguardante la mancata specificazione delle espressioni contenute in sentenza che sarebbero contraddittorie o inconciliabili tra loro, giacchè, al di là dell’indicazione formale contenuta nell’intestazione del motivo, la doglianza nella sua sostanza investe l’omessa o insufficiente motivazione, non anche la sua contraddittorietà.
10. Infine, la Carime eccepisce l’inammissibilità anche sotto un ulteriore profilo, costituito dalla mancata indicazione della norma di cui si lamenta la violazione o la falsa applicazione.
11. Anche questa eccezione è infondata. Invero, l’indicazione delle norme che si assumono violate non è un requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità della censura, ma solo un elemento richiesto al fine di chiarirne il contenuto e di identificare i limiti dell’impugnazione, sicchè la relativa omissione può comportare l’inammissibilità della singola doglianza soltanto se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme ed i principi di diritto asseritamente trasgrediti, così precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (Cass., 7 novembre 2013, n.25044; Cass., 16 marzo 2012, n. 4233).
12. Nel caso in esame, le ragioni poste ad illustrazione del motivo sono chiaramente enucleate e risiedono nella ritenuta erroneità della pronuncia di merito che ha escluso la legittimazione passiva della società odierna intimata per la ritenuta inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., comma 2, sul presupposto che, al momento del trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro era già cessato, nonchè per la inapplicabilità dell’art. 2560 c.c., non essendo stata dedotto nè provato l’inserimento del credito vantato dal lavoratore nei libri contabili della Carical s.p.a. al momento dell’incorporazione. Queste sono le uniche questione che si agitano nel presente giudizio, sicchè anche sotto tale riguardo non possono esservi dubbi sull’esatto ambito della censura.
13. Nel merito, il ricorso è fondato.
14. E’ opportuno precisare che, al caso in esame, trova applicazione l’art. 2112 c.c., nel testo risultante dalla modifica introdotta dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, comma 3, che è intervenuta sui primi tre commi della norma, laddove non rilevano le modifiche introdotte con il D.Lgs. del 2 febbraio 2001, n. 18, e con il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, in quanto successive alle vicende intercorse tra la Carical s.p.a. e la Carime s.p.a., pacificamente risalenti agli anni compresi tra il 1997 e il 1999.
15. Deve altresì evidenziarsi che, in sede di interpretazione dell’art. 2112 c.c., come integrato dalla L. n. 428 del 1990, in linea con la direttiva 77/187/CEE del 14 febbraio 1977, ripetutamente interpretata dalla Corte di giustizia CE e poi trasfusa nella direttiva 99/50/CE e, infine, razionalizzata, senza innovazioni sostanziali, nella direttiva 2001/23/CE, la giurisprudenza ha evidenziato la possibilità di cessione di un ramo di azienda – invece che dell’intera azienda – inteso come complesso produttivo funzionalmente autonomo (v. Cass., 13 aprile 2011, n. 8465; Cass., 6 giugno 2007, n. 13270).
16. Nel giudizio di merito è rimasto definitivamente accertato che con atto del 31/12/1997 la Carical s.p.a. conferiva alla Carime s.p.a. un ramo di azienda e che, per effetto del conferimento, i rapporti di lavoro dei dipendenti in forza presso la Carical s.p.a.
al momento del trasferimento sono continuati con la società conferitaria, Banca Carime s.p.a., a far tempo dal 1 gennaio 1998 (pag. 8 del controricorso).
17. Il nucleo della controversia è quindi costituito dalla domanda – a cui la Corte ha dato risposta negativa – se con la cessione del ramo d’azienda dalla Carical s.p.a. alla Carime s.p.a. sia stato trasferito anche il rapporto di lavoro intercorso tra il S. e la Carical s.p.a., cessato nel 1990 per effetto di un licenziamento impugnato.
18. L’art. 2112 c.c., nel testo applicabile ratione temporis, così recita:
“In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
L’alienante e l’acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c., il lavoratore può consentire la liberazione dell’alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
L’acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici non previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti con le applicabili all’impresa dell’acquirente.
Le disposizioni di quest’articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto dell’aziendà.
19. L’art. 47, nel modificare i primi tre commi dell’art. 2112 c.c., ha eliminato l’inciso contenuto nel secondo comma della norma in esame nel testo originario, secondo cui la responsabilità in solido dell’alienante con l’acquirente per i crediti del prestatore di lavoro era subordinata alla conoscenza dei crediti da parte dell’acquirente all’atto del trasferimento.
20. Pertanto, non rileva la circostanza di fatto dedotta dal ricorrente, e posta a base della denuncia di omessa o insufficiente motivazione, relativa alla conoscenza che, all’epoca del trasferimento del ramo di azienda dalla Carical s.p.a. alla Carime s.p.a., quest’ultima avesse dell’esistenza del suo credito, peraltro meramente potenziale in quanto subordinato all’accertamento dell’illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro.
21. Ciò che invece occorre verificare è se, al momento della cessione, il rapporto di lavoro con il S. poteva dirsi ancora esistente, sì da rientrare tra i rapporti contrattuali oggetti del trasferimento alla società conferitaria.
22. Questa Corte ritiene di dover dare risposta affermativa a tale quesito, alla luce dei principi più volte affermati da questo Giudice di legittimità ed ai quali si intende dare continuità.
23. Già nel vigore del vecchio testo dell’art. 2112 c.c., anteriore alle modifiche indicate, la giurisprudenza di questa Corte aveva affermato il principio secondo cui il trasferimento della titolarità dell’azienda, con qualunque strumento giuridico effettuato, comporta, ai sensi dell’articolo citato ed alle condizioni ivi previste, la continuazione del rapporto lavorativo con lo stesso contenuto che aveva in precedenza, senza che possano essere negati al lavoratore diritti che, eventualmente riconosciuti per via giudiziaria in epoca successiva al trasferimento, siano in ogni caso eziologicamente ricollegabili alla posizione lavorativa assunta anteriormente al trasferimento (Cass., 12 giugno 1998, n. 5909).
24. E’ pur vero che l’art. 2112 c.c., comma 2, nel testo novellato dall’art. 47, L. cit., che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d’azienda (a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario), presuppone (al pari di quella prevista dai commi 1 e 3, della medesima disposizione quanto alla garanzia della continuazione del rapporto e dei trattamenti economici e normativi applicabili) la vigenza del rapporto di lavoro e quindi non è riferibile ai crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati ed esauriti anteriormente al trasferimento d’azienda (Cass., 19 dicembre 1997, n. 12899).
25. Ma, come risulta dalla giurisprudenza soprarichiamata, non si è mai dubitato che l’esaurimento o la cessazione del rapporto identifichino situazioni giuridicamente rilevanti e non vicende meramente fattuali. I rapporti di lavoro, quali rapporti giuridici, non si esauriscono nè cessano in via di mero fatto, richiedendosi a tale fine il verificarsi di circostanze giuridicamente rilevanti, idonee a produrre effetti estintivi (in tal senso, Cass., 12 aprile 2010, n. 8641).
26. Ora, l’effetto estintivo del licenziamento annullabile è un effetto del tutto precario, idoneo ad essere travolto fra le parti dalla pronunzia di annullamento (art. 1445 c.c.) con la conseguenza che, a norma dell’art. 2112 c.c., il rapporto di lavoro ripristinato fra le parti originarie si trasferisce al cessionario (Cass., n. 8641/2010; Cass., 8 marzo 2011, n. 5507; da ultimo, Cass., 21 febbraio 2014, n. 4130). L’ulteriore conseguenza è che deve ritenersi sussistente la legittimazione passiva dell’impresa cessionaria, nei cui confronti correttamente è stata proposta la domanda di impugnativa del licenziamento (cfr. Cass., n. 8641/2010).
27. Tale soluzione non osta con la direttiva 77/187/CE, la quale prevede, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia Ce (sentenza 12 marzo 1998 C-319/94, 11 luglio nelle 985, C-105/84, 7 febbraio 1985, C-19/83), che i lavoratori licenziati in contrasto con la direttiva debbono essere considerati dipendenti alla data del trasferimento, senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori (Cass., 8641/2010, cit.;
Cass., 8 marzo 2011, n. 5507, principio emesso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.).
28. Il ricorso deve dunque essere accolto con la cassazione della sentenza ed il rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione affinchè decida la controversia, sulla base del seguente principio di diritto: “In tema di trasferimento d’azienda, l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’art. 2112 c.c., in capo al cessionario. Il cessionario è pertanto legittimato passivamente rispetto alla domanda di impugnativa del licenziamento proposta dal lavoratore”. La stessa Corte in sede di rinvio provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia,anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2014