Licenziamento per giusta causa da valutarsi in concreto anche se previsto dal contratto collettivo

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l’ Intestazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13764/2011 proposto da:

D.G.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. PAULUCCI DE CALBOLI 9, presso lo studio dell’avvocato NATALE FUSARO, rappresentato e difeso dall’avvocato BAUCCIO LUCA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

IBM ITALIA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 47 (STUDIO LEGALE RUCELLAI E RAFFAELLI), presso lo studio dell’avvocato TODARO PAOLO, che la rappresenta e, difende unitamente all’avvocato ANDREA VISCHI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 149/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/02/2011 R.G.N. 1933/2009 +1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato BAUCCIO LUCA;

udito l’Avvocato VISCHI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

il Fatto

La IBM Italia s.p.a. impugnava la sentenza del Tribunale di Milano con cui venne dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare per giusta causa intimato a D.G.G. in data 11.2.08, con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Il primo giudice ritenne in parte infondate le contestazioni formulate ed in parte le stesse inidonee a giustificare il provvedimento espulsivo;

quanto alla contestazione di non aver comunicato tempestivamente la propria impossibilità di riprendere la prestazione lavorativa, rilevava che il D.G., in ferie sino al 7.1.08 e sottoposto a misura cautelare in carcere dal 20.12.07, aveva comunicato tramite la sorella la propria impossibilità di fare rientro al lavoro alla data prevista, comunicando poi personalmente il suo rientro per i primi di febbraio; che il dipendente non era tenuto, neanche in base agli obblighi di correttezza, a comunicare alla datrice di lavoro la causa dell’impossibilità di riprendere il lavoro, nè il tipo di reato per cui era stato sottoposto a misura cautelare in carcere (pedopornografia); quanto alla contestazione dellindebito uso del personal computer aziendale, rilevava che il licenziamento, in base al c.c.n.l., era giustificato solo in caso di furto o danneggiamento;

che nel suddetto p.c. non era risultato alcun materiale pornografico e che nessun danno era stato prodotto all’immagine aziendale.

La società impugnava altresì la sentenza n. 2278/10 del medesimo Tribunale, con cui venne respinta l’opposizione al decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dal D.G., con cui le veniva ingiunto il pagamento della somma di Euro 71.640.000, oltre accessori di legge, a titolo di indennità sostitutiva della reintegrazione, richiesta dal lavoratore a seguito della pubblicazione della prima sentenza che disponeva la sua reintegra nel posto di lavoro.

Resisteva il D.G. in entrambi i giudizi.

Con sentenza depositata il 23 febbraio 2011, la Corte d’appello di Milano, riuniti t ricorsi, in riforma della sentenza n. 3641/09 del Tribunale di Milano, respingeva la domanda proposta dal D. G.; in riforma della sentenza n. 2278 del medesimo Tribunale, dichiarava la nullità del d.i. opposto, compensando le spese di primo grado. Condannava il D.G. a restituire alla IBM Italia le somme di denaro ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi dal pagamento al saldo. Condannava il D. G. al pagamento delle spese del giudizio di appello.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il D.G., affidato a cinque motivi. Resiste la società con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

il Diritto

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ed in particolare la omessa individuazione delle fonti e delle prove relative all’asserito uso indebito o illecito dei p.c. aziendale.

Lamenta che tale circostanza, affermata dalla Corte di merito, non trova in sentenza alcun elemento argomentativo.

2.- Con il secondo motivo il lavoratore denuncia parimenti una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ed in particolare una omessa pronuncia in merito all’inidoneità dell’articolo di giornale del (OMISSIS) del (OMISSIS), inerente la notizia del sequestro e delle giustificazioni del lavoratore, ad integrare la piena cognizione del fatto contestato; ancora una omessa pronuncia in merito all’irrilevanza dei documenti originali, acquisiti e conosciuti successivamente al licenziamento, a fornire la prova dell’illegittimità del provvedimento espulsivo.

Lamenta che la sentenza impugnata, nell’individuare un asserito uso illegale del computer, aveva dato vita ad una decisione viziata da motivazione illogica e insufficiente. La Corte territoriale, infatti, aveva affermato che: “i fatti contestati rientrano sia nella fattispecie prevista dall’art. 25 lettera b) del CCNL, dovendo ritenersi compiuti comunque in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, sia in quelli passibili di licenziamento ai sensi del codice disciplinare IBM, trattandosi in ogni caso di un utilizzo illegale dello strumento aziendale, sicchè comunque essi integravano giusta causa di recesso in quanto idonei a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore”. Doveva ritenersi infatti che l’utilizzo della strumentazione informatica di proprietà IBM, assegnata al D.G. per lo svolgimento delle proprie mansioni, invece utilizzata per fini illeciti, era comportamento di oggettiva gravità, idoneo a giustificare il licenziamento. In sostanza lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata non avesse operato la doverosa cesura temporale tra i fatti accertati al momento dell’adozione del provvedimento espulsivo e quelli solo successivamente conosciuti (quali ad esempio l’annotazione della Polizia Postale dell’ottobre 2009, doc. 9), fondando ad esempio il giudizio di illiceità del comportamento contestato su fatti ancora oggetto di accertamenti in sede penale, di cui la IBM decise di non attendere gli esiti.

3.- Con il terzo motivo il lavoratore denuncia ancora una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ed in particolare relativamente all’individuazione del contenuto dell’obbligo del lavoratore di rendere tempestivamente edotto dei fatti il datore di lavoro (peraltro nell’impossibilità di farlo stante l’applicazione della misura costrittiva penale), nonchè omessa individuazione delle fonti del detto obbligo, laddove gli unici fatti contestati erano il suo arresto ed il sequestro del computer aziendale in suo uso (circostanze ammesse dal lavoratore nella lettera di giustificazioni del 30.1.08).

4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 25, lett. b) del c.c.n.l. metalmeccanici (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Lamenta che la norma contrattuale citata (e lo stesso codice disciplinare IBM) prevedevano la sanzione del licenziamento solo in caso di furto o di danneggiamento di beni del datore di lavoro, circostanze non ricorrenti nella specie, avendo la società intimato il licenziamento sulla base di fatti successivi al recesso stesso.

5.- I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili e per il resto infondati.

Inammissibile, quanto all’ultima censura, non avendo il ricorrente prodotto il c.c.n.l. invocato per esteso, ma solo taluni estratti, in contrasto con l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. da ultimo Cass. n. 23972 del 2011).

Deve inoltre rimarcarsi che la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo; ne deriva che il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore; per altro verso, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (Cass. 18 febbraio 2011 n. 4060).

Occorre per il resto evidenziare che al D.G. venne innanzitutto contestata l’assenza ingiustificata per un notevole lasso di tempo, ed inoltre le non veridiche comunicazioni circa la causa dell’impedimento, quindi il protrarsi dell’assenza senza addurre alcun motivo (così la contestazione riportata nella sentenza impugnata). Tali fatti, sostanzialmente pacifici, già sono idonei a configurare una giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c..

Deve inoltre considerarsi che, come risulta dalla sentenza impugnata, già nella lettera di contestazione, la società addebitava al ricorrente il sequestro del p.c. aziendale, che il dipendente aveva in uso presso la sua abitazione solo per lo svolgimento di attività esclusivamente connesse al lavoro (come previsto dai Regolamenti IBM), sequestro operato dall’autorità di P.S. e mantenuto dall’autorità giudiziaria penale in quanto mezzo di prova, evidentemente per la commissione, tramite esso (e la linea adsl personale fornita parimenti dalla IBM al ricorrente presso la sua abitazione) di reati che, pur non esplicitati nella lettera di contestazione, erano a conoscenza della società ancor prima del licenziamento in base ad un articolo di stampa apparso sul (OMISSIS) il (OMISSIS), secondo cui un tecnico informatico della stessa età del ricorrente e di cui erano riportate le iniziali, coincidenti con quelle del ricorrente, in quel periodo in effetti assente, era stato tratto in arresto nell’ambito di una vasta indagine penale concernente la pedopornografia. La circostanza che la IBM abbia deciso di contestare solo i gravi fatti di cui era con certezza a conoscenza, nulla toglie alla loro gravità ex art. 2119 c.c., anche valutate, come ha logicamente fatto la Corte di merito, le risposte non veritiere fornite dal dipendente. Non risulta dunque fondata la censura secondo cui la società avrebbe fondato il licenziamento su fatti conosciuti solo dopo il recesso.

Considerata inoltre, come rilevato dalla Corte di merito, la rintracciabilità informatica dei collegamenti e contatti effettuati da una postazione informatica comunque riconducibile all’IBM, con possibile danno all’immagine aziendale, e risultando provate sia l’assenza ingiustificata, sia l’assenza di giustificazioni o le giustificazioni non veritiere, sia l’utilizzo indebito del p.c. aziendale, circostanza pure contenuta nella lettera di contestazione (“Le ricordiamo che l’utilizzo del computer portatile come di tutti gli strumenti aziendali è consentito esclusivamente nel rispetto delle regole e per le finalità di lavoro come indicato nelle norme di sicurezza ed utilizzo degli strumenti informatici IBM”), la decisione impugnata non risulta inficiata dalle censure svolte.

5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ancora una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), circa la ritenuta nullità del decreto ingiuntivo, successivo alla sentenza di reintegra ed avente ad oggetto la richiesta dell’indennità sostitutiva, senza spiegare perchè la procura del giudizio originario non potesse avere effetto anche per il successivo giudizio monitorio.

Il motivo, logicamente subordinato ai precedenti, resta assorbito dal loro rigetto: ed invero l’accertata insussistenza del diritto del D. G. alla reintegra, esclude evidentemente il suo diritto all’indennità sostitutiva della stessa, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, vigente all’epoca dei fatti.

6.- Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.100,00 per esborsi, Euro.4.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2014

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