Il medico risponde dei danni cagionati per un’errata dimissione
Indice
Integra il reato di omicidio colposo la condotta del medico che, a seguito di un errore diagnostico, dimette il paziente che necessitava di ricovero per essere sottoposto ad una terapia urgente e che, a causa di tale omissione, sia successivamente deceduto.
Nel caso di specie neanche la condotta del paziente che sottovaluti i risultati di ulteriori accertamenti (dai quali emergeva la reale situazione dello stato di salute), interrompe il nesso causale tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento dannoso.
Secondo il Giudice il comportamento del paziente è la logica conseguenza dell’ingiustificabile errore diagnostico e pertanto il nesso eziologico non viene interrotto.
Il rapporto di causalità può escludersi solo se si verifichi una causa autonoma e successiva, che si inserisca nel processo causale in modo eccezionale, atipico ed imprevedibile.
Cassazione penale sez. IV del 09 luglio 2008 n. 37992
Il Tribunale di Brindisi assolveva I.G. in ordine al reato di omicidio colposo in danno di R.F.. All’ I. l’addebito era stato mosso con l’indicazione dei seguenti profili di colpa: per avere, quale medico primario responsabile dell’UTIC della direzione di Cardiologia dell’Ospedale di (OMISSIS), presso la quale era stato ricoverato R.F. nel periodo (OMISSIS) con diagnosi di accettazione di embolia polmonare, cagionato la morte dello stesso R.; commettendo il fatto per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia nell’espletamento dell’attività sanitaria cui era preposto, e segnatamente per avere – pur in presenza di significativi ed univoci segni anamnestici, clinici e strumentali (radiografie del torace, scintigrafia polmonare perfusionale, scintigrafia polmonare ventilatoria), e di una marcata sintomatologia presentata dal paziente al momento dell’ingresso e durante il ricovero ospedaliero, elementi tutti che denunciavano un ragionevole e fondato sospetto clinico di embolia polmonare, patologia peraltro diagnosticata dai sanitari collaboratori dell’ I. che si erano avvicendati nella cura del R. – inopinatamente mutato la diagnosi iniziale di accettazione e formulato una diagnosi errata di focolaio broncopneumonico (broncopolmonite), decidendo superficialmente di sospendere la terapia anticoagulante in atto a base di eparina sodica e di dimettere frettolosamente il R. in data 29/7/1996 formulando tale diagnosi ed assegnando allo stesso inefficace terapia farmacologica domiciliare a base antibiotica e cortisonica, circostanze che avevano determinato il progressivo peggioramento nelle condizioni di salute del R. e la morte dello stesso sopravvenuta in data (OMISSIS) per embolia polmonare.
Ad avviso del giudicante, il comportamento del R. si era posto quale fattore eccezionale ed imprevedibile al punto da interrompere il nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento: ciò in quanto il R., anch’egli medico, aveva del tutto sottovalutato i risultati di successivi accertamenti, cui si era privatamente sottoposto, che avevano rivelato un peggioramento delle condizioni di salute fornendo elementi significativamente riconducibili ad una diagnosi di embolia polmonare; ulteriori fattori rilevanti nella eziologia dell’evento erano altresì ravvisabili, secondo il Tribunale, nelle condotte di altri sanitari che avevano avuto in cura il R. dopo che questi era stato dimesso dall’Ospedale.
A seguito di impugnazione del P.M. e delle parti civili costituite, la Corte d’Appello di Lecce, ribaltando la decisione del primo giudice, riteneva provata la responsabilità dell’ I., ma ritenendo questi comunque meritevole delle attenuanti generiche, pronunciava declaratoria di estinzione del reato per essere frattanto interamente decorso del tempo di prescrizione di sette anni e sei mesi in relazione alla pena prevista per il reato contestato all’imputato.
La Corte territoriale condannava quindi l’ I., in solido con i responsabili civili Ausl (OMISSIS), Zurigo Assicurazioni e Assitalia al risarcimento dei danni in favore delle parti civili S. A. – anche per conto dei figli R.M. e R. A. – e S.F. da liquidarsi in separato giudizio, oltre alla rifusione delle spese dell’intero giudizio a favore delle parti civili stesse; la Corte medesima assegnava alla S. – per sè e per i figli – una provvisionale di Euro 100.000,00.
La Corte d’Appello, dopo aver analizzato il percorso motivazionale svolto dal primo giudice e le acquisizioni processuali (perizia, consulenze, dichiarazioni dell’imputato e dei testi) motivava il proprio convincimento, circa la ritenuta responsabilità dell’imputato, con argomentazioni che possono così sintetizzarsi: A) il R. era stato dimesso dall’ospedale con una diagnosi errata di broncopolmonite, e con la prescrizione di una terapia antibiotica e cortisonica; B) al momento della sua dimissione, dunque il R. sapeva, perchè questo gli era stato conclusivamente rappresentato, di essere affetto solo da una broncopolmonite; C) era stata la sospensione della terapia eparinica (in atto durante il ricovero), che aveva determinato il progressivo peggioramento delle condizioni del R.; D) l’errata diagnosi aveva condizionato tutta la condotta successiva del R., e tale condotta non solo non si era posta quale evento eccezionale, ma non poteva definirsi neanche irrazionale come aveva invece ritenuto il primo giudice, rispetto ad un esito diagnostico di broncopolmonite; E) conclusivamente, la condotta ascritta al dottor I. si era posta quale condizione necessaria dell’evento lesivo, e doveva escludersi qualsiasi possibilità di considerare la qualità soggettiva del paziente R., in quanto anch’egli medico, in chiave giustificativa del comportamento tenuto dall’imputato: andava rimarcata la sussistenza dell’errore diagnostico/terapeutico e la colpevole omissione degli accertamenti dovuti, e, conseguentemente, anche la sussistenza del collegamento, sotto il profilo della causalità materiale, tra tale condotta e l’evento morte.
La Corte territoriale rigettava la richiesta, avanzata dal responsabile civile Zurigo Assicurazioni, di declaratoria di inoperatività della garanzia oggetto della polizza intercorsa tra la Minerva Ass.ni s.p.a., cui era subentrata la Compagnia di Assicurazioni Zurigo, ed il dottor I.: secondo la tesi del responsabile civile stesso, dalla detta garanzia non sarebbe risultata coperta anche l’attività professionale del dottor I. nella sua veste di Primario di un Reparto ospedaliere di Cardiologia cui era stata riferita la responsabilità per la vicenda “de qua”.
Al riguardo, la Corte distrettuale sottolineava che la polizza assicurativa riguardava ogni aspetto dell’attività svolta dal dottor I. nell’esercizio della professione quale “Medico chirurgo cardiologo”, di tal che in tale attività doveva ritenersi ricompresa anche quella svolta dal dottor I. nella veste di Primario del Reparto di Cardiologia, non rilevando, nel caso in esame, la specificazione relativa alla non effettuazione di interventi chirurgici, e le altre esclusioni previste.
Ricorre per cassazione il responsabile civile Zurigo Assicurazioni lamentando vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’ I. e la morte del R., con diffuse considerazioni a carattere generale in punto di nesso di causalità e di causalità omissiva, come specificamente si dirà in prosieguo. Il ricorrente ripropone inoltre la questione relativa alla graduazione della colpa ascrivibile al prevenuto in relazione all’asserito concorso di colpa di costui con terzi pur se rimasti estranei al giudizio, nonchè quella concernente la copertura assicurativa dell’attività professionale svolta dall’ I. nei confronti del R..
Diritto
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza delle censure dedotte.
Innanzi tutto mette conto sottolineare che, ai sensi dell’art. 575 c.p.p., il responsabile civile può proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell’imputato e contro quelle relative alla condanna di questi, e del responsabile civile, alle restituzioni, al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali.
Vanno dunque esaminate le doglianze del ricorrente in ordine alle statuizioni basate sulla ritenuta responsabilità civile dell’imputato (non potendo il responsabile civile impugnare una sentenza di prescrizione cui non risultino collegate anche statuizioni civili: si veda, in materia, Sez. 1^, n. 31130 del 17/06/2004 Ud. – dep. 15/07/2004 – Rv. 229154, imp. Santangelo): di tal che, l’eventuale accoglimento del ricorso, avrebbe potuto comportare esclusivamente l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile ai sensi dell’art. 622 c.p.p..
Primo motivo di ricorso Quanto al nesso di causalità tra la condotta dell’ I. e la morte del R., il ricorrente responsabile civile lamenta un vizio di motivazione della decisione impugnata ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e svolge una serie di considerazioni a carattere generale in punto di nesso di causalità e di causalità omissiva, finalizzate a sostenere la propria, duplice, prospettazione:
1) la prima prospettazione del ricorrente è nel senso per il quale la morte del R. non sarebbe stata conseguenza diretta dell’azione – omissione del dr. I., e ciò perchè, in sintesi, l’ I. visitò il R. solo in data (OMISSIS); in quella sede acquisì gli esiti della scintigrafia ventilatoria e della consulenza vascolare; alla stregua di tali esiti ritenne “… il sospetto di embolia grandemente scemato e tale da modificare la diagnosi, la conseguente terapia e tale da non giustificare l’ulteriore permanenza in Ospedale” (fg. 11 del ricorso); l’ I., si dice in ricorso, lasciò comunque, “… nella propria mente, una possibilità di correzione dopo ulteriore controllo a breve distanza di tempo; controllo al quale il paziente si sottrasse immotivatamente e senza neppure riferire l’esito degli accertamenti di cui sopra” (fg. 13 del ricorso); “se fossero stati portati all’attenzione del Dott. I., in data (OMISSIS), gli esami diagnostici effettuati privatamente dal Dott. R. in data (OMISSIS) (TAC) e (OMISSIS) (RX Torace) – esami diagnostici indicativi con alto grado di probabilità di una embolia polmonare – sarebbe stato di certo ordinato l’immediato ricovero del Dott. R. e nuovamente somministrata la terapia eparinica” (fg. 12 del ricorso); di tal che, l’evento “non fu assolutamente conseguenza diretta dell’azione- omissione del dr. I.” (fg. 14 del ricorso);
2) la seconda prospettazione è nel senso per il quale esisterebbero, nella fattispecie, varie cause sopravvenute, da sole sufficienti a determinare l’evento, prima, tra tutte, la condotta della parte offesa R., che non portò l’ I. a conoscenza degli esiti dei successivi accertamenti compiuti. così tenendo una condotta connotata da irrazionalità e illogicità e, come tale, interruttiva del nesso causale tra la condotta dell’ I. e l’evento morte del R.; si assume poi in ricorso (fg. 17) che interattive del nesso causale, tra la condotta dell’ I. e l’evento morte del R., sarebbero state anche le (non meglio descritte) condotte del dr. St. e del dr. Z..
A fronte di simili prospettazioni, deve osservarsi che il ricorrente, nonostante l’evocazione dell’indirizzo interpretativo di questa Corte, non ha in alcun modo dimostrato, proprio sulla scorta di detto indirizzo, la fondatezza delle sue censure; e ciò, in particolare, anche a fronte dell’evidente compiutezza argomentativa che ha caratterizzato il percorso motivazionale seguito dai giudici di seconda istanza i quali, dopo aver così esaurientemente e logicamente dato conto del convincimento espresso circa la ritenuta responsabilità dell’ I., sono pervenuti ad una declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione solo previo riconoscimento delle attenuanti generiche.
E’ opportuno ricordare i tre fondamentali principi, in tema di causalità, affermati con la sentenza Franzese: 1) è utopistico richiedere al Giudice un accertamento del nesso causale in termini prossimi alla certezza, secondo l’orientamento espresso a far data dalla sentenza Bonetti del 1990 (dep. 29/4/1991), con i primi accenni, e fino ad arrivare a quelle – più significativamente e decisamente orientate nel senso della necessità dell’accertamento del nesso di causalità in termini di “probabilità vicina alla certezza” – pronunciate poco prima dell’intervento del 2002 delle Sezioni Unite, in particolare le sentenze Baltrocchi (dep. 9/3/2001), Musto (dep. 9/3/2001), Sgarbi (dep. 16/1/2002) e Covili (dep. 13/2/2002); 2) parimenti non è possibile ancorare l’eziologia di un evento a giudizi di mera possibilità, al criterio del riscontro di serie ed apprezzabili possibilità di successo, secondo l’orientamento espresso con la sentenza Melis del 1983, ovvero che si possa estendere la reponsabilità per omesso impedimento dell’evento attraverso le teorie dell’aumento del rischio o della perdita di “chances”; 3) è necessario approdare, quindi, ad un giudizio di alta probabilità logica o di elevata credibilità razionale. La strada segnata dalle Sezioni Unite, dunque, è, per un verso, tradizionale, laddove si conferma la dottrina tradizionalistica della causalità, ma, per altro verso, certamente innovativa, nell’ancorare saldamente l’operazione compiuta dal Giudice a rigorosi criteri di logica. In tal senso, le Sezioni Unite hanno escluso che si possa fare ricorso automatico a coefficienti di probabilità statistica, ed hanno posto l’accento piuttosto sulla necessità di escludere l’interferenza di fattori alternativi nella produzione dell’evento. Dunque: in presenza di una legge universale, il giudice è tenuto a verificare se essa sia adattabile al caso concreto, se essa sia compatibile, trattandosi di colpa medica, con le concrete condizioni del paziente. Nel caso in cui manchi una legge di copertura, il giudice deve invece accertare con l’aiuto di nozioni scientifiche, anche in assenza di leggi scientifiche, che tutti i pensabili meccanismi di produzione dell’evento siano riconducibili alla condotta dell’agente.
Il percorso motivazionale seguito dalla Corte d’Appello di Lecce risulta del tutto aderente ai principi testè ricordati, posto che:
A) – Il nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento morte è stato ritenuto sussistente giacchè, alla stregua del giudizio di fatto condotto sulla base di una legge scientifica (universale o statistica) e di una generalizzata regola di esperienza, è stato accertato che l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva, se il medico avesse realizzato la condotta doverosa impeditiva dell’evento stesso: in particolare, la Corte di merito ha spiegato diffusamente perchè la condotta dell’imputato è stata connotata da negligenza ed imperizia, soffermandosi anche sull’ipotizzabilità di diagnosi diversificate a fronte di un quadro clinico complesso, come quello del caso di specie, con la significanza diagnostica che già esprimevano i referti a disposizione il 29.7.1996; e la Corte territoriale ha anche spiegato, con riguardo al nesso materiale ed all’elemento psicologico, che la posizione di garanzia esistente in capo all’ I. non poteva considerarsi attenuata per il fatto che il R. fosse anch’esso medico, e che ancor più grave sarebbe risultata la violazione dell’obbligo di garanzia ove la scelta di dimettere il R. fosse stata effettivamente influenzata anche dalle insistenze ad essere dimesso dello stesso R.: e ciò, avuto riguardo alla stessa logica del principio di affidamento sull’adempimento dei suoi stessi doveri da parte di chi è tenuto alla posizione di garanzia; B) – I giudici di merito non hanno affatto dedotto automaticamente, dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale: essi hanno verificato la validità dell’ipotesi accusatoria nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, esaminando in concreto quali sarebbero stati i comportamenti dovuti dall’ I. e quale incidenza aveva avuto la colpa omissiva dell’ I. stesso – cui era seguita la interruzione della terapia eparinica somministrata al R. – rispetto alle possibilità di salvezza del medesimo R.; C) – Il ragionamento probatorio ha altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, sicchè è risultata giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”. La Corte di merito ha spiegato perchè la condotta del R. non potesse essere considerata un fatto eccezionale dotato di efficienza causale autonoma, ed idonea ad escludere il legame di imputazione del fatto alla conclamata condotta colposa dell’imputato sì da relegarlo a mera occasione: sul punto, la Corte distrettuale ha correttamente evocato l’orientamento di questa Corte, espresso, ad esempio, con la sentenza Sez. 4^, n. 39637 del 25/09/2000 (dep. 22/11/2002, Rv.
222930, imp. Amato) in punto di ingiustificabile errore diagnostico, e di non esclusione della rilevanza causale di esso rispetto all’evento lesivo, successivamente verificatosi per il solo fatto che detto errore non sia stato, pur se colposamente, corretto da altri che pure ne avrebbero avuto la possibilità ed il dovere, non potendosi tale ultima condotta qualificare come fatto eccezionale sopravvenuto. “Il rapporto di causalità tra l’azione e l’evento può escludersi solo se si verifichi una causa autonoma e successiva, che si inserisca nel processo causale in modo eccezionale, atipico e imprevedibile, mentre non può essere escluso il nesso causale quando la causa successiva abbia solo accelerato la produzione dell’evento, destinato comunque a compiersi sulla base di una valutazione dotata di un alto grado di credibilità razionale o di probabilità logica (fattispecie in materia di responsabilità professionale del medico per il suicidio di un paziente, in cui la Corte ha ritenuto che correttamente i giudici di merito, sulla base di un ragionamento probatorio esente da vizi logici e che aveva escluso ogni interferenza di fattori alternativi, avessero affermato l’efficacia causale della condotta del medico psichiatra che aveva autorizzato l’uscita dalla struttura sanitaria di una paziente malata di mente e con forti istinti suicidari, affidandola ad una accompagnatrice volontaria priva di specializzazione adeguata, alla quale non aveva fornito qualsivoglia informazione sullo stato mentale della malata e sui precedenti tentativi di suicidio dalla stessa attuati)”: in termini, Sez. 4^, n. 10430 del 06/11/2003 Ud., dep. 04/03/2004, Rv.
227876, imp. Guida. Nè la Corte di merito ha omesso di spiegare perchè andava esclusa la rilevanza causale del fatto che l’ I. non sarebbe stato messo in condizioni di esercitare un controllo sul decorso della malattia, posto che, per come precisato nella sentenza impugnata, è certo che fu l’ I. a dimettere frettolosamente il R. così precludendosi la possibilità di monitorare l’andamento e che lo stesso I. prescrisse un controllo RX torace che il R. avrebbe dovuto effettuare ben dieci giorni dopo le dimissioni, “escludendo che vi fosse medio tempore la necessità di alcun controllo”; D) – La Corte di merito ha escluso, infine, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi “il ragionevole dubbio”, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo: con la conseguenza che si è argomentatamene escluso che tali altri fattori interagenti potessero comportare la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio.
Seguendo il sentiero tracciato dalle Sezioni Unite con la sentenza Franzese, al giudice di legittimità è assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative della decisione (la c.d. giustificazione esterna) inerenti: 1) ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova; 2) alle inferenze formulate in base ad essi; 3) ai criteri che sostengono le conclusioni. Questa Corte, dunque, deve controllare non la decisione, bensì il contesto giustificativo di essa, quale esplicitato dal giudice di merito di secondo grado nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell’ipotesi sullo specifico fatto da provare.
Orbene, alla stregua di quanto fin qui osservato, tutte le ripercorse valutazioni, rese dai giudici di seconda istanza, si sottraggono a qualsiasi censura. Mette conto sottolineare che nel caso in esame l’acquisizione della prova (“certa”, nel significato quale precisato nella sentenza Franzese) del nesso di causalità tra la condotta del sanitario e l’evento morte – indispensabile per pervenire ad un’affermazione di responsabilità dell’imputato – non sarebbe stata neanche necessaria essendosi verificata una causa estintiva del reato (come la prescrizione): era già sufficiente che, a quello stadio del processo di merito, sussistesse una ragionevole probabilità del nesso causale per escludere l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., comma 2. Addirittura ben più perspicua ed approfondita, è stata l’analisi compiuta dal Giudice a quo.
Nel caso in esame, le statuizioni della decisione di merito di secondo grado, risultano rispondenti alle linee interpretative sopra ricordate in tema di rapporto di causalità ed idonee a trovare adeguata base giustificativa in una motivazione, in fatto, immune da vizi logici.
Secondo motivo di ricorso Del tutto priva di qualsiasi fondamento è altresì la censura con la quale si assume che il Giudice di merito avrebbe dovuto graduare la colpa ascrivibile al prevenuto in relazione all’asserito concorso di colpa di costui con i terzi pur se rimasti estranei al giudizio. Al di là del carattere sostanzialmente generico di questa doglianza, è sufficiente evocare, al fine di dimostrare la manifesta infondatezza di una simile prospettazione, quanto affermato in materia da questa Corte: “In tema di reato colposo, il giudice penale è tenuto ad accertare il grado della colpa dell’imputato ed eventualmente a determinarne la graduazione in relazione al concorso di colpa del terzo che sia rimasto estraneo al giudizio, al solo fine di assicurare la correlazione tra gravità del reato e determinazione della pena, ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, n. 3), dovendosi escludere, in via generale, l’esistenza di un obbligo di quantificazione percentualistica dei diversi fattori causali dell’evento, a meno che il giudice non sia chiamato a pronunciare statuizioni civilistiche e ricorra il fatto colposo della parte civile, che diminuisce l’entità del risarcimento dovuto a norma degli artt. 1227 e 2056 c.c.; ne deriva che detto obbligo di determinazione percentualistica non sussiste nell’ipotesi di apporti causali concorrenti di più imputati ovvero di imputati e terzi, in cui il credito risarcitorio della parte civile è assistito dal principio di solidarietà passiva ex art. 2055 cod. civ.” (Sez. 4^, n. 49346 del 27/10/2004 Ud. – dep. 23/12/2004 – Rv. 230580, imp. Di Vaira); nello stesso senso, Sez. 4^, n. 6547 del 24/05/1996 Ud. – dep. 26/06/1996 – Rv. 205227, imp. Poli: “In tema di reato colposo, poichè nel processo penale l’unico rapporto civilistico che viene in considerazione è quello tra la parte civile e l’imputato (e l’eventuale responsabile civile) è preclusa al giudice la valutazione quantificatoria delle colpe concorrenti degli imputati, ciascuno dei quali, ai sensi dell’art. 2055 c.c., risponde per l’intero verso il danneggiato. Questa, al più, può essere compiuta al fine di graduare la responsabilità penale dei prevenuti, senza alcuna efficacia vincolante nell’eventuale giudizio civile di regresso”; ancora, Sez. 4^, n. 5728 del 04/12/2001 Ud. – dep. 13/02/2002 – Rv. 220955, imp. Taddeo V ed altro: “In tema di reato colposo, il giudice penale è tenuto ad accertare la colpa concorrente del terzo, rimasto estraneo al giudizio, al solo fine di assicurare la correlazione tra gravità del reato e determinazione della pena, ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, n. 3), dovendosi escludere, in via generale, l’esistenza di un obbligo di quantificazione percentualistica dei diversi fattori causali dell’evento, a meno che egli non sia chiamato a pronunciare statuizioni civilistiche e ricorra il fatto colposo della parte civile, che diminuisce l’entità del risarcimento dovuto a norma degli artt. 1227 e 2056 cod. civ.; ne deriva che detto obbligo di determinazione percentualistica non sussiste nell’ipotesi di apporti causali concorrenti di più imputati ovvero di imputati e terzi, in cui il credito risarcitorio della parte civile è assistito dal principio di solidarietà passiva ex art. 2055 cod. civ.”.
Terzo motivo do ricorso Quanto all’ultimo motivo di ricorso – in punto di pretesa esclusione del responsabile civile “Zurigo” Compagnia di assicurazioni – è appena il caso di sottolineare che già il Giudice di secondo grado ha evidenziato il carattere pretestuoso di siffatta doglianza, posto che la polizza in parola riguardava ogni aspetto dell’attività svolta dall’ I. nell’esercizio della professione quale medico chirurgo cardiologo, attività che certamente ricomprendeva quella svolta dall’ I. nella veste di primario del Reparto di cardiologia. Si tratta dunque di una questione già compiutamente affrontata dalla decisione di secondo grado rispetto alla quale le censure del ricorrente presentano carattere del tutto tautologico.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, dei ricorrenti: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7 – 13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00, (mille).
Il ricorrente deve essere altresì condannato a rifondere le spese di costituzione e difesa di parte civile che si liquidano: per S.A. in Euro 1.500,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; per R.A., R.M. e S.F., in Euro 2.000,00, complessivi, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
Condanna inoltre il ricorrente a rifondere le spese di costituzione e difesa di parte civile che si liquidano: per S.A. in Euro 1.500,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; per R.A., R.M. e S.F., in Euro 2.000,00, complessivi, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2008