Sospensione della patente automatica in caso di guida in stato di ebbrezza
Indice
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 2-bis, cod. strada, in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui dispone la revoca obbligatoria della patente di guida nell’ipotesi di sinistro stradale connesso alla guida in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro.
Sussiste difatti piena autonomia tra tale disposizione predetta e quella di cui all’art. 222 cod. strada riconosciuta dalla stessa sentenza n. 88 del 2019 della Corte costituzionale, cha fa riferimento solo a quest’ultima disposizione.
Cass. pen. Sez. IV Sent., 11/02/2021, n. 7950
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere –
Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere –
Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Z.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/05/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MARIAROSARIA BRUNO.
Svolgimento del processo
1. Z.F., a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, indicata in epigrafe, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Roma in relazione al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), commi 2-bis e 2-sexies, fatto commesso in (OMISSIS).
L’esponente articola i seguenti motivi di ricorso (in sintesi, giusta il disposto di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1).
I) Carenza di motivazione in relazione all’art. 131-bis c.p..
I giudici, lamenta la difesa, avrebbero negato il riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in considerazione del tasso alcolemico rilevato all’atto del controllo (corrispondente a g/l 2,14 e 2,15), trascurando di considerare una serie di circostanze deponenti a favore del ricorrente e di un diverso inquadramento dei fatti in termini di gravità. La Corte di merito avrebbe dovuto considerare che non sono stati arrecati danni a persona, ma solo lievi danni a cose, che il ricorrente ha mostrato resipiscenza ammettendo i fatti nel giudizio di primo grado e che egli è soggetto assolutamente incensurato, mai attinto da precedenti di alcun genere.
II) Erronea applicazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2-bis, e successive modificazioni con riferimento alla sanzione accessoria della revoca della patente di guida.
La Corte di appello, investita della questione riguardante l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida invece della revoca, ha provveduto a rigettare la richiesta con argomentazioni superficiali e frettolose, evidenziando che la revoca della patente di guida è obbligatoria ex lege, ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 2, secondo periodo.
I giudici di merito non avrebbero considerato che la doglianza era volta a censurare l’irragionevolezza del meccanismo dell’automatica applicazione della revoca della patente di guida all’interno del complesso sistema delle sanzioni accessorie, non considerando che lo stesso art. 186 C.d.S., comma 2-bis, fa salva l’applicazione dell’art. 222 C.d.S..
Era segnalato nell’atto di appello la distorsione del sistema nascente dal fatto che, condotte gravissime, suscettibili di determinare la morte o le lesioni di un individuo, potrebbero dare luogo alla sospensione della patente di guida, diversamente da quanto previsto nel caso in esame, dove risulta obbligatoria la revoca.
Sarebbe pertanto palese l’incompatibilità del dettato normativo di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2-bis, con i principi di uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, poichè sono assimilate sotto un unico trattamento, gravemente afflittivo, condotte diverse ed eterogenee.
Tale interpretazione sarebbe avvalorata da recenti pronunce della Corte Costituzionale, quali la n. 22/18 (che ha rilevato profili di irragionevolezza nell’automatismo della revoca amministrativa della patente di guida prevista dall’art. 120 C.d.S., comma 2) e la n. 88/19 (che ha dichiarato la parziale Illegittimità costituzionale dell’art. 222 C.d.S.).
Sarebbe evidente la disparità di trattamento risultante dalla situazione venutasi a creare nel quadro normativo vigente: in caso di sinistro stradale che cagioni la morte o le lesioni di un individuo sarebbe rimessa all’apprezzamento del giudice l’applicazione della sospensione della patente di guida in alternativa alla revoca, mentre, in caso di guida in stato di ebbrezza, nella ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2-bis, è automatica la revoca della patente di guida, anche quando non siano derivati danni a persona.
III) Questione d’illegittimità costituzionale dell’art. 186 C.d.S., comma 2-bis, secondo periodo, in riferimento all’art. 3 Cost..
E’ richiesto, alla luce delle argomentazioni svolte nel precedente paragrafo, che sia sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 186 C.d.S., comma 2 bis, secondo periodo, – nella parte in cui dispone la revoca automatica della patente di guida in caso di sinistro stradale in ipotesi di tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, per contrasto con l’art. 3 Cost..
3. Il P.G., nel rassegnare conclusioni scritte ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 ha chiesto pronunciarsi la inammissibilità il ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo di doglianza è manifestamente infondato. La norma che si assume violata – art. 131-bis c.p. – prevede, quale condizione per l’esclusione della punibilità (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione), la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due “indici requisiti” delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., comma 1, sussista l’indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, in motiv.; Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Derossi, Rv.26544901).
Ebbene, la considerazione del rilevante livello di tasso alcolemico riscontrato sulla persona del ricorrente al momento dell’accertamento ed il rilievo attribuito in sentenza alla ricorrenza delle aggravanti dell’avere cagionato un incidente stradale, in orario notturno, circostanze tutte incidenti sulla complessiva pericolosità e gravità della condotta, costituiscono elementi correttamente evidenziati dal giudice di merito per negare la possibilità di sussumere il fatto in esame nell’ipotesi disciplinata dall’art. 131-bis c.p..
Il diniego è evidentemente giustificato dalla gravità del fatto – che esclude la ricorrenza della particolare tenuità dell’offesa – sulla base di argomentazioni che involgono valutazioni di merito del tutto logiche e coerenti, per questo non censurabili in sede di legittimità.
3. In ordine al secondo e terzo motivo di ricorso, si osserva quanto segue.
La ratio sottesa all’art. 186 C.d.S., che prevede come obbligatoria la revoca della patente di guida per l’ipotesi in cui il conducente, che versi in stato di ebbrezza, con tasso alcolemico accertato superiore a 1,5 g/l, abbia provocato un incidente stradale, va ricercata nella volontà del legislatore di punire più gravemente situazioni nelle quali la turbativa della circolazione sia correlata all’accertamento dello stato di ebbrezza del conducente, in quanto ritenute maggiormente idonee a porre in pericolo l’incolumità personale dei soggetti e dei beni coinvolti nella circolazione.
In ordine ai rapporti con l’art. 222 C.d.S., le due disposizioni mantengono una propria autonomia sistematica e precettiva, atteso che l’art. 222 disciplina il novero di sanzioni amministrative accessorie all’accertamento di reati, ha portata generale e attribuisce rilevanza sanzionatoria crescente alla gravità delle lesioni personali che siano derivate da reati colposi commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale, laddove la condizione di ebbrezza alcolica del reo, con parametri superiori ad una determinata soglia, come prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), rappresenta ulteriore ragione di aggravamento (a cui è collegata la revoca della patente di guida) di una condotta colposa di danno autonomamente sanzionata in via amministrativa mediante la sospensione della patente di guida (così Sez. 4 n. 16638/16 n. m.) Nella fattispecie contemplata dall’art. 186 C.d.S., comma 2-bis il reato di riferimento è proprio la guida in stato di ebbrezza e cioè una ipotesi contravvenzionale di pericolo e non di danno, che determina la revoca della patente di guida, quale sanzione amministrativa accessoria, ove il conducente in stato di ebbrezza alcolica provochi un incidente stradale, a prescindere da profili di danno a cose o a persone che possano essere derivati dal sinistro. Ne consegue pertanto che sussiste assoluta autonomia e diversità ontologica tra le previsioni di cui all’art. 222 C.d.S., riferibili alla commissione di un reato colposo di danno con violazione delle norme sulla circolazione stradale, e la guida in stato di ebbrezza, aggravata dal fatto di avere provocato un incidente stradale con conseguente turbativa alla sicurezza della circolazione.
Il richiamo operato all’art. 222 C.d.S. dall’art. 186 C.d.S., comma 2-bis, pertanto, non rappresenta una ragione di collegamento tra le due disposizioni (cfr. Sez. 4, n. 16638/16 n. m., conforme a Sez. 4, n. 4640 del 08/01/2015, Rv. 262437 – 01, così massimata: “In tema di guida in stato di ebbrezza, i presupposti applicativi per la revoca della patente prevista sia dall’art. 186 C.d.S., comma 2 bis sia dall’art. 222 C.d.S., comma 2, sono solo parzialmente coincidenti, giacchè per entrambe le norme è previsto che il conducente presenti un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l; tuttavia, per l’operatività dell’ipotesi ex art. 186, comma 2 bis, è, altresì, necessario che il conducente abbia provocato un incidente stradale mentre, per la diversa prescrizione di cui all’art. 222, comma 2 occorre che il guidatore abbia commesso i delitti di lesioni colpose gravi o gravissime oppure di omicidio colposo”).
Tutto ciò premesso non si individua la lamentata disparità di trattamento o irragionevolezza del sistema delle sanzioni accessorie attualmente vigente, come lamentato dalla difesa.
Nè la prospettazione difensiva trova conforto nelle pronunce della Corte costituzionale richiamate nel ricorso.
Con sentenza del 17 aprile 2019, n. 88, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 C.d.S., comma 2, quarto periodo nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., per i reati di cui agli artt. 589-bis (omicidio stradale) e 590-bis (lesioni personali stradali gravi o gravissime) c.p., il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso art. 222 C.d.S., comma 2 a meno che non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi 2 e 3 degli artt. 589-bis e 590-bis c.p..
Pertanto, in caso di omicidio stradale o lesioni personali stradali, ove ricorrano le aggravanti dell’essersi il conducente posto alla guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostante stupefacenti, rimane ferma la sanzione accessoria obbligatoria della revoca della patente di guida.
Il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 24/1/2018 non è conferente. Con la citata sentenza il Giudice delle leggi ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 120, comma 2, come sostituito dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 52, lett. a), nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi di condanna per i reati di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, artt. 73 e 74, che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida – dispone che il prefetto “provvede” invece che “può provvedere” – alla revoca della patente.
Ebbene, nel corpo della motivazione a Corte costituzionale ha osservato: “La disposizione denunciata – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità. Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, riferito, in via automatica, all’attualità”.
Le ragioni della incostituzionalità sono quindi ravvisate nella diversità delle fattispecie a corollario delle quali è previsto l’effetto automatico della revoca della patente di guida. Il che è escluso nel caso della guida in stato di ebbrezza aggravata ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 2-bis, dove, come già detto in precedenza, è palese l’intenzione del legislatore di punire più gravemente la condotta di colui il quale determini una turbativa della circolazione ponendosi alla guida di un veicolo con un tasso alcolemico di grado superiore a g/l 1,5.
Di contro, deve rammentarsi che la Corte Costituzionale, con ordinanza del 21 ottobre 2013, n. 247, nel dichiarare manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate con riguardo all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis che consente la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità solo al di fuori dei casi previsti dall’art. 186 C.d.S., comma 2 bis – ha fornito chiarimenti di ordine più generale che consentono di ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dalla difesa in questa sede.
Nella citata ordinanza la Corte costituzionale si è soffermata sulla compatibilità della preclusione contenuta nell’art. 189 C.d.S., comma 9-bis, con i principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena (art. 27 Cost., comma 3), affermando che la ratio dell’aggravante di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2-bis, è da ricercarsi nella volontà del legislatore di punire più gravemente qualsiasi turbativa delle corrette condizioni di guida, in quanto ritenuta potenzialmente idonea a porre in pericolo l’incolumità personale dei soggetti e dei beni coinvolti nella circolazione a causa della strutturale pericolosità connessa alla circolazione dei veicoli che richiedono una particolare abilitazione alla guida.
Nella motivazione si legge: che il trattamento sanzionatorio del reato di guida in stato di ebbrezza, aggravato dall’aver causato un incidente stradale, consente già al giudice un margine di apprezzamento sufficiente perchè la sanzione inflitta sia proporzionata alla complessiva considerazione delle peculiarità oggettive e soggettive del caso di specie, potendo l’aumento della pena oscillare tra il minimo e il massimo in funzione della gravità del danno derivante dal sinistro o del grado della colpa; che le scelte legislative nella commisurazione delle sanzioni involgono apprezzamenti tipicamente politici e sono sindacabili solo nel caso trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio; che la previsione di limiti all’applicazione di sanzioni sostitutive è valutazione che spetta al legislatore, e che la scelta di non distinguere, ai fini dell’operatività della preclusione, in funzione della gravità dell’incidente sembra corrispondere a un criterio di prevenzione generale non irragionevole.
Tutto ciò consente di ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di cui si chiede la proposizione nel ricorso, emergendo dall’ordinanza indicazioni chiare in ordine alla conformità ai principi costituzionali dell’art. 186 C.d.S., comma 2-bis.
4. Consegue alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, a norma dell’art. 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021